XXVI domenica T.O. Anno A
Vangelo Mt 21, 28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Commento 1 ottobre 2023
Ancora una parabola che ci parla di qualcuno invitato ad andare a lavorare nella vigna: certamente doveva essere questo un argomento particolarmente caro a Gesù, il quale continuamente invitava ogni uomo e donna a collaborare alla costruzione di quel regno di Dio, di quell’umanità nuova capace di rispondere positivamente al progetto d’amore di Dio.
Gesù è giunto a Gerusalemme da pochi giorni, appena arrivato ha cacciato via dal tempio i venditori entrando in conflitto con quell’autorità religiosa che già non lo vedeva di buon occhio considerandolo un eretico perché insegnava false dottrine su Dio e non praticava le prescrizioni della tradizione rabbinica. Un giorno Gesù viene affrontato nel tempio dai capi e dagli anziani del popolo che gli chiedono chi lo avesse autorizzato prima a scacciare i venditori e poi ad insegnare nel tempio. Gesù, in risposta, domanda loro se il battesimo di Giovanni veniva dal cielo oppure dagli uomini per indicare loro che esiste una autorità, superiore a quella degli uomini, che viene da Dio; dopo averli zittiti in questo modo, Gesù racconta loro una parabola chiedendo di giudicare tra due figli di uno stesso padre. Gli interlocutori di Gesù non sono peccatori, ma persone religiose, devote, osservanti di tutti i comandamenti ed è proprio per loro che Gesù racconta la parabola di oggi.
L’inizio è una perla di pedagogia: “Che ve ne pare?”; è proprio bello ed incredibile un Dio che non si impone ma propone, un Dio che non fa calare dall’alto il suo insegnamento, ma ascolta cosa l’uomo pensa del suo progetto, un Dio che si affida alla libertà troppe volte ribelle dell’umanità. È un Dio che ama, inesorabilmente ama tanto da inchinarsi di fronte alla sua creatura per pregarla di accogliere il suo piano d’amore pensato per ciascuno fin dall’origine del mondo.
“Un uomo aveva due figli…”, nel vangelo di oggi abbiamo un primo salto di qualità, una prima bella notizia: il padrone della vigna non chiama operai a giornata, ma chiama i figli stessi ad andare a lavorare nella sua vigna, come se quella vigna fosse cosa nostra. Mi piace sottolineare subito un aspetto: quando Gesù parla di Dio usa un linguaggio semplice, concreto, evita qualsiasi definizione filosofica o teologica; Dio non è l’essere perfettissimo, il “motore immobile”, il “totalmente altro”, ma è simile ad un uomo che aveva due figli, un uomo che non ha nome, che non è nessuno, ma trova la sua definizione, il senso della sua vita, la radice ultima del suo esistere nell’essere un padre, una madre, nell’avere dei figli; in conclusione Dio è Qualcuno in quanto vive una relazione d’amore con me, con ciascuno di noi. Ora troppo spesso quei figli che definiscono l’essere di Dio però non lo riconoscono come Padre/Madre, preferiscono vivere come orfani, si dimenticano di avere una famiglia.
Il popolo ebraico prescelto da Dio si riteneva in virtù di questa sua elezione il “figlio primogenito” di Dio (cfr. Es 4,22), ma a questa immagine che era molto comune nel sentimento religioso dei Giudei, Gesù aggiunge una novità estremamente importante: Dio è Padre/Madre di più figli, non di uno solo, poiché in ogni uomo è impressa l’immagine del Padre. Questa affermazione di Gesù deve aver scandalizzato chi lo stava ascoltando perché, secondo il sentimento ebraico, Dio ha un figlio solo, i pagani, i peccatori, le prostitute sono persone immonde, non figli; ora chiediamoci, forse non vi è tra noi cristiani qualcuno che ancora oggi ragiona allo stesso modo e che ritiene che Dio abbia soltanto un figlio, quello buono che osserva tutti i comandamenti perché quelli che hanno smarrito la retta via non sono più figli di Dio? Gesù ci ricorda che Dio ha sempre due figli, quelli buoni e quelli meno buoni, che la figliolanza divina non la si ottiene per merito e che la nostra identità di figli di Dio non può essere cancellata da niente e da nessuno, nemmeno dal nostro peccato.
Così la parabola di oggi si rivolge in un modo particolare a quelli che si ritengono quel figlio buono, a coloro pertanto che si ritengono giusti, quelli della “prima ora” che pensano di essere gli unici figli di Dio.
Quel Padre si avvicina ai suoi figli per fare la sua proposta “Figlio, oggi vai a lavorare nella vigna!”, ma quelle parole alle orecchie di tanti appaiono in troppe occasioni come un comando, come abbiamo visto nel vangelo di domenica scorsa quando gli operai della prima ora in realtà nel loro lavorare hanno sentito solo il peso della giornata e del caldo e non la gioia del collaborare fattivamente al progetto d’amore di Dio.
Lavorare nella sua vigna è la strada che Dio ci indica per la nostra felicità perché è proprio questo il senso del vino e della vigna presente nel corso di tutta la Bibbia, anche se è vero che una vita spesa per amore nella ricerca costante della gioia per me e per coloro che vivono accanto a me, nella costruzione di un mondo nuovo, di rapporti nuovi, comporta una certa fatica.
Non è facile superare i miei e nostri egoismi, ci vuole un continuo impegno, ma soprattutto siamo invitati a combattere, a lottare senza sosta contro tutte quelle “strutture di peccato”, che segnano la società umana da sempre divisa tra ricchi e poveri, oppressi ed oppressori.
Il primo figlio si ribella o forse solo si rende conto della fatica, del duro lavoro da compiere e della sua inadeguatezza, della sua incapacità, dei suoi limiti per rispondere positivamente alla proposta del Padre, ma poi ci ripensa e capisce che quell’invito ad andare nella vigna gli veniva da chi gli aveva dato la vita e che in fondo quella vigna non era solo del padre, ma anche sua, che quel mondo che il Padre aveva creato gli era stato affidato perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15); quindi pentito decide di andare a lavorare nella vigna.
“Sì, Signore!” risponde, invece, il secondo, probabilmente guardando con un certo disprezzo quel fratello che aveva avuto il coraggio di disobbedire al padre; un “Sì, Signore!” proclamato, gonfiando il petto come un perfetto soldatino pieno di orgoglio e mettendo in mostra la propria fedeltà; “Sì, Signore”, affermato con forza, probabilmente riconoscendo in chi gli chiedeva di andare a lavorare nella vigna non un padre, ma piuttosto un padrone. Anche noi rivolgendoci a Dio lo chiamiamo “Signore” ma attenzione saremmo in grave errore se con quel termine intendessimo un padrone poiché questo non è il Dio che ci ha rivelato Gesù; con il termine “Signore” siamo chiamati, invece, a riconoscere l’infinita grandezza di chi ha offerto tutto sé stesso per noi per amore (Fil 2,1-11).
Al centro della parabola non vi è solo la reazione alla proposta di Dio, ma anche e soprattutto la mia idea di Dio. È necessaria infatti una conversione totale: fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale obbedire non riuscirò a scoprire e a vivere nel suo amore, fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale offrire sacrifici e liturgie senza cuore, non riuscirò a scoprire il volto di un Dio misericordioso che cammina al mio fianco per condurmi alla vera felicità.
A questo punto è giusto chiedersi a quale dei due figli io assomiglio ed è questa la riflessione che siamo chiamati a fare; per quanto mi riguarda, credo di essere un po’ tutti e due quei figli, a volte pronto a dire il mio sì, un sì di chi non ha capito nulla di quello che il Signore gli chiede, inconsapevole del cammino e della fatica che deve fare; altre volte esprimendo il mio no ribelle spaventato dalla fatica ma pronto a ricredermi per lasciarmi portare dalle tenerissime mani di un Padre/Madre che mi ama incondizionatamente. Non so ancora cosa risponderò la prossima volta, ma so che ogni giorno, o meglio ogni ora, il Signore mi chiama a lavorare nella sua vigna per rendere questo mondo il posto migliore in cui ogni un uomo, una donna possano vivere secondo il volere di Dio.
C’è poi un terzo figlio di cui la parabola non ci parla, ma è proprio lì di fronte a noi, basta solo aprire gli occhi per vederlo: è Gesù, l’unico capace di dire il suo “sì” definitivo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8).
Come vorrei sentire Dio come Padre/Madre, come vorrei assomigliare a quel terzo figlio, come vorrei dire il mio “sì” sapendo che proprio quel terzo figlio, quello Vero è lì accanto a me pronto a prendermi per mano per condurmi davanti al Padre e proclamare senza più alcuna paura: Signore eccomi!
Gesù è giunto a Gerusalemme da pochi giorni, appena arrivato ha cacciato via dal tempio i venditori entrando in conflitto con quell’autorità religiosa che già non lo vedeva di buon occhio considerandolo un eretico perché insegnava false dottrine su Dio e non praticava le prescrizioni della tradizione rabbinica. Un giorno Gesù viene affrontato nel tempio dai capi e dagli anziani del popolo che gli chiedono chi lo avesse autorizzato prima a scacciare i venditori e poi ad insegnare nel tempio. Gesù, in risposta, domanda loro se il battesimo di Giovanni veniva dal cielo oppure dagli uomini per indicare loro che esiste una autorità, superiore a quella degli uomini, che viene da Dio; dopo averli zittiti in questo modo, Gesù racconta loro una parabola chiedendo di giudicare tra due figli di uno stesso padre. Gli interlocutori di Gesù non sono peccatori, ma persone religiose, devote, osservanti di tutti i comandamenti ed è proprio per loro che Gesù racconta la parabola di oggi.
L’inizio è una perla di pedagogia: “Che ve ne pare?”; è proprio bello ed incredibile un Dio che non si impone ma propone, un Dio che non fa calare dall’alto il suo insegnamento, ma ascolta cosa l’uomo pensa del suo progetto, un Dio che si affida alla libertà troppe volte ribelle dell’umanità. È un Dio che ama, inesorabilmente ama tanto da inchinarsi di fronte alla sua creatura per pregarla di accogliere il suo piano d’amore pensato per ciascuno fin dall’origine del mondo.
“Un uomo aveva due figli…”, nel vangelo di oggi abbiamo un primo salto di qualità, una prima bella notizia: il padrone della vigna non chiama operai a giornata, ma chiama i figli stessi ad andare a lavorare nella sua vigna, come se quella vigna fosse cosa nostra. Mi piace sottolineare subito un aspetto: quando Gesù parla di Dio usa un linguaggio semplice, concreto, evita qualsiasi definizione filosofica o teologica; Dio non è l’essere perfettissimo, il “motore immobile”, il “totalmente altro”, ma è simile ad un uomo che aveva due figli, un uomo che non ha nome, che non è nessuno, ma trova la sua definizione, il senso della sua vita, la radice ultima del suo esistere nell’essere un padre, una madre, nell’avere dei figli; in conclusione Dio è Qualcuno in quanto vive una relazione d’amore con me, con ciascuno di noi. Ora troppo spesso quei figli che definiscono l’essere di Dio però non lo riconoscono come Padre/Madre, preferiscono vivere come orfani, si dimenticano di avere una famiglia.
Il popolo ebraico prescelto da Dio si riteneva in virtù di questa sua elezione il “figlio primogenito” di Dio (cfr. Es 4,22), ma a questa immagine che era molto comune nel sentimento religioso dei Giudei, Gesù aggiunge una novità estremamente importante: Dio è Padre/Madre di più figli, non di uno solo, poiché in ogni uomo è impressa l’immagine del Padre. Questa affermazione di Gesù deve aver scandalizzato chi lo stava ascoltando perché, secondo il sentimento ebraico, Dio ha un figlio solo, i pagani, i peccatori, le prostitute sono persone immonde, non figli; ora chiediamoci, forse non vi è tra noi cristiani qualcuno che ancora oggi ragiona allo stesso modo e che ritiene che Dio abbia soltanto un figlio, quello buono che osserva tutti i comandamenti perché quelli che hanno smarrito la retta via non sono più figli di Dio? Gesù ci ricorda che Dio ha sempre due figli, quelli buoni e quelli meno buoni, che la figliolanza divina non la si ottiene per merito e che la nostra identità di figli di Dio non può essere cancellata da niente e da nessuno, nemmeno dal nostro peccato.
Così la parabola di oggi si rivolge in un modo particolare a quelli che si ritengono quel figlio buono, a coloro pertanto che si ritengono giusti, quelli della “prima ora” che pensano di essere gli unici figli di Dio.
Quel Padre si avvicina ai suoi figli per fare la sua proposta “Figlio, oggi vai a lavorare nella vigna!”, ma quelle parole alle orecchie di tanti appaiono in troppe occasioni come un comando, come abbiamo visto nel vangelo di domenica scorsa quando gli operai della prima ora in realtà nel loro lavorare hanno sentito solo il peso della giornata e del caldo e non la gioia del collaborare fattivamente al progetto d’amore di Dio.
Lavorare nella sua vigna è la strada che Dio ci indica per la nostra felicità perché è proprio questo il senso del vino e della vigna presente nel corso di tutta la Bibbia, anche se è vero che una vita spesa per amore nella ricerca costante della gioia per me e per coloro che vivono accanto a me, nella costruzione di un mondo nuovo, di rapporti nuovi, comporta una certa fatica.
Non è facile superare i miei e nostri egoismi, ci vuole un continuo impegno, ma soprattutto siamo invitati a combattere, a lottare senza sosta contro tutte quelle “strutture di peccato”, che segnano la società umana da sempre divisa tra ricchi e poveri, oppressi ed oppressori.
Il primo figlio si ribella o forse solo si rende conto della fatica, del duro lavoro da compiere e della sua inadeguatezza, della sua incapacità, dei suoi limiti per rispondere positivamente alla proposta del Padre, ma poi ci ripensa e capisce che quell’invito ad andare nella vigna gli veniva da chi gli aveva dato la vita e che in fondo quella vigna non era solo del padre, ma anche sua, che quel mondo che il Padre aveva creato gli era stato affidato perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15); quindi pentito decide di andare a lavorare nella vigna.
“Sì, Signore!” risponde, invece, il secondo, probabilmente guardando con un certo disprezzo quel fratello che aveva avuto il coraggio di disobbedire al padre; un “Sì, Signore!” proclamato, gonfiando il petto come un perfetto soldatino pieno di orgoglio e mettendo in mostra la propria fedeltà; “Sì, Signore”, affermato con forza, probabilmente riconoscendo in chi gli chiedeva di andare a lavorare nella vigna non un padre, ma piuttosto un padrone. Anche noi rivolgendoci a Dio lo chiamiamo “Signore” ma attenzione saremmo in grave errore se con quel termine intendessimo un padrone poiché questo non è il Dio che ci ha rivelato Gesù; con il termine “Signore” siamo chiamati, invece, a riconoscere l’infinita grandezza di chi ha offerto tutto sé stesso per noi per amore (Fil 2,1-11).
Al centro della parabola non vi è solo la reazione alla proposta di Dio, ma anche e soprattutto la mia idea di Dio. È necessaria infatti una conversione totale: fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale obbedire non riuscirò a scoprire e a vivere nel suo amore, fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale offrire sacrifici e liturgie senza cuore, non riuscirò a scoprire il volto di un Dio misericordioso che cammina al mio fianco per condurmi alla vera felicità.
A questo punto è giusto chiedersi a quale dei due figli io assomiglio ed è questa la riflessione che siamo chiamati a fare; per quanto mi riguarda, credo di essere un po’ tutti e due quei figli, a volte pronto a dire il mio sì, un sì di chi non ha capito nulla di quello che il Signore gli chiede, inconsapevole del cammino e della fatica che deve fare; altre volte esprimendo il mio no ribelle spaventato dalla fatica ma pronto a ricredermi per lasciarmi portare dalle tenerissime mani di un Padre/Madre che mi ama incondizionatamente. Non so ancora cosa risponderò la prossima volta, ma so che ogni giorno, o meglio ogni ora, il Signore mi chiama a lavorare nella sua vigna per rendere questo mondo il posto migliore in cui ogni un uomo, una donna possano vivere secondo il volere di Dio.
C’è poi un terzo figlio di cui la parabola non ci parla, ma è proprio lì di fronte a noi, basta solo aprire gli occhi per vederlo: è Gesù, l’unico capace di dire il suo “sì” definitivo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8).
Come vorrei sentire Dio come Padre/Madre, come vorrei assomigliare a quel terzo figlio, come vorrei dire il mio “sì” sapendo che proprio quel terzo figlio, quello Vero è lì accanto a me pronto a prendermi per mano per condurmi davanti al Padre e proclamare senza più alcuna paura: Signore eccomi!
Commento 27 settembre 2020
“Che ve ne pare?”: è proprio bello ed incredibile un Dio che non si impone ma propone, un Dio che non fa calare dall’alto il suo insegnamento, ma ascolta cosa l’uomo pensa del suo progetto, un Dio che si affida alla libertà troppo volte ribelle dell’umanità. È un Dio che ama, inesorabilmente ama tanto da inchinarsi di fronte alla sua creatura per pregarla di accogliere il suo piano d’amore pensato per ciascuno fin dall’origine del mondo.
Nelle parole di Gesù Dio non è l’essere perfettissimo, il “motore immobile”, il “totalmente altro”, ma è simile ad un uomo che aveva due figli, un uomo che non ha nome, che non è nessuno, ma trova la sua definizione, il senso della sua vita, la radice ultima del suo esistere nell’essere un padre, nell’avere dei figli, in quella relazione d’amore.
Il popolo ebraico prescelto da Dio si riteneva in virtù di questa sua elezione “figlio di Dio”, ma a questa immagine che era molto comune nel sentimento religioso ebraico, Gesù aggiunge una novità estremamente importante: Dio è Padre di più figli, non di uno solo per cui ogni uomo, in cui è impressa l’immagine e la somiglianza del Padre, è chiamato a rivolgere a tutti sentimenti di fraternità.
Quel Dio Padre e non padrone si avvicina ai suoi figli per fare la sua proposta “Figlio, oggi vai a lavorare nella vigna!”: ora quelle parole alle orecchie dei figli appaiono in troppe occasioni come un comando, mentre in realtà sono la proposta di una vita pienamente realizzata. Sono la strada che Dio ci indica per la nostra felicità perché è proprio questo il senso del vino e della vigna presente nel corso di tutta la Bibbia; è vero una vita spesa per amore nella ricerca costante della gioia per me e per coloro che vivono accanto a me, nella costruzione di un mondo nuovo, di rapporti nuovi, comporta una certa fatica. Non è facile superare i miei e nostri egoismi, ci vuole un continuo impegno, ma soprattutto siamo invitati a combattere, a lottare senza sosta contro tutte quelle “strutture di peccato”, che segnano la società umana da sempre divisa tra ricchi e poveri, oppressi ed oppressori. Purtroppo troppe volte come gli operai della prima ora vediamo e sentiamo al termine del giorno solo la fatica per il lavoro svolto senza soffermarci sui risultati di gioia per me e per gli altri che ho contribuito ad ottenere.
Il primo figlio si ribella o forse solo si rende conto della fatica, del duro lavoro da compiere e della sua inadeguatezza, della sua incapacità, dei suoi limiti per rispondere positivamente alla proposta del Padre, ma poi ci ripensa e capisce che quell’invito ad andare nella vigna gli veniva da chi gli aveva dato la vita e che in fondo quella vigna non era solo del padre, ma anche sua, che quel mondo che il Padre aveva creato gli era stato affidato perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15); quindi pentito va nella vigna.
Al contrario “Io, signore” risponde il secondo, guardando con un certo disprezzo quel fratello che aveva avuto il coraggio di non obbedire al padre; “io, signore” proclamato, gonfiando il petto come un perfetto soldatino pieno di orgoglio e mettendo in mostra la propria fedeltà; “io, signore”, riconoscendo in chi gli chiedeva di andare a lavorare nella vigna non un padre, ma un padrone. Anche noi rivolgendoci a Dio lo chiamiamo “Signore” ma attenzione saremmo in grave errore se con quel termine intendessimo un padrone poiché questo non è il Dio che ci ha rivelato Gesù; con il termine “Signore” riconosciamo l’infinita grandezza di chi ha offerto tutto sé stesso per noi per amore (Fil 2,1-11 seconda lettura).
Allora al centro della parabola non vi è solo la reazione alla proposta di Dio, ma anche e soprattutto la mia idea di Dio: è necessaria infatti una conversione totale; fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale obbedire non riuscirò a scoprire e a vivere nel suo amore, fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale offrire sacrifici e liturgie senza cuore, non riuscirò a scoprire il volto di un Dio misericordioso che cammina al mio fianco per condurmi alla vera felicità.
Ma a quale dei due figli io assomiglio? Certo questa è la riflessione che siamo chiamati a fare. Forse io sono tutti e due quei figli, a volte pronto a dire il mio sì, un sì di chi non ha capito nulla di quello che il Signore gli chiede, inconsapevole del cammino e della fatica che deve fare; altre volte esprimendo il mio no ribelle spaventato dalla fatica ma pronto a ricredermi per lasciarmi portare dalle tenerissime mani di un Padre/Madre che mi ama incondizionatamente.
Ogni giorno, o meglio ogni ora, il Signore mi chiama a lavorare nella sua vigna per rendere questo mondo il posto migliore in cui ogni un uomo, una donna possano vivere secondo il volere di Dio.
C’è poi un terzo figlio di cui la parabola non ci parla, ma è proprio lì di fronte a noi: è Gesù l’unico capace di dire il suo “sì” definitivo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8), allora come vorrei dire il mio “sì” sapendo che quel terzo figlio, quello Vero è lì accanto a me pronto a prendermi per mano!
Nelle parole di Gesù Dio non è l’essere perfettissimo, il “motore immobile”, il “totalmente altro”, ma è simile ad un uomo che aveva due figli, un uomo che non ha nome, che non è nessuno, ma trova la sua definizione, il senso della sua vita, la radice ultima del suo esistere nell’essere un padre, nell’avere dei figli, in quella relazione d’amore.
Il popolo ebraico prescelto da Dio si riteneva in virtù di questa sua elezione “figlio di Dio”, ma a questa immagine che era molto comune nel sentimento religioso ebraico, Gesù aggiunge una novità estremamente importante: Dio è Padre di più figli, non di uno solo per cui ogni uomo, in cui è impressa l’immagine e la somiglianza del Padre, è chiamato a rivolgere a tutti sentimenti di fraternità.
Quel Dio Padre e non padrone si avvicina ai suoi figli per fare la sua proposta “Figlio, oggi vai a lavorare nella vigna!”: ora quelle parole alle orecchie dei figli appaiono in troppe occasioni come un comando, mentre in realtà sono la proposta di una vita pienamente realizzata. Sono la strada che Dio ci indica per la nostra felicità perché è proprio questo il senso del vino e della vigna presente nel corso di tutta la Bibbia; è vero una vita spesa per amore nella ricerca costante della gioia per me e per coloro che vivono accanto a me, nella costruzione di un mondo nuovo, di rapporti nuovi, comporta una certa fatica. Non è facile superare i miei e nostri egoismi, ci vuole un continuo impegno, ma soprattutto siamo invitati a combattere, a lottare senza sosta contro tutte quelle “strutture di peccato”, che segnano la società umana da sempre divisa tra ricchi e poveri, oppressi ed oppressori. Purtroppo troppe volte come gli operai della prima ora vediamo e sentiamo al termine del giorno solo la fatica per il lavoro svolto senza soffermarci sui risultati di gioia per me e per gli altri che ho contribuito ad ottenere.
Il primo figlio si ribella o forse solo si rende conto della fatica, del duro lavoro da compiere e della sua inadeguatezza, della sua incapacità, dei suoi limiti per rispondere positivamente alla proposta del Padre, ma poi ci ripensa e capisce che quell’invito ad andare nella vigna gli veniva da chi gli aveva dato la vita e che in fondo quella vigna non era solo del padre, ma anche sua, che quel mondo che il Padre aveva creato gli era stato affidato perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15); quindi pentito va nella vigna.
Al contrario “Io, signore” risponde il secondo, guardando con un certo disprezzo quel fratello che aveva avuto il coraggio di non obbedire al padre; “io, signore” proclamato, gonfiando il petto come un perfetto soldatino pieno di orgoglio e mettendo in mostra la propria fedeltà; “io, signore”, riconoscendo in chi gli chiedeva di andare a lavorare nella vigna non un padre, ma un padrone. Anche noi rivolgendoci a Dio lo chiamiamo “Signore” ma attenzione saremmo in grave errore se con quel termine intendessimo un padrone poiché questo non è il Dio che ci ha rivelato Gesù; con il termine “Signore” riconosciamo l’infinita grandezza di chi ha offerto tutto sé stesso per noi per amore (Fil 2,1-11 seconda lettura).
Allora al centro della parabola non vi è solo la reazione alla proposta di Dio, ma anche e soprattutto la mia idea di Dio: è necessaria infatti una conversione totale; fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale obbedire non riuscirò a scoprire e a vivere nel suo amore, fintantoché avrò di fronte a me un Dio padrone al quale offrire sacrifici e liturgie senza cuore, non riuscirò a scoprire il volto di un Dio misericordioso che cammina al mio fianco per condurmi alla vera felicità.
Ma a quale dei due figli io assomiglio? Certo questa è la riflessione che siamo chiamati a fare. Forse io sono tutti e due quei figli, a volte pronto a dire il mio sì, un sì di chi non ha capito nulla di quello che il Signore gli chiede, inconsapevole del cammino e della fatica che deve fare; altre volte esprimendo il mio no ribelle spaventato dalla fatica ma pronto a ricredermi per lasciarmi portare dalle tenerissime mani di un Padre/Madre che mi ama incondizionatamente.
Ogni giorno, o meglio ogni ora, il Signore mi chiama a lavorare nella sua vigna per rendere questo mondo il posto migliore in cui ogni un uomo, una donna possano vivere secondo il volere di Dio.
C’è poi un terzo figlio di cui la parabola non ci parla, ma è proprio lì di fronte a noi: è Gesù l’unico capace di dire il suo “sì” definitivo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8), allora come vorrei dire il mio “sì” sapendo che quel terzo figlio, quello Vero è lì accanto a me pronto a prendermi per mano!
Commento 1 ottobre 2017
In tempo di vendemmia la liturgia ci propone tre parabole che hanno come tema centrale la vigna. La vigna nel messaggio religioso ebraico ha da sempre significato quel popolo che Dio si è scelto, ha liberato dalla schiavitù in Egitto (sal 79 (80)), ha amato e custodito (Is 5,1). In queste tre parabole abbiamo una escalation del conflitto tra Gesù e le autorità religiose del suo popolo: dal mormorio di protesta degli operai della prima ora si passa ad un primo concreto rifiuto di collaborare, nonostante una prima risposta positiva all’invito del Padre, per giungere in conclusione all’immagine dei servi, rappresentanti quelle stesse autorità, che si spingono ad uccidere il figlio del padrone per impadronirsi della vigna.
I rabbini del tempo nel loro insegnamento parlavano al singolare di un solo figlio del padre per indicare il solo Israele, mentre nel racconto di Gesù già l’affermazione iniziale (un uomo aveva due figli) indica come nella famiglia di Dio nessuno sia escluso e tutti siamo veri suoi figli se sappiamo riconoscerci tali. Dio accoglie con lo stesso amore di Padre sia coloro che si ribellano al suo progetto, ma poi pentiti vanno nella sua vigna a lavorare, sia quelli che accolgono il suo invito ma poi non sono capaci di vivere con coerenza e costanza il loro sì. L’amore di Dio rimane perché Egli non può negare la sua natura di Padre!
Allora devo partire dalla certezza che Dio mi ama come suo figlio ed aprire il mio cuore alla tenerezza di quelle parole che il Padre rivolge ai figli (“figliolino, piccolino mio, va’ nella vigna”) per accogliere l’invito a collaborare nella gioia alla costruzione concreta del suo Regno.
Il messaggio di questa parabola è chiaro: coloro che per primi hanno accolto la proposta di Dio non riescono a capire e quindi a vivere secondo la logica d’amore di Dio e si pongono in atteggiamento di esclusione, di rifiuto innanzitutto verso chi, loro fratello, accoglie questa proposta solo in un secondo, terzo o ultimo tempo. Il non riconoscere la fraternità con gli uomini ci conduce ad un atteggiamento di esclusione e di rifiuto verso il progetto di Dio, che è per tutti i suoi figli.
La condanna per chi non vive nella logica dell’amore e dell’inclusione, già preannunciata la settimana scorsa “gli ultimi saranno i primi”, oggi si rafforza “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti (“vi prendono il posto” sarebbe la traduzione migliore) nel regno di Dio”
Ecco allora che l’invito di Paolo (seconda lettura) risuona come l’unica possibile risposta dell’uomo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Abbiamo un esempio davanti, colui che ci ha indicato e segnato la strada, Gesù; lui, che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo”. È vero, Dio non cerca servi, ma desidera unicamente figli su cui riversare la sua infinita tenerezza, ma solo chi vive da figlio scopre la bellezza di una vita spesa per amore del Padre e dei fratelli!
I rabbini del tempo nel loro insegnamento parlavano al singolare di un solo figlio del padre per indicare il solo Israele, mentre nel racconto di Gesù già l’affermazione iniziale (un uomo aveva due figli) indica come nella famiglia di Dio nessuno sia escluso e tutti siamo veri suoi figli se sappiamo riconoscerci tali. Dio accoglie con lo stesso amore di Padre sia coloro che si ribellano al suo progetto, ma poi pentiti vanno nella sua vigna a lavorare, sia quelli che accolgono il suo invito ma poi non sono capaci di vivere con coerenza e costanza il loro sì. L’amore di Dio rimane perché Egli non può negare la sua natura di Padre!
Allora devo partire dalla certezza che Dio mi ama come suo figlio ed aprire il mio cuore alla tenerezza di quelle parole che il Padre rivolge ai figli (“figliolino, piccolino mio, va’ nella vigna”) per accogliere l’invito a collaborare nella gioia alla costruzione concreta del suo Regno.
Il messaggio di questa parabola è chiaro: coloro che per primi hanno accolto la proposta di Dio non riescono a capire e quindi a vivere secondo la logica d’amore di Dio e si pongono in atteggiamento di esclusione, di rifiuto innanzitutto verso chi, loro fratello, accoglie questa proposta solo in un secondo, terzo o ultimo tempo. Il non riconoscere la fraternità con gli uomini ci conduce ad un atteggiamento di esclusione e di rifiuto verso il progetto di Dio, che è per tutti i suoi figli.
La condanna per chi non vive nella logica dell’amore e dell’inclusione, già preannunciata la settimana scorsa “gli ultimi saranno i primi”, oggi si rafforza “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti (“vi prendono il posto” sarebbe la traduzione migliore) nel regno di Dio”
Ecco allora che l’invito di Paolo (seconda lettura) risuona come l’unica possibile risposta dell’uomo: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Abbiamo un esempio davanti, colui che ci ha indicato e segnato la strada, Gesù; lui, che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo”. È vero, Dio non cerca servi, ma desidera unicamente figli su cui riversare la sua infinita tenerezza, ma solo chi vive da figlio scopre la bellezza di una vita spesa per amore del Padre e dei fratelli!