VI Domenica di Pasqua Anno A
Vangelo Gv 14, 15-21
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Vangelo Gv 14, 15-21
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Commento 14 maggio 2023
Se mi amate… quante volte ho sentito questa frase usata come un ricatto da un bambino viziato che cerca di farsi regalare l’ultimo giocattolo di moda dai genitori; o da un adolescente che cerca maggiore libertà per uscire con gli amici; o ancora da un uomo, una donna nei confronti della persona amata per ottenere favori a prova dell’amore; parole forti pronunciate ogni volta che l’amore dall’essere dono di sé all’altro diventa legame mortale ad uso e consumo dell’egoismo di qualcuno. Così di primo acchito la mia mente corre subito a pensare quanto quelle parole stonano se messe sulle labbra di Gesù, ma riflettendoci bene riconosco che quel “se mi amate” non abbia nessuna volontà ricattatoria, ma sia segno di una logica consequenzialità tra l’amore e l’osservanza dei comandamenti. Gesù non detta regole, si fa presente alla nostra vita, quasi mendicante d’amore con rispetto e pazienza. Gesù non rivendica nessun tipo d’amore per sé, ma chiaramente lo spera e lo desidera come ogni innamorato desidera essere ricambiato dalla persona amata. Lo ripeto spesso, ma è perché ne sono sempre più convinto: la fede cristiana non è un insieme di dogmi, di regole o di leggi morali, ma un rapporto d’amore infinito che lega Dio a ciascuno di noi, un rapporto che siamo chiamati con i nostri limiti a vivere riversando questo stesso amore sui fratelli e le sorelle che condividono con noi il cammino della vita.
Ora per amare Dio, che è Amore, è necessario osservare i suoi comandamenti e ricordo a tutti e a me stesso che in realtà noi abbiamo un unico comandamento, quello nuovo che Gesù ci ha lasciato; in conclusione essere discepoli di Cristo non significa altro che inserirsi in un incredibile, immenso e meraviglioso circolo virtuoso dell’amore: “se mi amate amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; 15,12)
Forse è proprio questo il motivo per cui Giovanni usa questo termine in modo così ridondante da far rabbrividire i puristi della lingua, ben 26 volte (se non ho sbagliato i conti) nel solo discorso d’addio che Gesù pronuncia durante l’ultima cena ai suoi discepoli. Ora Giovanni per parlare di amore non usa un termine tra i tanti della lingua greca ma uno particolare, divenuto poi tecnico nel mondo cristiano ἀγάπη (agápē).
L’agápē è l’amore in pura perdita, quello di chi non pensa a sé stesso o al proprio tornaconto, ma pensa soltanto a rendere felice chi è nel bisogno mettendo sé stesso e tutte le proprie capacità per donare vita anche se l’altro fosse un nemico; insomma oltre questo orizzonte d’amore è impossibile andare.
Nell’inno all’agápē, alla carità di San Paolo (1Cor 13) ad un certo punto si dice che l’amore, la carità è benigna, ma in realtà la traduzione migliore di questo versetto sarebbe l’amore “che sa adattarsi a ogni situazione”, che momento per momento sa discernere il bene da compiere, in ogni circostanza sa riconoscere ciò che vuole lo Spirito; insomma quell’unico comandamento dell’amore si deve concretizzare nelle diverse e particolari esigenze del prossimo.
La proposta di Gesù è chiara e supera ogni limite della ragionevolezza umana: amatevi alla follia come folle è il pastore che lascia le 99 pecore per andare a cercare quell’unica pecorella smarrita che sono io, che siamo ciascuno di noi nei momenti bui della vita! Amatevi con quell’incredibile forza che vi permette di andare incontro a tutti coloro che dal mondo sono scartati perché poveri, malati o perché considerati peccatori e maledetti da Dio mentre al contrario siamo solo noi uomini capaci di maledire poiché Dio non sa far altro che dire bene, riconoscere quel poco bene che è in noi!
Dio è amore, un amore infinito ed incondizionato che ci pervade, che sta dentro di noi, un amore che è innestato in me e mi permette di creare amore intorno a me. In questo amore ci sono, ci siamo già dentro, forse dobbiamo solo prenderne coscienza e viverlo in pienezza.
A poche ore dalla sua passione e crocifissione, in quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: il Signore ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo, eppure la sua preoccupazione è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, lasciandoci soli e dalle sue labbra nascono parole di conforto: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”; ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia, ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”, perché per il mondo la croce è scandalo per chi crede e stoltezza per chi è sapiente. Dio lo conosciamo solo nell’amore perché Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”.
Apriamo il nostro cuore per accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
A chi vuol essere discepolo di Cristo non serve altro se non l’amore, la carità, perché ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà, solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
Ora per amare Dio, che è Amore, è necessario osservare i suoi comandamenti e ricordo a tutti e a me stesso che in realtà noi abbiamo un unico comandamento, quello nuovo che Gesù ci ha lasciato; in conclusione essere discepoli di Cristo non significa altro che inserirsi in un incredibile, immenso e meraviglioso circolo virtuoso dell’amore: “se mi amate amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34; 15,12)
Forse è proprio questo il motivo per cui Giovanni usa questo termine in modo così ridondante da far rabbrividire i puristi della lingua, ben 26 volte (se non ho sbagliato i conti) nel solo discorso d’addio che Gesù pronuncia durante l’ultima cena ai suoi discepoli. Ora Giovanni per parlare di amore non usa un termine tra i tanti della lingua greca ma uno particolare, divenuto poi tecnico nel mondo cristiano ἀγάπη (agápē).
L’agápē è l’amore in pura perdita, quello di chi non pensa a sé stesso o al proprio tornaconto, ma pensa soltanto a rendere felice chi è nel bisogno mettendo sé stesso e tutte le proprie capacità per donare vita anche se l’altro fosse un nemico; insomma oltre questo orizzonte d’amore è impossibile andare.
Nell’inno all’agápē, alla carità di San Paolo (1Cor 13) ad un certo punto si dice che l’amore, la carità è benigna, ma in realtà la traduzione migliore di questo versetto sarebbe l’amore “che sa adattarsi a ogni situazione”, che momento per momento sa discernere il bene da compiere, in ogni circostanza sa riconoscere ciò che vuole lo Spirito; insomma quell’unico comandamento dell’amore si deve concretizzare nelle diverse e particolari esigenze del prossimo.
La proposta di Gesù è chiara e supera ogni limite della ragionevolezza umana: amatevi alla follia come folle è il pastore che lascia le 99 pecore per andare a cercare quell’unica pecorella smarrita che sono io, che siamo ciascuno di noi nei momenti bui della vita! Amatevi con quell’incredibile forza che vi permette di andare incontro a tutti coloro che dal mondo sono scartati perché poveri, malati o perché considerati peccatori e maledetti da Dio mentre al contrario siamo solo noi uomini capaci di maledire poiché Dio non sa far altro che dire bene, riconoscere quel poco bene che è in noi!
Dio è amore, un amore infinito ed incondizionato che ci pervade, che sta dentro di noi, un amore che è innestato in me e mi permette di creare amore intorno a me. In questo amore ci sono, ci siamo già dentro, forse dobbiamo solo prenderne coscienza e viverlo in pienezza.
A poche ore dalla sua passione e crocifissione, in quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: il Signore ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo, eppure la sua preoccupazione è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, lasciandoci soli e dalle sue labbra nascono parole di conforto: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”; ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia, ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”, perché per il mondo la croce è scandalo per chi crede e stoltezza per chi è sapiente. Dio lo conosciamo solo nell’amore perché Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”.
Apriamo il nostro cuore per accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
A chi vuol essere discepolo di Cristo non serve altro se non l’amore, la carità, perché ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà, solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
Commento 17 maggio 2020
In questa sesta domenica di Pasqua, nella quale intravediamo la possibilità di riprendere tra una settimana a celebrare insieme l’eucaristia, come la luce alla fine del tunnel di questo tempo di difficoltà, siamo invitati a cogliere il senso del nostro vivere nell’amore. Speriamo che questa sia davvero l’ultima domenica senza eucaristia, ma ricordiamo che non siamo stati soli senza Dio; certamente come ha affermato lo stesso vescovo di Roma papa Francesco, non vi è Eucaristia, non è Chiesa senza popolo, ma è altrettanto vero che abbiamo sperimentato tutti un modo nuovo di rapportarsi con il Signore, un rapporto di maggiore intimità, un rapporto profondo, spirituale, che siamo chiamati a rinnovare ogni giorno anche quando ci sarà concesso di celebrare insieme l’eucaristia: intendo dire non è il mangiare l’ostia ciò che ci cambia la vita, anche se chi vi parla ha sofferto enormemente il fatto di non potersi accostare al Corpo di Cristo sacramentalmente: il cristiano non vive di solo pane anche eucaristico, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
La liturgia continua a proporci quelle che, secondo il vangelo di Giovanni furono le ultime parole, le più importanti, una sorta di testamento di Gesù, parole pronunciate durante quell’ultima cena insieme ai suoi discepoli.
Devo ammettere che le prime parole di Gesù stonano alla mia particolare sensibilità “Se mi amate,…”; quante volte ho sentito questa frase usata come un ricatto da un bambino viziato che cerca di farsi regalare l’ultimo giocattolo di moda dai genitori; o da un adolescente che cerca maggiore libertà per uscire con gli amici; o ancora da un uomo, una donna nei confronti della persona amata per ottenere favori a prova dell’amore; insomma ogni volta che l’amore dall’essere dono dei doni diventa legame mortale ad uso e consumo dell’egoismo di qualcuno.
Quel “se mi amate” in questo caso non ha nessuna valenza ricattatoria, ma è segno di una logica consequenzialità tra l’amore e l’osservanza dei comandamenti; la fede cristiana non è un insieme di dogmi o di regole o di leggi morali è un rapporto d’amore infinito che lega Dio a ciascuno di noi, un rapporto che siamo chiamati con i nostri limiti a vivere riversando questo amore sui fratelli e le sorelle che condividono con noi il cammino della vita.
Qui Gesù parla di comandamenti, ma di lì a poco indicherà un solo nuovo comandamento l’amore reciproco come Gesù stesso ci ha amati (Gv 15,12), ma quell’unico comandamento si manifesta in molteplici sfaccettature, l’amore infatti si esprime in ogni singola azione ed è necessario discernere qui e ora ciò che l’unico comandamento ci chiama a fare. Nell’inno alla carità di San Paolo (1Cor 13) ad un certo punto si dice che l’amore, la carità è benigna, ma in realtà la traduzione migliore di questo versetto sarebbe l’amore “che sa adattarsi a ogni situazione”, che momento per momento sa discernere il bene da compiere, in ogni circostanza sa riconoscere ciò che vuole lo Spirito; insomma l’unico comandamento dell’amore si concretizza nelle diverse esigenze del prossimo.
In quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo. Eppure la preoccupazione di Gesù è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, che ci lascia soli, che ci abbandona. Ci conforta la sua parola: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”; ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia, ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”, perché per il mondo la croce è scandalo per chi crede e stoltezza per chi è sapiente. Dio lo conosciamo solo nell’amore perché Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”.
Apriamo il nostro cuore per accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
A chi vuol essere discepolo di Cristo non serve altro se non l’amore, la carità, perché ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà, solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
La liturgia continua a proporci quelle che, secondo il vangelo di Giovanni furono le ultime parole, le più importanti, una sorta di testamento di Gesù, parole pronunciate durante quell’ultima cena insieme ai suoi discepoli.
Devo ammettere che le prime parole di Gesù stonano alla mia particolare sensibilità “Se mi amate,…”; quante volte ho sentito questa frase usata come un ricatto da un bambino viziato che cerca di farsi regalare l’ultimo giocattolo di moda dai genitori; o da un adolescente che cerca maggiore libertà per uscire con gli amici; o ancora da un uomo, una donna nei confronti della persona amata per ottenere favori a prova dell’amore; insomma ogni volta che l’amore dall’essere dono dei doni diventa legame mortale ad uso e consumo dell’egoismo di qualcuno.
Quel “se mi amate” in questo caso non ha nessuna valenza ricattatoria, ma è segno di una logica consequenzialità tra l’amore e l’osservanza dei comandamenti; la fede cristiana non è un insieme di dogmi o di regole o di leggi morali è un rapporto d’amore infinito che lega Dio a ciascuno di noi, un rapporto che siamo chiamati con i nostri limiti a vivere riversando questo amore sui fratelli e le sorelle che condividono con noi il cammino della vita.
Qui Gesù parla di comandamenti, ma di lì a poco indicherà un solo nuovo comandamento l’amore reciproco come Gesù stesso ci ha amati (Gv 15,12), ma quell’unico comandamento si manifesta in molteplici sfaccettature, l’amore infatti si esprime in ogni singola azione ed è necessario discernere qui e ora ciò che l’unico comandamento ci chiama a fare. Nell’inno alla carità di San Paolo (1Cor 13) ad un certo punto si dice che l’amore, la carità è benigna, ma in realtà la traduzione migliore di questo versetto sarebbe l’amore “che sa adattarsi a ogni situazione”, che momento per momento sa discernere il bene da compiere, in ogni circostanza sa riconoscere ciò che vuole lo Spirito; insomma l’unico comandamento dell’amore si concretizza nelle diverse esigenze del prossimo.
In quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo. Eppure la preoccupazione di Gesù è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, che ci lascia soli, che ci abbandona. Ci conforta la sua parola: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi”; ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia, ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”, perché per il mondo la croce è scandalo per chi crede e stoltezza per chi è sapiente. Dio lo conosciamo solo nell’amore perché Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”.
Apriamo il nostro cuore per accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
A chi vuol essere discepolo di Cristo non serve altro se non l’amore, la carità, perché ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà, solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
Commento 21 maggio 2017
Se ad una prima lettura questo brano può sembrarci complicato, farraginoso, ripetitivo e anche noioso, questo vangelo è invece ricco di amore e tenerezza. Inserito, infatti nel suo contesto assume una luce particolare: siamo nei discorsi di addio, che Gesù rivolge ai suoi discepoli durante l’ultima cena. Ormai è chiaro quello che sta per succedere la storia di Gesù si va a concludere con una morte atroce (in croce si moriva soffocati dal peso del proprio stesso corpo) ed infamante perché era la morte destinata a coloro che avevano tentato di ribellarsi al potere romano costituito.
In quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo. Eppure la preoccupazione di Gesù è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, che ci lascia soli, che ci abbandona.
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”: ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia,
ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, il nostro avvocato, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”. Il nostro Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”. Allora non ci rimane altro che accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
Pertanto l’unica via per accogliere il Dio di Gesù sarà quella di costruire la nostra vita in quell’amore che lui stesso ci ha donato e ci ha insegnato a vivere; non serve altro a chi vuol essere cristiano, se non l’amore, la carità!! Ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).
In quei momenti così terribili, il cuore di Gesù sembra preoccuparsi piuttosto dei discepoli, che di sé stesso: ha ben chiaro, lo abbiamo letto domenica scorsa, che quei suoi compagni di strada non hanno capito nulla, sa in cuor suo che di lì a poco qualcuno lo tradirà e che gli altri lo abbandoneranno al suo destino di morte lasciandolo solo. Eppure la preoccupazione di Gesù è quella di non mancare alla sua parola: Lui, l’Emanuele, il “Dio con noi” teme di essere percepito come colui che muore, che ci lascia soli, che ci abbandona.
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”: ecco la notizia che ci riempie il cuore di gioia,
ecco il vangelo di oggi! Dio non ci abbandona, Egli è il nostro paraclito, il nostro avvocato, colui che è chiamato a stare accanto a noi nei momenti difficili, quando tutti si scagliano contro di noi anche con accuse false ed infamanti. Dio, o meglio il Dio di Gesù Cristo, è questo! Facciamocene una ragione. Se pensiamo al dio potente e lontano dei filosofi, siamo fuori strada: il nostro Dio “il mondo non (lo) può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”. Il nostro Dio è Amore e l’amore “rimane presso di noi e sarà in noi”. Allora non ci rimane altro che accogliere quell’infinito abbraccio che dall’eternità ci è rivolto dalla croce; non c’è altra strada che vivere nella logica di un amore speso totalmente per chi, ormai, sono chiamato a considerare fratello perché lo riconosco figlio di quello stesso mio Padre. Dice Gesù: “chi ama me (riconoscendomi nei fratelli più piccoli che ogni giorno incontrerà), sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui!”
Pertanto l’unica via per accogliere il Dio di Gesù sarà quella di costruire la nostra vita in quell’amore che lui stesso ci ha donato e ci ha insegnato a vivere; non serve altro a chi vuol essere cristiano, se non l’amore, la carità!! Ogni dono scomparirà, ogni forma di conoscenza svanirà solo “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).