Seconda domenica di Avvento Anno B
Vangelo Mc 1, 1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Commento 10 dicembre 2023
“Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” con queste parole iniziava un piccolo libretto che Marco aveva deciso di scrivere nei giorni in cui si scatenava la feroce persecuzione voluta da Nerone nella quale subirono Pietro e Paolo; in quel libro Marco aveva raccolto quanto aveva ascoltato dalla testimonianza dell’amato Simone, figlio di Giona detto Pietro, suo padre spirituale e fratello nella fede. Erano passati poco più di trent’anni da quando quell’uomo Gesù era passato tra gli uomini “beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” ed i Giudei “lo uccisero appendendolo a una croce”, uomo che Dio “ha risuscitato al terzo giorno” (At 10,38-40).
Forse fu proprio quell’introduzione così solenne che indusse oltre un secolo dopo ad indicare con quel nome, “vangelo”, quei quattro testi canonici che facevano memoria della vita di Gesù di Nazareth, ma quando Marco scrisse quel testo, il termine vangelo aveva un altro significato ed indicava una “bella notizia di salvezza” che suscitava gioia: c’erano vangeli di carattere pubblico come una vittoria militare o sportiva e vangeli di carattere privato come la guarigione da una malattia.
Ora quelle parole iniziali non rappresentano l’introduzione, ma un meraviglioso riassunto di ciò che Marco si apprestava a scrivere e per coglierne il significato pieno potremo tradurle meglio: “Principio della bella notizia di gioia che è Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio”. In conclusione il vangelo altro non è che la bella notizia dell’amore incondizionato di Dio, della sua volontà salvifica, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini. Evangelizzare non è proporre la religione cristiana a chi non la conosce, ma raccontare e testimoniare l’amore di Dio di cui siamo inondati.
Marco comincia questo suo racconto, come farà poi anche Giovanni molti anni dopo, riprendendo la prima parola della Bibbia “In principio…”: siamo all’inizio della creazione, quando dalle mani amorevoli di Dio è sorta, o meglio si è sviluppata, la vita. Qui dunque per l’evangelista si ritorna al principio, dove per principio non si intende solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato vero e profondo; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo perché il Vangelo, la bella notizia non è una informazione, ma una persona: Gesù di Nazareth. Chi ascolta, potrà conoscere il volto autentico di Dio, che è amore (cfr. Gv 1,18) e dell’uomo veramente riuscito perché ha trovato nell’amore il senso pieno della sua vita.
Guardando Gesù, noi possiamo contemplare il volto di un Dio completamente diverso da come ce lo potremmo immaginare: non più un Dio, Essere Perfettissimo, che dà ordini e vuole essere servito, che giudica e condanna severamente chi disobbedisce, ma un Dio Padre/Madre, misericordioso che ama incondizionatamente e gratuitamente la sua creatura. Ecco il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza!
Quell’uomo, quel particolare uomo è poi il Figlio di Dio e siamo invitati a riconoscerlo come tale perché diventi per noi l’esempio da seguire per vivere davvero come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1).
Celebrare il Natale verso il quale ci stiamo preparando non è solo ricordare la nascita di Gesù, ma celebrare l’inaugurazione di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace ed è nostro compito oggi portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé, come in quegli anni fece Giovanni Battista.
Sì, gli uomini e le donne del mondo hanno bisogno di nuovi profeti e messaggeri che sappiano preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Proprio oggi in questo particolare tempo in cui molti si lasciano cadere nella paura e nella disperazione come discepoli di Cristo siamo chiamati a guardare con occhi nuovi a tutto quello che ci circonda. Nei momenti bui del Covid salì alto il monito di Francesco: “Ci illudevamo di restare sani in un mondo malato!”. Non solo la malattia, ma ogni giorno gli egoismi dei singoli, degli stati, di continenti interi portano morte e distruzione con povertà, fame e guerre, come quelle che stanno insanguinando la nostra Europa e la stessa terra di Palestina nella quale nacque Gesù, lì dove hanno già perso la vita 20000 persone, tutti poveri cristi e per la maggior parte Gesù bambini!
Che questo Avvento sia il tempo che ci viene dato per domandarci cosa conta veramente nella nostra vita e come possiamo ricominciare, avere un nuovo inizio in cui sia Dio finalmente il protagonista della nostra vita, perché noi stessi possiamo essere protagonisti nella costruzione del Suo Regno!
Signore, mandaci profeti, che, come il Battista, ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; Signore, abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda. Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Un cambiamento della testa, del modo di pensare, perché se non si è disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, le nostre certezze, le nostre abitudini e tradizioni, ciò che avevamo sempre creduto e pensato, il Signore e il suo vangelo non potranno entrare nella nostra vita. Già il profeta Isaia di fronte a liturgie vuote e lontane dal cuore aveva richiamato il popolo ad un nuovo rapporto con Dio: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).
Profeti che sappiano invitare tutti noi come fece Giovanni ad un battesimo di conversione, scegliendo di porre fine alle ingiustizie, e a porre in atto un nuovo esodo, abbandonando le nostre abitudini, le nostre false liturgie per incontrare il Dio che viene nel deserto. Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci chiamino nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita, per ritornare all’essenziale, lasciando cadere tutto ciò che è superfluo e accogliere l’unica cosa che conta, l’amore di Dio e dei fratelli.
Dopo attenzione e vigilanza della settimana scorsa, silenzio ed essenzialità sono dunque le parole d’ordine di questo nostro tempo di attesa per prepararci all’incontro con Dio che viene nelle nostre vite.
Camminiamo nella gioia incontro al Signore che viene!!!
Forse fu proprio quell’introduzione così solenne che indusse oltre un secolo dopo ad indicare con quel nome, “vangelo”, quei quattro testi canonici che facevano memoria della vita di Gesù di Nazareth, ma quando Marco scrisse quel testo, il termine vangelo aveva un altro significato ed indicava una “bella notizia di salvezza” che suscitava gioia: c’erano vangeli di carattere pubblico come una vittoria militare o sportiva e vangeli di carattere privato come la guarigione da una malattia.
Ora quelle parole iniziali non rappresentano l’introduzione, ma un meraviglioso riassunto di ciò che Marco si apprestava a scrivere e per coglierne il significato pieno potremo tradurle meglio: “Principio della bella notizia di gioia che è Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio”. In conclusione il vangelo altro non è che la bella notizia dell’amore incondizionato di Dio, della sua volontà salvifica, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini. Evangelizzare non è proporre la religione cristiana a chi non la conosce, ma raccontare e testimoniare l’amore di Dio di cui siamo inondati.
Marco comincia questo suo racconto, come farà poi anche Giovanni molti anni dopo, riprendendo la prima parola della Bibbia “In principio…”: siamo all’inizio della creazione, quando dalle mani amorevoli di Dio è sorta, o meglio si è sviluppata, la vita. Qui dunque per l’evangelista si ritorna al principio, dove per principio non si intende solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato vero e profondo; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo perché il Vangelo, la bella notizia non è una informazione, ma una persona: Gesù di Nazareth. Chi ascolta, potrà conoscere il volto autentico di Dio, che è amore (cfr. Gv 1,18) e dell’uomo veramente riuscito perché ha trovato nell’amore il senso pieno della sua vita.
Guardando Gesù, noi possiamo contemplare il volto di un Dio completamente diverso da come ce lo potremmo immaginare: non più un Dio, Essere Perfettissimo, che dà ordini e vuole essere servito, che giudica e condanna severamente chi disobbedisce, ma un Dio Padre/Madre, misericordioso che ama incondizionatamente e gratuitamente la sua creatura. Ecco il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza!
Quell’uomo, quel particolare uomo è poi il Figlio di Dio e siamo invitati a riconoscerlo come tale perché diventi per noi l’esempio da seguire per vivere davvero come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1).
Celebrare il Natale verso il quale ci stiamo preparando non è solo ricordare la nascita di Gesù, ma celebrare l’inaugurazione di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace ed è nostro compito oggi portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé, come in quegli anni fece Giovanni Battista.
Sì, gli uomini e le donne del mondo hanno bisogno di nuovi profeti e messaggeri che sappiano preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Proprio oggi in questo particolare tempo in cui molti si lasciano cadere nella paura e nella disperazione come discepoli di Cristo siamo chiamati a guardare con occhi nuovi a tutto quello che ci circonda. Nei momenti bui del Covid salì alto il monito di Francesco: “Ci illudevamo di restare sani in un mondo malato!”. Non solo la malattia, ma ogni giorno gli egoismi dei singoli, degli stati, di continenti interi portano morte e distruzione con povertà, fame e guerre, come quelle che stanno insanguinando la nostra Europa e la stessa terra di Palestina nella quale nacque Gesù, lì dove hanno già perso la vita 20000 persone, tutti poveri cristi e per la maggior parte Gesù bambini!
Che questo Avvento sia il tempo che ci viene dato per domandarci cosa conta veramente nella nostra vita e come possiamo ricominciare, avere un nuovo inizio in cui sia Dio finalmente il protagonista della nostra vita, perché noi stessi possiamo essere protagonisti nella costruzione del Suo Regno!
Signore, mandaci profeti, che, come il Battista, ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; Signore, abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda. Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Un cambiamento della testa, del modo di pensare, perché se non si è disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, le nostre certezze, le nostre abitudini e tradizioni, ciò che avevamo sempre creduto e pensato, il Signore e il suo vangelo non potranno entrare nella nostra vita. Già il profeta Isaia di fronte a liturgie vuote e lontane dal cuore aveva richiamato il popolo ad un nuovo rapporto con Dio: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).
Profeti che sappiano invitare tutti noi come fece Giovanni ad un battesimo di conversione, scegliendo di porre fine alle ingiustizie, e a porre in atto un nuovo esodo, abbandonando le nostre abitudini, le nostre false liturgie per incontrare il Dio che viene nel deserto. Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci chiamino nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita, per ritornare all’essenziale, lasciando cadere tutto ciò che è superfluo e accogliere l’unica cosa che conta, l’amore di Dio e dei fratelli.
Dopo attenzione e vigilanza della settimana scorsa, silenzio ed essenzialità sono dunque le parole d’ordine di questo nostro tempo di attesa per prepararci all’incontro con Dio che viene nelle nostre vite.
Camminiamo nella gioia incontro al Signore che viene!!!
Commento 6 dicembre 2020
In questa domenica di avvento la liturgia propone i primi versetti del vangelo di Marco, il primo ad essere stato scritto a seguito della persecuzione dei cristiani voluta da Nerone nella quale subirono il martirio tra gli altri anche Pietro e Paolo.
L’introduzione “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” è davvero un riassunto meraviglioso di ciò che Marco si apprestava a scrivere, ma oggi rischia di rimanere incompresa se ci fermiamo ad una lettura superficiale; ecco perché provo a modificarne le parole cercando così di coglierne il pieno significato. Potremo scrivere per comprendere meglio: “Principio della bella notizia di gioia che è Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio”.
Oggi quando uso il termine “vangelo” tutti e primi fra gli altri proprio noi cristiani subito pensiamo ai quattro libri canonici che ci raccontano la vita di Gesù, ma l’uso tecnico di questa parola, iniziò circa un secolo dopo la stesura dell’opera di Marco. Quando Marco scrive il termine “vangelo” non indicava un libro sulla vita di Gesù, né lo stesso evangelista voleva che questo fosse il titolo della sua opera. “Vangelo” indicava una “bella notizia” che suscitava gioia: c’erano vangeli di carattere pubblico come una vittoria militare o sportiva e vangeli di carattere privato come la guarigione da una malattia. Marco con il termine Vangelo intende allora la bella notizia dell’amore incondizionato di Dio, della sua volontà salvifica, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini.
Marco comincia questo suo racconto, come farà poi anche Giovanni molti anni dopo, riprendendo la prima parola della Bibbia “In principio…”: siamo all’inizio della creazione, quando dalle mani amorevoli di Dio è sorta, o meglio si è sviluppata, la vita. Qui dunque per l’evangelista si ritorna al principio, dove per principio non si intende solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato vero e profondo; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo perché il Vangelo, la bella notizia non è una informazione, ma una persona: Gesù di Nazareth. Chi ascolta, potrà conoscere il volto autentico di Dio, che è amore (cfr. Gv 1,18) e dell’uomo veramente riuscito perché ha trovato nell’amore il senso pieno della sua vita.
Guardando verso Gesù noi possiamo contemplare il volto di un Dio che è Padre, o meglio Madre, misericordioso, un Dio completamente diverso: non più un Dio che dà ordini e vuole essere servito, che giudica e condanna severamente chi disobbedisce; questa è la lieta notizia perché quel Dio inventato dagli uomini non era affatto fonte di gioia ma solo di paura. Ecco il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza!
Quell’uomo, quel particolare uomo è poi il Figlio di Dio e siamo invitati a riconoscerlo come perché diventi per noi, per ogni uomo e donna, l’esempio da seguire per vivere davvero come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1).
La nascita di Gesù ha segnato, quindi, l’inizio di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace. È compito oggi dell’intera comunità cristiana, per sua natura missionaria ed evangelizzatrice, portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé, come in quegli anni fece Giovanni Battista.
Oggi il mondo, gli uomini e le donne del mondo hanno bisogno di nuovi profeti e messaggeri che sappiano preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Proprio oggi in questo particolare tempo in cui molti si lasciano cadere nella paura e nella disperazione come discepoli di Cristo siamo chiamati a guardare con un altro sguardo a tutto quello che ci circonda. Suonano come un monito le parole di Francesco: “Ci illudevamo di restare sani in un mondo malato!”. Allora questo avvento sia il tempo che ci viene dato per domandarci cosa conta veramente nella nostra vita e come possiamo ricominciare, avere un nuovo inizio in cui sia Dio finalmente il protagonista della nostra vita, perché noi stessi possiamo essere protagonisti nella costruzione del Suo Regno.
Abbiamo bisogno ancora oggi di profeti e messaggeri, che, come il Battista, ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda.
Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Un cambiamento della testa, del modo di pensare, perché se non si è disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, le nostre certezze, le nostre abitudini e tradizioni, ciò che avevamo sempre creduto e pensato, il Signore e il suo vangelo non potranno entrare nella nostra vita.
Un cambiamento nel cuore e nei comportamenti: già il profeta Isaia di fronte a liturgie vuote e lontane dal cuore aveva richiamato il popolo ad un nuovo rapporto con Dio: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).
Giovanni invita ad un battesimo di conversione e chi accettava di essere battezzato dichiarava la propria disponibilità a questa conversione, scegliendo di porre fine alle ingiustizie: è questo il perdono dei peccati, far scomparire il male e l’ingiustizia.
Giovanni invita il popolo e tutti noi ad un nuovo esodo: abbandonare le nostre città, le nostre abitudini, a volte anche le nostre false liturgie per incontrare il Dio che viene nel deserto.
Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci chiamino nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita. Andare nel deserto significa innanzitutto entrare nel silenzio, per non essere storditi dal rumore che regna nella nostra società, confusi da proposte di vita sbagliate e da chiacchere inutili. In secondo luogo andare nel deserto significa andare là dove la vita è ridotta all’essenziale, dove viene lasciato cadere tutto ciò che è superfluo, dove l’unica cosa che conta è l’amore di Dio e dei fratelli.
Abbiamo bisogno di profeti e messaggeri come Giovanni Battista: avanti c’è posto, camminiamo nella gioia incontro al Signore che viene!!!
L’introduzione “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” è davvero un riassunto meraviglioso di ciò che Marco si apprestava a scrivere, ma oggi rischia di rimanere incompresa se ci fermiamo ad una lettura superficiale; ecco perché provo a modificarne le parole cercando così di coglierne il pieno significato. Potremo scrivere per comprendere meglio: “Principio della bella notizia di gioia che è Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio”.
Oggi quando uso il termine “vangelo” tutti e primi fra gli altri proprio noi cristiani subito pensiamo ai quattro libri canonici che ci raccontano la vita di Gesù, ma l’uso tecnico di questa parola, iniziò circa un secolo dopo la stesura dell’opera di Marco. Quando Marco scrive il termine “vangelo” non indicava un libro sulla vita di Gesù, né lo stesso evangelista voleva che questo fosse il titolo della sua opera. “Vangelo” indicava una “bella notizia” che suscitava gioia: c’erano vangeli di carattere pubblico come una vittoria militare o sportiva e vangeli di carattere privato come la guarigione da una malattia. Marco con il termine Vangelo intende allora la bella notizia dell’amore incondizionato di Dio, della sua volontà salvifica, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini.
Marco comincia questo suo racconto, come farà poi anche Giovanni molti anni dopo, riprendendo la prima parola della Bibbia “In principio…”: siamo all’inizio della creazione, quando dalle mani amorevoli di Dio è sorta, o meglio si è sviluppata, la vita. Qui dunque per l’evangelista si ritorna al principio, dove per principio non si intende solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato vero e profondo; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo perché il Vangelo, la bella notizia non è una informazione, ma una persona: Gesù di Nazareth. Chi ascolta, potrà conoscere il volto autentico di Dio, che è amore (cfr. Gv 1,18) e dell’uomo veramente riuscito perché ha trovato nell’amore il senso pieno della sua vita.
Guardando verso Gesù noi possiamo contemplare il volto di un Dio che è Padre, o meglio Madre, misericordioso, un Dio completamente diverso: non più un Dio che dà ordini e vuole essere servito, che giudica e condanna severamente chi disobbedisce; questa è la lieta notizia perché quel Dio inventato dagli uomini non era affatto fonte di gioia ma solo di paura. Ecco il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza!
Quell’uomo, quel particolare uomo è poi il Figlio di Dio e siamo invitati a riconoscerlo come perché diventi per noi, per ogni uomo e donna, l’esempio da seguire per vivere davvero come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1).
La nascita di Gesù ha segnato, quindi, l’inizio di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace. È compito oggi dell’intera comunità cristiana, per sua natura missionaria ed evangelizzatrice, portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé, come in quegli anni fece Giovanni Battista.
Oggi il mondo, gli uomini e le donne del mondo hanno bisogno di nuovi profeti e messaggeri che sappiano preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Proprio oggi in questo particolare tempo in cui molti si lasciano cadere nella paura e nella disperazione come discepoli di Cristo siamo chiamati a guardare con un altro sguardo a tutto quello che ci circonda. Suonano come un monito le parole di Francesco: “Ci illudevamo di restare sani in un mondo malato!”. Allora questo avvento sia il tempo che ci viene dato per domandarci cosa conta veramente nella nostra vita e come possiamo ricominciare, avere un nuovo inizio in cui sia Dio finalmente il protagonista della nostra vita, perché noi stessi possiamo essere protagonisti nella costruzione del Suo Regno.
Abbiamo bisogno ancora oggi di profeti e messaggeri, che, come il Battista, ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda.
Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Un cambiamento della testa, del modo di pensare, perché se non si è disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, le nostre certezze, le nostre abitudini e tradizioni, ciò che avevamo sempre creduto e pensato, il Signore e il suo vangelo non potranno entrare nella nostra vita.
Un cambiamento nel cuore e nei comportamenti: già il profeta Isaia di fronte a liturgie vuote e lontane dal cuore aveva richiamato il popolo ad un nuovo rapporto con Dio: “Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).
Giovanni invita ad un battesimo di conversione e chi accettava di essere battezzato dichiarava la propria disponibilità a questa conversione, scegliendo di porre fine alle ingiustizie: è questo il perdono dei peccati, far scomparire il male e l’ingiustizia.
Giovanni invita il popolo e tutti noi ad un nuovo esodo: abbandonare le nostre città, le nostre abitudini, a volte anche le nostre false liturgie per incontrare il Dio che viene nel deserto.
Abbiamo bisogno di messaggeri e profeti che, come il Battista, ci chiamino nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita. Andare nel deserto significa innanzitutto entrare nel silenzio, per non essere storditi dal rumore che regna nella nostra società, confusi da proposte di vita sbagliate e da chiacchere inutili. In secondo luogo andare nel deserto significa andare là dove la vita è ridotta all’essenziale, dove viene lasciato cadere tutto ciò che è superfluo, dove l’unica cosa che conta è l’amore di Dio e dei fratelli.
Abbiamo bisogno di profeti e messaggeri come Giovanni Battista: avanti c’è posto, camminiamo nella gioia incontro al Signore che viene!!!
Commento 10 dicembre 2017
Ad una prima semplicistica lettura il primo versetto sembrerebbe essere il titolo dell’opera di Marco, ma non è così; infatti i vangeli vennero così chiamati soltanto a partire dalla seconda metà del II secolo, ovvero circa 100 anni dopo essere stati scritti.
Quando Marco scrive il termine “vangelo” non indicava un libro sulla vita di Gesù, ma l’annuncio, o meglio la “buona notizia”, della volontà salvifica di Dio, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini.
Qui dunque siamo al principio: non si intende infatti solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo. Siamo invitati infatti non solo a riconoscerlo come il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza, ma anche a credere che quel particolare uomo è il Figlio di Dio, insomma è per noi, per ogni uomo e donna l’esempio da seguire per vivere come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1)
La nascita di Gesù ha segnato, quindi, l’inizio di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace. È compito oggi dell’intera comunità cristiana, per sua natura missionaria ed evangelizzatrice, portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé. Nel vangelo di oggi Marco indica in Giovanni, quel messaggero incaricato di preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Ecco allora la prima questione: siamo schiavi o liberi? Con libertà intendo la possibilità di realizzare pienamente la nostra umanità e non certamente la possibilità di fare ciò che vogliamo.
Abbiamo bisogno ancora oggi di messaggeri, angeli che come il Battista ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda.
Abbiamo bisogno di messaggeri che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Credo di poter affermare che siano due le conversioni di cui oggi io e forse tutti noi abbiamo bisogno e la prima riguarda il mio modo di concepire Dio: occorre passare dall’idea di un Dio costruita secondo i miei criteri, l’idea di un Dio potente legislatore, pronto a dare ordini per poi punire coloro che trasgrediscono i suoi precetti all’idea di Dio così come ce l’ha rivelata Gesù. Il Dio di Gesù è quel Padre/Madre che si fa servo dell’uomo, rimanendo “obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). Pertanto se vogliamo che il Signore entri nella nostra vita per liberarci e per renderci felici, dobbiamo operare davvero una conversione della nostra mente.
Questa è la premessa necessaria per una seconda conversione, quella morale; infatti in base a quale sarà la nostra idea di Dio così potremo vivere la nostra vita da uomini e donne. Se riconosco in Dio l’Essere perfetto e onnipotente porrò in cima alla mia personale scala di valori, che funge da punto di riferimento per le mie scelte, cose come il denaro, il successo, il mio interesse personale; se saprò riconoscere in Dio colui che mi ha amato fino al completo dono di sé stesso, allora vivrò le mie scelte soltanto in riferimento all’amore. Allora conversione significa capovolgere la scala di valori che orientano la mia vita per mettere al di sopra di tutto l’amore, l’attenzione all’altro e la gioia nel servire il fratello per renderlo felice.
In questo cammino verso il Signore che viene, il primo passo da fare è la confessione del proprio peccato, preferisco qui utilizzare il singolare perché non si tratta di elencare le proprie mancanze, ma di riconoscere la nostra condizione di persone ancora schiave di ciò che ci impedisce di realizzare in pienezza la nostra identità di donne e uomini, figli di Dio; infatti se uno non prende coscienza di non essere ancora libero e pensa di essere già a posto, se non si impegna a cambiare stile di vita, allora non può lasciare entrare nella propria vita Colui che lo vuole rendere veramente libero. Ecco l’esodo che propone Giovanni: uscire dalle nostre abitudini quotidiane per andare nel deserto, per prendere coscienza del bisogno che abbiamo sia a livello personale che come società di essere liberati dalla parola del vangelo. Andare nel deserto significa innanzitutto entrare nel silenzio, per non essere storditi dal rumore che regna nella nostra società, confusi da proposte di vita sbagliate e da chiacchere inutili. È necessario accogliere l’invito di tutti coloro che, come il Battista, ci chiamano nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita. In secondo luogo andare nel deserto significa andare là dove la vita è ridotta all’essenziale, dove viene lasciato cadere tutto ciò che è superfluo nella nostra vita, dove l’unica cosa che conta è l’amore di Dio e dei fratelli.
Dopo attenzione e vigilanza della settimana scorsa, silenzio ed essenzialità sono dunque le parole d’ordine di questo nostro tempo di attesa per prepararci all’incontro con Dio che viene nelle nostre vite. Camminiamo nella gioia, quindi, incontro al Signore che viene!!!
Quando Marco scrive il termine “vangelo” non indicava un libro sulla vita di Gesù, ma l’annuncio, o meglio la “buona notizia”, della volontà salvifica di Dio, della misericordia offerta ai peccatori, della speranza donata ai disperati e dell’amore come unico senso della vita e della storia rivelato a tutti gli uomini.
Qui dunque siamo al principio: non si intende infatti solo l’inizio della storia, ma anche il suo significato; qui Marco vuole indicare i criteri decisivi della scelta per metterci alla sequela di Cristo. Siamo invitati infatti non solo a riconoscerlo come il Messia, l’unto, l’inviato di Dio per la nostra salvezza, ma anche a credere che quel particolare uomo è il Figlio di Dio, insomma è per noi, per ogni uomo e donna l’esempio da seguire per vivere come figli di Dio, quali siamo realmente (cfr. 1Gv 3,1)
La nascita di Gesù ha segnato, quindi, l’inizio di un mondo nuovo, incamminato in modo irreversibile verso la gioia e la pace. È compito oggi dell’intera comunità cristiana, per sua natura missionaria ed evangelizzatrice, portare a tutti la lieta notizia che Dio ci ama, ci salva, ci vuole con sé. Nel vangelo di oggi Marco indica in Giovanni, quel messaggero incaricato di preparare la strada al Signore che viene per portare fuori l’umanità dalla situazione di schiavitù in cui si trova. Ecco allora la prima questione: siamo schiavi o liberi? Con libertà intendo la possibilità di realizzare pienamente la nostra umanità e non certamente la possibilità di fare ciò che vogliamo.
Abbiamo bisogno ancora oggi di messaggeri, angeli che come il Battista ci aiutino a capire quanta strada dobbiamo ancora percorrere verso una vera libertà; abbiamo bisogno di messaggeri che tengano sveglia la nostra coscienza nel deserto dell’ingiustizia, dell’intolleranza e della violenza che ci circonda.
Abbiamo bisogno di messaggeri che, come il Battista, ci richiamino alla necessità di una vera conversione, che è “metanoia”, ovvero cambiamento di testa, meglio di cuore. Credo di poter affermare che siano due le conversioni di cui oggi io e forse tutti noi abbiamo bisogno e la prima riguarda il mio modo di concepire Dio: occorre passare dall’idea di un Dio costruita secondo i miei criteri, l’idea di un Dio potente legislatore, pronto a dare ordini per poi punire coloro che trasgrediscono i suoi precetti all’idea di Dio così come ce l’ha rivelata Gesù. Il Dio di Gesù è quel Padre/Madre che si fa servo dell’uomo, rimanendo “obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). Pertanto se vogliamo che il Signore entri nella nostra vita per liberarci e per renderci felici, dobbiamo operare davvero una conversione della nostra mente.
Questa è la premessa necessaria per una seconda conversione, quella morale; infatti in base a quale sarà la nostra idea di Dio così potremo vivere la nostra vita da uomini e donne. Se riconosco in Dio l’Essere perfetto e onnipotente porrò in cima alla mia personale scala di valori, che funge da punto di riferimento per le mie scelte, cose come il denaro, il successo, il mio interesse personale; se saprò riconoscere in Dio colui che mi ha amato fino al completo dono di sé stesso, allora vivrò le mie scelte soltanto in riferimento all’amore. Allora conversione significa capovolgere la scala di valori che orientano la mia vita per mettere al di sopra di tutto l’amore, l’attenzione all’altro e la gioia nel servire il fratello per renderlo felice.
In questo cammino verso il Signore che viene, il primo passo da fare è la confessione del proprio peccato, preferisco qui utilizzare il singolare perché non si tratta di elencare le proprie mancanze, ma di riconoscere la nostra condizione di persone ancora schiave di ciò che ci impedisce di realizzare in pienezza la nostra identità di donne e uomini, figli di Dio; infatti se uno non prende coscienza di non essere ancora libero e pensa di essere già a posto, se non si impegna a cambiare stile di vita, allora non può lasciare entrare nella propria vita Colui che lo vuole rendere veramente libero. Ecco l’esodo che propone Giovanni: uscire dalle nostre abitudini quotidiane per andare nel deserto, per prendere coscienza del bisogno che abbiamo sia a livello personale che come società di essere liberati dalla parola del vangelo. Andare nel deserto significa innanzitutto entrare nel silenzio, per non essere storditi dal rumore che regna nella nostra società, confusi da proposte di vita sbagliate e da chiacchere inutili. È necessario accogliere l’invito di tutti coloro che, come il Battista, ci chiamano nel deserto per fare silenzio nella nostra vita, per rientrare in noi stessi, per ripensare al senso della nostra vita. In secondo luogo andare nel deserto significa andare là dove la vita è ridotta all’essenziale, dove viene lasciato cadere tutto ciò che è superfluo nella nostra vita, dove l’unica cosa che conta è l’amore di Dio e dei fratelli.
Dopo attenzione e vigilanza della settimana scorsa, silenzio ed essenzialità sono dunque le parole d’ordine di questo nostro tempo di attesa per prepararci all’incontro con Dio che viene nelle nostre vite. Camminiamo nella gioia, quindi, incontro al Signore che viene!!!