XI domenica T.O. Anno B
Vangelo Mc 4, 26-34
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
Commento 13 giugno 2021
Gesù è venuto ad inaugurare il Regno di Dio, ad iniziare una nuova esperienza di salvezza per ogni uomo e donna di questo mondo, ma che cosa è il Regno di Dio? È questa la questione a cui tutta la nostra fede ed il nostro percorso spirituale si riduce, è questo il problema fondamentale perché dall’aver accolto o meno quel regno dipenderà tutta la nostra vita; infatti se Dio è amore accogliere il suo Regno non è altro che vivere la vita nella logica del dono e del perdono.
Il vangelo di oggi ci propone due brevi e semplici parabole, piccole ma preziose con un unico protagonista, un piccolo seme. Sono poche righe per raccontare cosa è il regno di Dio e mi scappa quasi da ridere (è però un sorriso amaro) se ripenso ai miei studi teologici, alle ore passate sui libri, agli esami dati perché troppe volte ci complichiamo la vita con discorsi inutili: quanti volumi sono stati scritti e quanti sforzi intellettuali l’umanità ha compiuto nel corso della sua storia per capire il divino, il senso del mondo, per cogliere qualcosa che invece è talmente semplice da sfiorare il banale come il comprendere che l’acqua bagna o il fuoco brucia.
Gesù indica il Regno di Dio non nell’impressionante grandezza del cedro (prima lettura), ma nella semplice piccolezza di un seme che ha bisogno di un terreno accogliente per poter germogliare e portare frutto: ecco l’idea di un Dio che non costruisce il suo mondo nell’onnipotenza, ma nel bisogno, mendicando alle porte del nostro cuore attenzione ed accoglienza perché il regno di Dio è un piccolo seme che ha in sé la potenzialità per diventare qualcosa di bello e di grande, ma ha necessità di un terreno buono per crescere, si affida alla libertà di quella terra buona per produrre frutti, ma soprattutto, ed è questa la buona notizia, una volta trovato quel terreno lo sviluppo di questo sarà inesorabile perché l’amore è tutto e solo che ciò che nella vita di una donna e di un uomo conta.
Se il Regno è un seme e prima Gesù ed oggi noi, suoi discepoli, siamo i contadini, a noi sono richiesti due atteggiamenti: seminare, o meglio gettare abbondantemente il seme, e “mandare” la falce al tempo opportuno per la mietitura e tra questi due momenti attendere con fiducia perché il seme farà tutto il resto; sarà infatti suo compito germogliare, crescere, produrre frutto in un modo che forse neppure il contadino stesso conosce.
Di fronte a tutti i nostri piani pastorali e a tutte le indicazioni decennali che i nostri vescovi ci propongono ecco l’unico piano pastorale che ci propone Dio: gettare a piene mani il seme anche dove non appare possibile che questo possa crescere (era questo il tema dei versetti precedenti) ed attendere, perché “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme porterà il suo frutto. Gettare a piene mani senza preoccuparsi di dove questo seme possa andare a cadere; annunciare il vangelo, la buona notizia dell’amore di Dio per ciascuno di noi, senza preoccuparsi di avere orecchie e cuori attenti, poiché sarà il seme stesso a trovare quel piccolo spazio della nostra vita a cui attaccarsi per germogliare, senza preoccuparsi di avere successo nelle nostre attività perché il nostro successo la nostra ricompensa sta nell’annuncio (1 Cor 9,16.18).
Una cosa sola conta: sentire nascere e crescere dentro di noi quel seme d’amore infinito che qualcuno ha impiantato nel nostro cuore, un seme che diventa gioia e amore che non posso fare a meno di condividere con chi amo, con chi cammina al mio fianco nella vita: nella mia vita di insegnante, di catechista, nell’incontro fraterno con chi condivide il mio stesso cammino spirituale, ma soprattutto nell’essere padre e marito in famiglia sento il “dovere” di raccontare le meraviglie dell’amore di Dio, come un innamorato sente l’impulso di raccontare a tutti non solo alla persona amata il suo amore; è un “dovere” che non guarda al raccolto, che non pretende di vedere i frutti. A volte mi chiedo cosa ho costruito con il mio lavoro: ho incontrato diverse migliaia di ragazzi, con molti di loro ho trascorso quasi 100 ore a raccontare il vangelo di Dio, sarà rimasto qualcosa? Nel loro cuore non so, ma nel mio certamente sì! La gioia dell’incontro, la certezza di aver gettato un piccolo semplice seme e poi la speranza e la fiducia che quel seme possa un giorno, già oggi o chissà quando, portare frutto, sapendo che ci sarà qualcuno che metterà mano alla falce “perché è arrivata la mietitura”.
Annunciamo, testimoniamo il vangelo al resto penserà quel Padre/Madre che ama infinitamente i suoi figli, gettiamo il seme del regno di Dio al di là del possibile successo o fallimento di ogni nostra azione pastorale, perché sappiamo che Dio, agendo in modi a noi sconosciuti, guiderà ogni donna e uomo alla salvezza.
Dico tutto questo mentre di fronte a noi in questo mondo sembra prevalere il male, l’intolleranza, l’esclusione e la pandemia non ha fatto altro che amplificare tutto questo, ma Gesù mi ricorda che solo vivendo nell’amore di una fraternità universale posso costruire un mondo più umano e perciò più bello in cui vivere.
Nella seconda parabola Gesù ci parla del Regno di Dio come di un granello di senape, il più piccolo tra tutti i semi, quasi invisibile agli occhi, ma che germogliando e crescendo diventa il più grande tra gli arbusti dell’orto. Da piccolo ascoltando questa parabola immaginavo questo come un albero maestoso che mostrava a tutti la sua enorme grandezza rispetto agli altri alberi, non è così! Anche gli israeliti immaginavano il Regno di Dio come un cedro, l’albero più grande e perciò potente tra gli alberi conosciuti, il Ragno che Gesù ha annunciato e portato non è così; non è un albero, ma solo un arbusto molto alto che spicca tra gli altri ortaggi. Ecco che la similitudine parla alle nostre vite: l’arbusto di senape sta nell’orto, è coltivato dall’uomo, fa parte della sua vita, diremmo più semplicemente sta nella sua casa, tra tutte queste piante è la più grande ed è capace di fare ombra, dare ristoro all’uomo. Quel piccolo seme che qualche contadino della nostra vita ha seminato nel nostro cuore ora è diventato la più grande tra le piante del nostro orto, tra tutte le situazioni e le vicende della nostra vita è la più grande, quella di cui abbiamo maggiore necessità ed alla sua ombra troviamo ristoro, poiché solo nella misericordia di Dio, solo abbracciati dal suo infinito amore noi possiamo trovare quella gioia per la quale siamo stati pensati e creati fin dall’origine (S. Agostino, Confessioni 1,1).
“Tutti gli uccelli del cielo possono fare il nido” all’ombra di questo arbusto: se nell’episodio dell’alleanza di Dio con Abramo gli uccelli rapaci vengono scacciati, esclusi dalla benedizione e dalla promessa (Gn 15), oggi nel Regno di Dio nessuno è escluso e tra i rami di questo arbusto, le nostre braccia che altro non sono che le braccia di Dio, tutti potranno trovare un porto a cui attraccare la nave della loro vita disperata.
Tra le braccia di Dio tutti possiamo essere accolti, tutti possiamo costruire il nostro nido alla sua ombra, tutti nessuno escluso possiamo vivere nella misericordia del Padre.
Il vangelo di oggi ci propone due brevi e semplici parabole, piccole ma preziose con un unico protagonista, un piccolo seme. Sono poche righe per raccontare cosa è il regno di Dio e mi scappa quasi da ridere (è però un sorriso amaro) se ripenso ai miei studi teologici, alle ore passate sui libri, agli esami dati perché troppe volte ci complichiamo la vita con discorsi inutili: quanti volumi sono stati scritti e quanti sforzi intellettuali l’umanità ha compiuto nel corso della sua storia per capire il divino, il senso del mondo, per cogliere qualcosa che invece è talmente semplice da sfiorare il banale come il comprendere che l’acqua bagna o il fuoco brucia.
Gesù indica il Regno di Dio non nell’impressionante grandezza del cedro (prima lettura), ma nella semplice piccolezza di un seme che ha bisogno di un terreno accogliente per poter germogliare e portare frutto: ecco l’idea di un Dio che non costruisce il suo mondo nell’onnipotenza, ma nel bisogno, mendicando alle porte del nostro cuore attenzione ed accoglienza perché il regno di Dio è un piccolo seme che ha in sé la potenzialità per diventare qualcosa di bello e di grande, ma ha necessità di un terreno buono per crescere, si affida alla libertà di quella terra buona per produrre frutti, ma soprattutto, ed è questa la buona notizia, una volta trovato quel terreno lo sviluppo di questo sarà inesorabile perché l’amore è tutto e solo che ciò che nella vita di una donna e di un uomo conta.
Se il Regno è un seme e prima Gesù ed oggi noi, suoi discepoli, siamo i contadini, a noi sono richiesti due atteggiamenti: seminare, o meglio gettare abbondantemente il seme, e “mandare” la falce al tempo opportuno per la mietitura e tra questi due momenti attendere con fiducia perché il seme farà tutto il resto; sarà infatti suo compito germogliare, crescere, produrre frutto in un modo che forse neppure il contadino stesso conosce.
Di fronte a tutti i nostri piani pastorali e a tutte le indicazioni decennali che i nostri vescovi ci propongono ecco l’unico piano pastorale che ci propone Dio: gettare a piene mani il seme anche dove non appare possibile che questo possa crescere (era questo il tema dei versetti precedenti) ed attendere, perché “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme porterà il suo frutto. Gettare a piene mani senza preoccuparsi di dove questo seme possa andare a cadere; annunciare il vangelo, la buona notizia dell’amore di Dio per ciascuno di noi, senza preoccuparsi di avere orecchie e cuori attenti, poiché sarà il seme stesso a trovare quel piccolo spazio della nostra vita a cui attaccarsi per germogliare, senza preoccuparsi di avere successo nelle nostre attività perché il nostro successo la nostra ricompensa sta nell’annuncio (1 Cor 9,16.18).
Una cosa sola conta: sentire nascere e crescere dentro di noi quel seme d’amore infinito che qualcuno ha impiantato nel nostro cuore, un seme che diventa gioia e amore che non posso fare a meno di condividere con chi amo, con chi cammina al mio fianco nella vita: nella mia vita di insegnante, di catechista, nell’incontro fraterno con chi condivide il mio stesso cammino spirituale, ma soprattutto nell’essere padre e marito in famiglia sento il “dovere” di raccontare le meraviglie dell’amore di Dio, come un innamorato sente l’impulso di raccontare a tutti non solo alla persona amata il suo amore; è un “dovere” che non guarda al raccolto, che non pretende di vedere i frutti. A volte mi chiedo cosa ho costruito con il mio lavoro: ho incontrato diverse migliaia di ragazzi, con molti di loro ho trascorso quasi 100 ore a raccontare il vangelo di Dio, sarà rimasto qualcosa? Nel loro cuore non so, ma nel mio certamente sì! La gioia dell’incontro, la certezza di aver gettato un piccolo semplice seme e poi la speranza e la fiducia che quel seme possa un giorno, già oggi o chissà quando, portare frutto, sapendo che ci sarà qualcuno che metterà mano alla falce “perché è arrivata la mietitura”.
Annunciamo, testimoniamo il vangelo al resto penserà quel Padre/Madre che ama infinitamente i suoi figli, gettiamo il seme del regno di Dio al di là del possibile successo o fallimento di ogni nostra azione pastorale, perché sappiamo che Dio, agendo in modi a noi sconosciuti, guiderà ogni donna e uomo alla salvezza.
Dico tutto questo mentre di fronte a noi in questo mondo sembra prevalere il male, l’intolleranza, l’esclusione e la pandemia non ha fatto altro che amplificare tutto questo, ma Gesù mi ricorda che solo vivendo nell’amore di una fraternità universale posso costruire un mondo più umano e perciò più bello in cui vivere.
Nella seconda parabola Gesù ci parla del Regno di Dio come di un granello di senape, il più piccolo tra tutti i semi, quasi invisibile agli occhi, ma che germogliando e crescendo diventa il più grande tra gli arbusti dell’orto. Da piccolo ascoltando questa parabola immaginavo questo come un albero maestoso che mostrava a tutti la sua enorme grandezza rispetto agli altri alberi, non è così! Anche gli israeliti immaginavano il Regno di Dio come un cedro, l’albero più grande e perciò potente tra gli alberi conosciuti, il Ragno che Gesù ha annunciato e portato non è così; non è un albero, ma solo un arbusto molto alto che spicca tra gli altri ortaggi. Ecco che la similitudine parla alle nostre vite: l’arbusto di senape sta nell’orto, è coltivato dall’uomo, fa parte della sua vita, diremmo più semplicemente sta nella sua casa, tra tutte queste piante è la più grande ed è capace di fare ombra, dare ristoro all’uomo. Quel piccolo seme che qualche contadino della nostra vita ha seminato nel nostro cuore ora è diventato la più grande tra le piante del nostro orto, tra tutte le situazioni e le vicende della nostra vita è la più grande, quella di cui abbiamo maggiore necessità ed alla sua ombra troviamo ristoro, poiché solo nella misericordia di Dio, solo abbracciati dal suo infinito amore noi possiamo trovare quella gioia per la quale siamo stati pensati e creati fin dall’origine (S. Agostino, Confessioni 1,1).
“Tutti gli uccelli del cielo possono fare il nido” all’ombra di questo arbusto: se nell’episodio dell’alleanza di Dio con Abramo gli uccelli rapaci vengono scacciati, esclusi dalla benedizione e dalla promessa (Gn 15), oggi nel Regno di Dio nessuno è escluso e tra i rami di questo arbusto, le nostre braccia che altro non sono che le braccia di Dio, tutti potranno trovare un porto a cui attraccare la nave della loro vita disperata.
Tra le braccia di Dio tutti possiamo essere accolti, tutti possiamo costruire il nostro nido alla sua ombra, tutti nessuno escluso possiamo vivere nella misericordia del Padre.
Commento 17 giugno 2018
Due brevi semplici parabole, piccole ma preziose ed un unico protagonista un piccolo seme. Sono poche righe per raccontare cosa è il regno di Dio. Troppe volte ci complichiamo la vita con discorsi inutili: quanti libri sono stati scritti e quanti sforzi intellettuali l’umanità ha compiuto nel corso della sua storia per capire il divino, il senso del mondo; Gesù dice che il regno di Dio è un piccolo seme che ha in sé la potenzialità per diventare qualcosa di bello e di grande e, soprattutto, ecco la buona notizia, questo sviluppo sarà inesorabile perché l’amore è tutto e solo che ciò che nella vita di una donna e di un uomo conta.
La prima ci racconta di un contadino, al quale è richiesta una duplice azione: gettare il seme e “mandare” la falce al tempo opportuno per la mietitura; mentre il seme farà tutto il resto, crescerà, germoglierà, producendo la pianta ed il frutto “automaticamente” come il contadino stesso neppure sa.
Ecco il piano pastorale che ci propone Dio: gettare a piene mani il seme anche dove non appare possibile che questo possa crescere (era questo il tema dei versetti precedenti) ed attendere, perché “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme porterà il suo frutto. Gettare a piene mani senza preoccuparsi di dove questo seme possa andare a cadere; annunciare il vangelo, la buona notizia dell’amore di Dio per ciascuno di noi, senza preoccuparsi di avere orecchie e cuori attenti, poiché sarà il seme stesso a trovare quel piccolo spazio della nostra vita a cui attaccarsi per germogliare, senza preoccuparsi di avere successo nelle nostre attività perché il nostro successo sta nell’annuncio. Scrive San Paolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo” (1 Cor 9,16.18). Ecco il nostro compito: sentire irrompere nella nostra vita quel seme d’amore infinito tanto da portare frutto perché si accresca il sogno di Dio di un mondo più umano. Al contadino, a ciascuno di noi non deve neanche interessare il raccolto: come è gettato il seme così sarà gettata, mandata la falce a mietere il grano: annunciamo, testimoniamo al resto penserà quel Padre/Madre che ama infinitamente i suoi figli. Gettiamo il seme, portiamo il Vangelo al di là del possibile successo o fallimento di ogni nostra azione pastorale, perché sappiamo che Dio agirà in modi a noi sconosciuti, ma guiderà ogni donna e uomo alla salvezza.
Dico tutto questo mentre di fronte a noi in questo mondo sembra prevalere il male, l’intolleranza, l’esclusione, la disumanità: Cristo mi ricorda che solo vivendo nell’amore di una fraternità universale posso costruire un mondo bello in cui vivere.
La seconda parabola ci parla del seme del Regno di Dio: esso è il più piccolo tra tutti i semi, sembra quasi invisibile, ma cresce e diventa il più grande tra tutti gli ortaggi. Attenzione non è gigantesco come ad esempio io immaginavo da bambino ascoltando questa parabola o come pensavano gli israeliti che paragonavano il regno ad un gigantesco cedro del Libano; l’arbusto di senape può raggiungere circa i tre metri di altezza sufficienti però a fare ombra ad un uomo. Ecco che la similitudine diventa parlante alle nostre vite: l’arbusto di senape sta nell’orto, è coltivato dall’uomo, fa parte della sua vita, diremmo più semplicemente sta nella sua casa, tra tutte queste piante è la più grande ed è capace di fare ombra, dare ristoro all’uomo. Riportiamo il discorso al Regno di Dio: esso sta vicino all’uomo, non gli è estraneo e non viene dal di fuori, è già presente nei nostri cuori, tra tutte le situazioni e le vicende dell’uomo è la più grande, quella di cui l’uomo ha maggiore necessità ed infine alla sua ombra troviamo ristoro, poiché solo nella misericordia di Dio, solo abbracciati dal suo infinito amore noi possiamo trovare quella gioia per la quale siamo stati pensati e creati fin dall’origine (S. Agostino, Confessioni 1,1).
Diventa pieno di valore simbolico anche l’indicazione che tra i rami di questo arbusto possano nidificare gli uccelli: nell’immaginario israelita gli uccelli rappresentano i popoli pagani, lontani da Dio e che non hanno accolto il suo messaggio; infatti nell’episodio dell’alleanza di Dio con Abramo gli uccelli rapaci vengono scacciati, esclusi dalla benedizione e dalla promessa (Gn 15). Ecco nel Regno di Dio coloro che sono esclusi dal mondo saranno i protagonisti e potranno nidificare, trovare alloggio, direi meglio a commento di quanto accaduto in questi giorni, potranno trovare un porto a cui attraccare la nave della loro vita disperata.
Tra le braccia di Dio tutti possiamo essere accolti, tutti possiamo costruire il nostro nido alla sua ombra, tutti nessuno escluso possiamo vivere nella misericordia del Padre.
La prima ci racconta di un contadino, al quale è richiesta una duplice azione: gettare il seme e “mandare” la falce al tempo opportuno per la mietitura; mentre il seme farà tutto il resto, crescerà, germoglierà, producendo la pianta ed il frutto “automaticamente” come il contadino stesso neppure sa.
Ecco il piano pastorale che ci propone Dio: gettare a piene mani il seme anche dove non appare possibile che questo possa crescere (era questo il tema dei versetti precedenti) ed attendere, perché “dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme porterà il suo frutto. Gettare a piene mani senza preoccuparsi di dove questo seme possa andare a cadere; annunciare il vangelo, la buona notizia dell’amore di Dio per ciascuno di noi, senza preoccuparsi di avere orecchie e cuori attenti, poiché sarà il seme stesso a trovare quel piccolo spazio della nostra vita a cui attaccarsi per germogliare, senza preoccuparsi di avere successo nelle nostre attività perché il nostro successo sta nell’annuncio. Scrive San Paolo: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo” (1 Cor 9,16.18). Ecco il nostro compito: sentire irrompere nella nostra vita quel seme d’amore infinito tanto da portare frutto perché si accresca il sogno di Dio di un mondo più umano. Al contadino, a ciascuno di noi non deve neanche interessare il raccolto: come è gettato il seme così sarà gettata, mandata la falce a mietere il grano: annunciamo, testimoniamo al resto penserà quel Padre/Madre che ama infinitamente i suoi figli. Gettiamo il seme, portiamo il Vangelo al di là del possibile successo o fallimento di ogni nostra azione pastorale, perché sappiamo che Dio agirà in modi a noi sconosciuti, ma guiderà ogni donna e uomo alla salvezza.
Dico tutto questo mentre di fronte a noi in questo mondo sembra prevalere il male, l’intolleranza, l’esclusione, la disumanità: Cristo mi ricorda che solo vivendo nell’amore di una fraternità universale posso costruire un mondo bello in cui vivere.
La seconda parabola ci parla del seme del Regno di Dio: esso è il più piccolo tra tutti i semi, sembra quasi invisibile, ma cresce e diventa il più grande tra tutti gli ortaggi. Attenzione non è gigantesco come ad esempio io immaginavo da bambino ascoltando questa parabola o come pensavano gli israeliti che paragonavano il regno ad un gigantesco cedro del Libano; l’arbusto di senape può raggiungere circa i tre metri di altezza sufficienti però a fare ombra ad un uomo. Ecco che la similitudine diventa parlante alle nostre vite: l’arbusto di senape sta nell’orto, è coltivato dall’uomo, fa parte della sua vita, diremmo più semplicemente sta nella sua casa, tra tutte queste piante è la più grande ed è capace di fare ombra, dare ristoro all’uomo. Riportiamo il discorso al Regno di Dio: esso sta vicino all’uomo, non gli è estraneo e non viene dal di fuori, è già presente nei nostri cuori, tra tutte le situazioni e le vicende dell’uomo è la più grande, quella di cui l’uomo ha maggiore necessità ed infine alla sua ombra troviamo ristoro, poiché solo nella misericordia di Dio, solo abbracciati dal suo infinito amore noi possiamo trovare quella gioia per la quale siamo stati pensati e creati fin dall’origine (S. Agostino, Confessioni 1,1).
Diventa pieno di valore simbolico anche l’indicazione che tra i rami di questo arbusto possano nidificare gli uccelli: nell’immaginario israelita gli uccelli rappresentano i popoli pagani, lontani da Dio e che non hanno accolto il suo messaggio; infatti nell’episodio dell’alleanza di Dio con Abramo gli uccelli rapaci vengono scacciati, esclusi dalla benedizione e dalla promessa (Gn 15). Ecco nel Regno di Dio coloro che sono esclusi dal mondo saranno i protagonisti e potranno nidificare, trovare alloggio, direi meglio a commento di quanto accaduto in questi giorni, potranno trovare un porto a cui attraccare la nave della loro vita disperata.
Tra le braccia di Dio tutti possiamo essere accolti, tutti possiamo costruire il nostro nido alla sua ombra, tutti nessuno escluso possiamo vivere nella misericordia del Padre.