V Domenica T.O. Anno B
Vangelo Mc 1, 29-39
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Commento 4 febbraio 2024
Continua il racconto di questa prima giornata di Gesù, che, dopo aver predicato con autorità nella sinagoga ed aver scacciato dall’uomo devoto il demone di una fede blasfema perché legata ad un’immagine sbagliata e fuorviante di Dio, oggi compie il suo “esodo” ed esce dalla sinagoga per entrare “nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni”. Sono i primi passi di quella piccola comunità, Chiesa nascente, che lascia la sinagoga per entrare in casa. D’ora in poi l’incontro con Dio non avviene più solo in un luogo sacro, pubblico e solenne ma anche nel luogo familiare e intimo che accoglie, divenendo così un incontro di tipo feriale, quotidiano. È un incontro da cui scaturisce un modo nuovo di relazionarsi non solo con Dio, ma anche con gli uomini: è la Chiesa, il popolo di Dio, germoglio di umanità nuova!
Inizia il cammino della Chiesa ed inizia attorno alla suocera di Pietro, una persona fragile che diviene il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi. Credo, pertanto, sia necessario leggere questo evento quasi fosse una parabola che ci invita a riflettere come anche nella casa di Pietro, nella comunità dei discepoli, nella Chiesa possiamo trovare la malattia, un qualche spirito impuro: qui il problema non riguarda il modo di intendere Dio, ma l’incapacità di mettersi al servizio dei fratelli.
Una volta incontrato il vangelo sono chiamato a mettermi al lavoro per costruire concretamente quel regno, quel mondo sognato fin dall’eternità da Dio dove ogni uomo possa sentirsi fratello, dove giustizia e pace non siano solo parole, dove solidarietà ed amore trovino concreta realizzazione; eppure non è sempre così e, se nel corso dei secoli la Chiesa ha contribuito con la sua opera a costruire tutto ciò che oggi è chiamato stato sociale, troppe sono state le incoerenze e le contro testimonianze, i limiti e gli abusi.
Ora la prima cosa che salta agli occhi è come di fronte a questa malattia che blocca a letto la suocera di Pietro la comunità dei discepoli non rimane indifferente come coloro che erano presenti alla sinagoga di Cafarnao, ma guarda al problema, cerca una soluzione, ne parla con Gesù. Nella Chiesa la fede, anche se rimane scelta personale, non è mai da vivere da soli e così è della vita perché l’amore chiede di essere responsabile delle scelte e della vita del mio prossimo.
Ed ecco si compie il miracolo di cui non è protagonista solo Gesù, ma l’intera comunità: Gesù prende per mano la donna, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può mettersi al servizio della felicità degli altri. Questa è la vera guarigione: uscire dalla febbre del nostro egoismo che ci blocca nei nostri piccoli interessi per alzare lo sguardo verso coloro che sono nel bisogno.
In questo racconto due verbi ricorrono e diventano centrali: sorgere e servire; sono i verbi del discepolo di Cristo, sono i verbi della nostra vita. Se non siamo dei risorti a vita nuova per amore è perché non abbiamo ancora trovato Gesù, se non siamo servi di questa umanità pronti a fasciarne le ferite come “buoni samaritani”, anche se ci diciamo cristiani non saremo realmente discepoli del Nazareno. Risorgere per servire: è la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo perché la fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2,14-17)
Il nostro cammino di discepoli non è ancora completo, vi è un secondo esodo: dopo il tramonto Gesù, dopo essere uscito dalla sinagoga, esce anche dalla casa di Pietro; il Signore ora ci spinge nuovamente fuori, ci mostra orizzonti inesplorati per andare, guarire e servire l’umanità tutta intera perché Dio non ama i luoghi chiusi e respira amore all’aperto!
Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell’amore! Apriamo le porte dei nostri cuori ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sulla nostra strada come Gesù, che dalla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti.
Ma non è ancora finita, c’è un terzo esodo da fare insieme a Gesù, che dopo un giorno e una sera a servizio dell’uomo, si ritaglia un tempo per pregare. Come Gesù, per essere capaci di donare amore, abbiamo necessità di trovare la forza nell’incontrare quel Padre che ci ama incondizionatamente nella preghiera e nell’ascolto della Sua Parola costante e quotidiano: sono momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio, momenti nei quali senti ardere il tuo cuore nella gioia dell’incontro a tu per tu con Dio.
Manca ancora un ultimo esodo, andare altrove: non è una fuga, ma la risposta alle parole di Pietro “tutti ti cercano!”, parole diaboliche di chi gelosamente tentava di trattenere per sé Gesù. Sì, è necessario andare altrove perché tutti cercano Gesù! Tutti non solo quelli della Galilea o della Giudea, tutti!
Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao o a Genova, allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, chiudendolo così nei nostri recinti più o meno sacri. Dobbiamo ricordare nell’annunciare il vangelo che noi cristiani non possediamo Dio, mai, perché Dio appartiene al mondo e siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare lì la bella notizia dell’amore di Dio per tutti!
Inizia il cammino della Chiesa ed inizia attorno alla suocera di Pietro, una persona fragile che diviene il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi. Credo, pertanto, sia necessario leggere questo evento quasi fosse una parabola che ci invita a riflettere come anche nella casa di Pietro, nella comunità dei discepoli, nella Chiesa possiamo trovare la malattia, un qualche spirito impuro: qui il problema non riguarda il modo di intendere Dio, ma l’incapacità di mettersi al servizio dei fratelli.
Una volta incontrato il vangelo sono chiamato a mettermi al lavoro per costruire concretamente quel regno, quel mondo sognato fin dall’eternità da Dio dove ogni uomo possa sentirsi fratello, dove giustizia e pace non siano solo parole, dove solidarietà ed amore trovino concreta realizzazione; eppure non è sempre così e, se nel corso dei secoli la Chiesa ha contribuito con la sua opera a costruire tutto ciò che oggi è chiamato stato sociale, troppe sono state le incoerenze e le contro testimonianze, i limiti e gli abusi.
Ora la prima cosa che salta agli occhi è come di fronte a questa malattia che blocca a letto la suocera di Pietro la comunità dei discepoli non rimane indifferente come coloro che erano presenti alla sinagoga di Cafarnao, ma guarda al problema, cerca una soluzione, ne parla con Gesù. Nella Chiesa la fede, anche se rimane scelta personale, non è mai da vivere da soli e così è della vita perché l’amore chiede di essere responsabile delle scelte e della vita del mio prossimo.
Ed ecco si compie il miracolo di cui non è protagonista solo Gesù, ma l’intera comunità: Gesù prende per mano la donna, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può mettersi al servizio della felicità degli altri. Questa è la vera guarigione: uscire dalla febbre del nostro egoismo che ci blocca nei nostri piccoli interessi per alzare lo sguardo verso coloro che sono nel bisogno.
In questo racconto due verbi ricorrono e diventano centrali: sorgere e servire; sono i verbi del discepolo di Cristo, sono i verbi della nostra vita. Se non siamo dei risorti a vita nuova per amore è perché non abbiamo ancora trovato Gesù, se non siamo servi di questa umanità pronti a fasciarne le ferite come “buoni samaritani”, anche se ci diciamo cristiani non saremo realmente discepoli del Nazareno. Risorgere per servire: è la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo perché la fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2,14-17)
Il nostro cammino di discepoli non è ancora completo, vi è un secondo esodo: dopo il tramonto Gesù, dopo essere uscito dalla sinagoga, esce anche dalla casa di Pietro; il Signore ora ci spinge nuovamente fuori, ci mostra orizzonti inesplorati per andare, guarire e servire l’umanità tutta intera perché Dio non ama i luoghi chiusi e respira amore all’aperto!
Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell’amore! Apriamo le porte dei nostri cuori ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sulla nostra strada come Gesù, che dalla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti.
Ma non è ancora finita, c’è un terzo esodo da fare insieme a Gesù, che dopo un giorno e una sera a servizio dell’uomo, si ritaglia un tempo per pregare. Come Gesù, per essere capaci di donare amore, abbiamo necessità di trovare la forza nell’incontrare quel Padre che ci ama incondizionatamente nella preghiera e nell’ascolto della Sua Parola costante e quotidiano: sono momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio, momenti nei quali senti ardere il tuo cuore nella gioia dell’incontro a tu per tu con Dio.
Manca ancora un ultimo esodo, andare altrove: non è una fuga, ma la risposta alle parole di Pietro “tutti ti cercano!”, parole diaboliche di chi gelosamente tentava di trattenere per sé Gesù. Sì, è necessario andare altrove perché tutti cercano Gesù! Tutti non solo quelli della Galilea o della Giudea, tutti!
Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao o a Genova, allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, chiudendolo così nei nostri recinti più o meno sacri. Dobbiamo ricordare nell’annunciare il vangelo che noi cristiani non possediamo Dio, mai, perché Dio appartiene al mondo e siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare lì la bella notizia dell’amore di Dio per tutti!
Commento 7 febbraio 2021
Prosegue in questa domenica il racconto di Marco riguardo la prima giornata di Gesù ed immediatamente possiamo notare una connotazione precisa nel procedere dell’attività del Signore ovvero l’urgenza; infatti la proposta cristiana, l’annuncio del vangelo si nutre di un avverbio di tempo molto forte: subito!
Più volte questo termine ricorre nel primo capitolo di Marco: alla chiamata di Gesù “subito” i primi quattro discepoli lasciarono le reti, il padre ed i garzoni per seguire Gesù, “subito” in quel giorno di sabato Gesù entrò nella sinagoga di Cafarnao ed ancora nel testo di oggi “uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea”. C’è una fretta, un’urgenza che ci prende quando incontriamo Gesù perché non c’è tempo da perdere per coloro che sono innamorati per incontrare la persona amata, ogni momento mancato è un’occasione perduta per vivere la gioia più grande della propria vita. Il cristiano è l’uomo che non può non sussultare alle parole del maestro: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Sono parole che ci spingono ad una scelta di campo immediata, senza troppi ripensamenti perché il vangelo è la bella notizia di un amore infinito che vuole fare della mia vita un capolavoro di gioia.
In questo vangelo scopriamo i primi passi della Chiesa: Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Simone; l’incontro con Dio non avviene più in un luogo sacro, pubblico e solenne ma nel luogo familiare e intimo che accoglie, divenendo così un incontro di tipo feriale, quotidiano. È un incontro da cui scaturisce un nuovo modo non solo di relazione con Dio, ma anche una nuova relazione con gli uomini: è la Chiesa, il popolo di Dio, germoglio di umanità nuova!
Inizia attorno alla suocera di Pietro, una persona fragile che diviene il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi.
Vorrei proseguire allora in questa lettura quasi fosse una parabola di questa prima giornata di Gesù: anche nella casa di Pietro, nella comunità dei discepoli si trova la malattia, un qualche spirito impuro: non riguarda il modo di intendere Dio, ma rende incapaci di mettersi al servizio dei fratelli. Una volta incontrato il vangelo sono chiamato a mettermi al lavoro per costruire concretamente quel suo regno, quel mondo sognato fin dall’eternità da Dio dove ogni uomo possa sentirsi fratello, dove giustizia e pace non siano solo parole, dove solidarietà ed amore trovino concreta realizzazione; eppure non è sempre così: anche se nel corso dei secoli la Chiesa ha contribuito con la sua opera a costruire tutto ciò che oggi chiamato stato sociale troppe sono state le incoerenze e le contro testimonianze, i limiti e gli abusi.
Di fronte a questa malattia che blocca a letto la suocera di Pietro la comunità dei discepoli non rimane indifferente come coloro che erano presenti alla sinagoga di Cafarnao, ma guarda al problema, cerca una soluzione, ne parla con Gesù. La fede, se rimane scelta personale, non è mai da vivere da soli e così è della vita perché l’amore chiede di essere responsabile delle scelte e della vita del mio prossimo.
Ecco il miracolo: Gesù prende per mano la donna, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può mettersi al servizio della felicità degli altri. Questa è la vera guarigione: uscire dalla febbre del nostro egoismo che ci blocca nei nostri piccoli interessi per alzare lo sguardo verso coloro che sono nel bisogno.
In questo racconto due verbi ricorrono e diventano centrali: sorgere e servire; sono i verbi del discepolo di Cristo, sono i verbi della nostra vita. Se non siamo dei risorti a vita nuova per amore è perché non abbiamo ancora trovato Gesù, se non siamo servi di questa umanità pronti a fasciarne le ferite come “buoni samaritani”, anche se ci diciamo cristiani non saremo realmente discepoli del Nazareno. Risorgere per servire: è la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo perché la fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2,14-17).
Un secondo passo è necessario: dopo il tramonto Gesù, dopo essere uscito dalla sinagoga, esce anche dalla casa di Pietro; è un nuovo esodo da una religione che invece di liberarci ci chiudeva in obblighi e divieti per entrare nella nuova casa dei discepoli di Cristo. Il Signore ora ci spinge nuovamente fuori, ci mostra orizzonti inesplorati per andare, guarire e servire l’umanità tutta intera perché Dio non ama i luoghi chiusi e respira amore all’aperto!
Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell’amore!
Apriamo le porte dei nostri cuori ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sulla nostra strada come Gesù, che dalla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti.
C’è un terzo passo da compiere insieme a Gesù che “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”: dopo un giorno e una sera per pensare all’uomo, Gesù si ritaglia un tempo per pregare. Come Gesù per essere capaci di donare abbiamo necessità di trovare la forza nell’incontrare costante e quotidiano con quel Padre che ci ama e ci aiuta ad amare nella preghiera e nell’ascolto della Sua Parola: sono momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio, momenti nei quali senti ardere il tuo cuore nella gioia dell’incontro a tu per tu con Dio.
Manca ancora un ultimo passo: “Andiamocene altrove [...] E andò per tutta la Galilea”: non è una fuga, ma la risposta all’invito diabolico di Pietro: “tutti ti cercano!”. È proprio vero: tutti cercano Gesù! Tutti non solo quelli della Galilea o della Giudea, tutti!
Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao o a Genova, allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, chiudendolo così nei nostri recinti più o meno sacri. Dobbiamo ricordare nell’annunciare il vangelo che noi cristiani non possediamo Dio, mai, perché Dio appartiene al mondo e siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare lì la gioia del Vangelo!
Più volte questo termine ricorre nel primo capitolo di Marco: alla chiamata di Gesù “subito” i primi quattro discepoli lasciarono le reti, il padre ed i garzoni per seguire Gesù, “subito” in quel giorno di sabato Gesù entrò nella sinagoga di Cafarnao ed ancora nel testo di oggi “uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea”. C’è una fretta, un’urgenza che ci prende quando incontriamo Gesù perché non c’è tempo da perdere per coloro che sono innamorati per incontrare la persona amata, ogni momento mancato è un’occasione perduta per vivere la gioia più grande della propria vita. Il cristiano è l’uomo che non può non sussultare alle parole del maestro: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Sono parole che ci spingono ad una scelta di campo immediata, senza troppi ripensamenti perché il vangelo è la bella notizia di un amore infinito che vuole fare della mia vita un capolavoro di gioia.
In questo vangelo scopriamo i primi passi della Chiesa: Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Simone; l’incontro con Dio non avviene più in un luogo sacro, pubblico e solenne ma nel luogo familiare e intimo che accoglie, divenendo così un incontro di tipo feriale, quotidiano. È un incontro da cui scaturisce un nuovo modo non solo di relazione con Dio, ma anche una nuova relazione con gli uomini: è la Chiesa, il popolo di Dio, germoglio di umanità nuova!
Inizia attorno alla suocera di Pietro, una persona fragile che diviene il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi.
Vorrei proseguire allora in questa lettura quasi fosse una parabola di questa prima giornata di Gesù: anche nella casa di Pietro, nella comunità dei discepoli si trova la malattia, un qualche spirito impuro: non riguarda il modo di intendere Dio, ma rende incapaci di mettersi al servizio dei fratelli. Una volta incontrato il vangelo sono chiamato a mettermi al lavoro per costruire concretamente quel suo regno, quel mondo sognato fin dall’eternità da Dio dove ogni uomo possa sentirsi fratello, dove giustizia e pace non siano solo parole, dove solidarietà ed amore trovino concreta realizzazione; eppure non è sempre così: anche se nel corso dei secoli la Chiesa ha contribuito con la sua opera a costruire tutto ciò che oggi chiamato stato sociale troppe sono state le incoerenze e le contro testimonianze, i limiti e gli abusi.
Di fronte a questa malattia che blocca a letto la suocera di Pietro la comunità dei discepoli non rimane indifferente come coloro che erano presenti alla sinagoga di Cafarnao, ma guarda al problema, cerca una soluzione, ne parla con Gesù. La fede, se rimane scelta personale, non è mai da vivere da soli e così è della vita perché l’amore chiede di essere responsabile delle scelte e della vita del mio prossimo.
Ecco il miracolo: Gesù prende per mano la donna, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può mettersi al servizio della felicità degli altri. Questa è la vera guarigione: uscire dalla febbre del nostro egoismo che ci blocca nei nostri piccoli interessi per alzare lo sguardo verso coloro che sono nel bisogno.
In questo racconto due verbi ricorrono e diventano centrali: sorgere e servire; sono i verbi del discepolo di Cristo, sono i verbi della nostra vita. Se non siamo dei risorti a vita nuova per amore è perché non abbiamo ancora trovato Gesù, se non siamo servi di questa umanità pronti a fasciarne le ferite come “buoni samaritani”, anche se ci diciamo cristiani non saremo realmente discepoli del Nazareno. Risorgere per servire: è la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo perché la fede senza le opere è morta (cfr. Gc 2,14-17).
Un secondo passo è necessario: dopo il tramonto Gesù, dopo essere uscito dalla sinagoga, esce anche dalla casa di Pietro; è un nuovo esodo da una religione che invece di liberarci ci chiudeva in obblighi e divieti per entrare nella nuova casa dei discepoli di Cristo. Il Signore ora ci spinge nuovamente fuori, ci mostra orizzonti inesplorati per andare, guarire e servire l’umanità tutta intera perché Dio non ama i luoghi chiusi e respira amore all’aperto!
Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell’amore!
Apriamo le porte dei nostri cuori ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sulla nostra strada come Gesù, che dalla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti.
C’è un terzo passo da compiere insieme a Gesù che “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”: dopo un giorno e una sera per pensare all’uomo, Gesù si ritaglia un tempo per pregare. Come Gesù per essere capaci di donare abbiamo necessità di trovare la forza nell’incontrare costante e quotidiano con quel Padre che ci ama e ci aiuta ad amare nella preghiera e nell’ascolto della Sua Parola: sono momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio, momenti nei quali senti ardere il tuo cuore nella gioia dell’incontro a tu per tu con Dio.
Manca ancora un ultimo passo: “Andiamocene altrove [...] E andò per tutta la Galilea”: non è una fuga, ma la risposta all’invito diabolico di Pietro: “tutti ti cercano!”. È proprio vero: tutti cercano Gesù! Tutti non solo quelli della Galilea o della Giudea, tutti!
Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao o a Genova, allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, chiudendolo così nei nostri recinti più o meno sacri. Dobbiamo ricordare nell’annunciare il vangelo che noi cristiani non possediamo Dio, mai, perché Dio appartiene al mondo e siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare lì la gioia del Vangelo!
Commento 4 febbraio 2018
In questo vangelo scopriamo i primi passi della Chiesa: Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Simone; è questo il primo movimento a cui è chiamata la comunità dei discepoli di Cristo. L'incontro con Dio non avviene più in un luogo sacro, pubblico e solenne ma nel luogo famigliare e intimo che accoglie, divenendo così un incontro di tipo feriale, quotidiano, senza intermediari. È un incontro da cui scaturisce un nuovo modo non solo di relazione con Dio, ma anche una nuova relazione con gli uomini: è la Chiesa, il popolo di Dio, germoglio di umanità nuova.
Inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone. Essa è il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi. La Chiesa guarda al problema, ne parla con Gesù ed ecco il miracolo: Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.
In questo racconto due verbi diventano centrali: sorgere e servire. La suocera di Pietro sorge, ormai guarita, e si pone al servizio di quegli ospiti inattesi. Il primo verbo fa riferimento alla resurrezione e insieme indicano il cammino che deve compiere il discepolo: risorgere per mettersi a servizio.
Gesù è colui che fa risorgere, il discepolo è colui che si mette a servizio, dopo essere stato guarito. È la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo, per cui con Giacomo possiamo affermare: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? [...] Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” (Gc 2,14-17)
Il servizio, la testimonianza e l’evangelizzazione nascono dalla consapevolezza di avere qualcosa da dare all’umanità e al mondo: coloro che hanno incontrato, o meglio si sono lasciati incontrare da Cristo si riconoscono guariti dalle loro febbri, dalle ansie e dai problemi e riconciliati dal peccato che blocca le nostre vite. Liberati da queste catene ora sanno guarire e riconciliare i fratelli!
Ecco un secondo passo: dopo il tramonto con l’inizio del nuovo giorno Gesù sulla porta di quella casa accoglie le persone che là davanti si erano riunite. Uscito dalla sinagoga, ora Gesù esce anche dalla casa: Dio non ama i luoghi chiusi, il nostro Dio respira amore all’aperto! Anche la comunità sarà chiamata a questo esodo e, pur rimanendo all’interno della Chiesa, sarà chiamata a porsi sulla soglia per traguardare orizzonti nuovi e per guarire e servire l’umanità tutta intera. Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell'amore! Così in quella notte all’inizio di un nuovo giorno, iniziava anche un mondo nuovo, una umanità nuova finalmente guarita ed incamminata verso la sua fioritura. Allora apriamo le porte dei nostri cuori come Gesù sulla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti gli uomini e le donne.
Ancora un terzo passo: Gesù “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”: dopo un giorno e una sera per pensare all'uomo, Gesù si ritaglia una notte e un'alba per pregare e pensare a Dio. Per essere capaci di donare abbiamo necessità nella vita di sorgenti alle quali accostare la nostra bocca per dissetarci e la prima di queste sorgenti è Dio. Anche Gesù ha bisogno di quei momenti e quegli spazi segreti che danno salute e gioia all'anima, a tu per tu con Dio. Momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio: è per quei momenti che io sento il bisogno di essere discepolo di Cristo!
Manca un ultimo passo: “Andiamocene altrove [...] E andò per tutta la Galilea”: non è una fuga! Ma la risposta all’invito provocatorio di Pietro: “tutti ti cercano!”
Se è vero che tutti cercano Gesù, bisogna stare attenti a non chiudere l'orizzonte di riferimento di Dio; Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao e allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, rischiando così di chiuderlo nei nostri recinti più o meno sacri.
Siamo chiamati a ridefinire la nostra testimonianza: non possediamo Dio, mai, e non possiamo chiuderlo in un luogo o in un popolo.
Dio appartiene al mondo, siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare la gioia del Vangelo!
Inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone. Essa è il simbolo di una umanità malata, ferita dal peccato, dal quale non sa più liberarsi. La Chiesa guarda al problema, ne parla con Gesù ed ecco il miracolo: Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.
In questo racconto due verbi diventano centrali: sorgere e servire. La suocera di Pietro sorge, ormai guarita, e si pone al servizio di quegli ospiti inattesi. Il primo verbo fa riferimento alla resurrezione e insieme indicano il cammino che deve compiere il discepolo: risorgere per mettersi a servizio.
Gesù è colui che fa risorgere, il discepolo è colui che si mette a servizio, dopo essere stato guarito. È la conversione che siamo chiamati ad operare! La fede non è più soltanto rendere culto a Dio, ma un concreto servizio all’uomo, per cui con Giacomo possiamo affermare: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? [...] Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” (Gc 2,14-17)
Il servizio, la testimonianza e l’evangelizzazione nascono dalla consapevolezza di avere qualcosa da dare all’umanità e al mondo: coloro che hanno incontrato, o meglio si sono lasciati incontrare da Cristo si riconoscono guariti dalle loro febbri, dalle ansie e dai problemi e riconciliati dal peccato che blocca le nostre vite. Liberati da queste catene ora sanno guarire e riconciliare i fratelli!
Ecco un secondo passo: dopo il tramonto con l’inizio del nuovo giorno Gesù sulla porta di quella casa accoglie le persone che là davanti si erano riunite. Uscito dalla sinagoga, ora Gesù esce anche dalla casa: Dio non ama i luoghi chiusi, il nostro Dio respira amore all’aperto! Anche la comunità sarà chiamata a questo esodo e, pur rimanendo all’interno della Chiesa, sarà chiamata a porsi sulla soglia per traguardare orizzonti nuovi e per guarire e servire l’umanità tutta intera. Una comunità, che per paura si rintana nelle sue sicurezze non è la comunità voluta da Gesù; una Chiesa dalle porte chiuse e sbarrate è morta! Gesù ama le porte aperte che fanno entrare i volti e le voci di una umanità che grida ed invoca aiuto: questo è il rischio della vita, del dolore e dell'amore! Così in quella notte all’inizio di un nuovo giorno, iniziava anche un mondo nuovo, una umanità nuova finalmente guarita ed incamminata verso la sua fioritura. Allora apriamo le porte dei nostri cuori come Gesù sulla croce eternamente apre le sue mani in abbraccio infinito per tutti gli uomini e le donne.
Ancora un terzo passo: Gesù “al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”: dopo un giorno e una sera per pensare all'uomo, Gesù si ritaglia una notte e un'alba per pregare e pensare a Dio. Per essere capaci di donare abbiamo necessità nella vita di sorgenti alle quali accostare la nostra bocca per dissetarci e la prima di queste sorgenti è Dio. Anche Gesù ha bisogno di quei momenti e quegli spazi segreti che danno salute e gioia all'anima, a tu per tu con Dio. Momenti nei quali ti senti profondamente immerso nell’infinita tenerezza di Dio: è per quei momenti che io sento il bisogno di essere discepolo di Cristo!
Manca un ultimo passo: “Andiamocene altrove [...] E andò per tutta la Galilea”: non è una fuga! Ma la risposta all’invito provocatorio di Pietro: “tutti ti cercano!”
Se è vero che tutti cercano Gesù, bisogna stare attenti a non chiudere l'orizzonte di riferimento di Dio; Gesù ricorda che la missione sua e della sua comunità non si chiude a Cafarnao e allarga gli orizzonti al mondo intero. Il rischio della Chiesa è quello di ritenere di possedere Dio soltanto per noi, rischiando così di chiuderlo nei nostri recinti più o meno sacri.
Siamo chiamati a ridefinire la nostra testimonianza: non possediamo Dio, mai, e non possiamo chiuderlo in un luogo o in un popolo.
Dio appartiene al mondo, siamo noi a dover uscire per le strade per incontrare l’uomo ed annunciare la gioia del Vangelo!