II Domenica T.O. Anno C
Vangelo Gv 2,1-12
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Commento del 16 gennaio 2022
Se il vangelo di oggi riferisse soltanto un fatto di cronaca della vita di Gesù saremmo di fronte ad un racconto che dirsi banale sarebbe poco, un miracolo degno di un enologo geniale o forse meglio di un oste truffaldino. D’altra parte
è una festa un pochino strana quella di Cana di Galilea: si parla di un matrimonio, ma la sposa non è neppure nominata e lo sposo ha un ruolo del tutto marginale, ricevendo al termine del racconto una sorta di complimento/rimprovero per aver conservato fino a quel momento il vino migliore; invece assurgono a protagonisti due semplici invitati e i servi che si occupavano della festa. Infine si rimane sorpresi dall’importanza che Giovanni dà a questo episodio soprattutto nella conclusione solenne: “egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
In passato l’unico messaggio che si ricavava da questo brano era la raccomandazione di ricorrere con fiducia alla Madonna, capace di far cedere suo Figlio alle nostre richieste, ma il racconto non è così semplice, non è affatto solo un episodio di cronaca, ma viene definito da Giovanni come il primo dei segni, l’inizio, o meglio l’archetipo, il modello dell’intera opera compiuta da Gesù in vista della nostra salvezza. Insomma se cogliamo il messaggio delle nozze di Cana, capiamo il Vangelo, la bella notizia dell’infinito amore di Dio! Sì, perché la mia vita, la vita di tutti noi, è una festa di nozze con Dio, un incontro d’amore con Colui che mi ama da sempre e per sempre, un incontro che va coltivato e custodito per evitare il rischio di offrire al posto del vino della gioia, l’acqua senza alcun sapore dell’abitudine e della tristezza.
Israele non era più la sposa pronta ad amare ed essere amata dal suo Dio, ma l’operaio pronto anche ad eseguire gli ordini di Dio per ricevere al termine della vita il meritato stipendio per quanto aveva fatto; era un rapporto puramente commerciale dove si offrivano i sacrifici per guadagnarsi i favori del Signore, si osservavano i precetti per garantirsi la benevolenza del Signore e Dio era considerato un legislatore severo ed esigente al punto di punire chi trasgrediva i suoi comandamenti. Ecco l’importanza di quelle “sei giare di pietra per la purificazione”: che sono sei il numero dell’imperfezione (tende al sette senza mai raggiungerlo); che sono di pietra, come le tavole della Legge, e vuote perché hanno perso la loro funzione; che sono usate per la purificazione perché in questa forma di rapporto con Dio non ci si sentiva mai a posto. La religione dei doveri, dei servizi per essere ricompensati secondo i meriti crea solo ansia, apprensione, sensi di colpa ed inquietudine, non può dare gioia: ecco mancava il vino, simbolo nella Bibbia della gioia e dell’amore!
Chiediamoci, allora, leggendo questo testo quale sia il nostro rapporto con Dio; anche a noi è stata inculcata una spiritualità dei meriti tipica del salariato, ma non è il rapporto sponsale d’amore che Dio vuole avere con noi. Come viviamo l’eucaristia? Come la celebrazione gioiosa di un amore infinito o come l’osservanza di un comandamento per evitare di commettere un peccato?
Nelle nostre celebrazioni, nei nostri incontri si respira gioia ed entusiasmo, oppure c’è tristezza unita a un odore di muffa e di stantio? Che razza di rapporto con Dio è questo, si può essere precettati per andare a trovare la persona amata sotto pena di peccato mortale?
Non c’è da meravigliarsi se le persone non vengono attratte o addirittura si allontanano dalla comunità cristiana poiché non vedono gioia, se la mia è una religione delle giare vuote; non c’è mai venuto il dubbio che se il vangelo non viene accolto è perché lo abbiamo ricoperto con un velo di tristezza e con pratiche religiose lontane dal cuore? Che il cammino sinodale della Chiesa, che il nostro cammino sinodale ci porti verso un nuovo e più vero rapporto con Dio.
Alle nozze di Cana a rendersi conto che la situazione è complicata e che sta diventando insostenibile per la mancanza di vino non è il responsabile della festa, il “maestro di tavola”, simbolo delle guide spirituali del popolo, ma la “madre”, simbolo di quel “resto fedele di Israele” che ha coltivato il giusto rapporto con il Signore e che sarà grembo capace di accogliere Dio che viene incontro all’umanità.
La risposta di Gesù alla madre: “che è a me e a te, o donna, forse non è ancora giunta la mia ora?” appare strana, scortese, quasi maleducata. Utilizzando un’espressione del linguaggio diplomatico, che indica la rottura di un rapporto, di una alleanza Gesù pare dichiarare conclusa quell’antica alleanza che veniva intesa dagli uomini come un semplice rapporto economico; mentre nelle parole seguenti, che mi pare si possano interpretare meglio come una domanda piuttosto che come una affermazione, visto che poi Gesù agisce, vedo una richiesta di disponibilità ad entrare pienamente nel progetto d’amore che Dio ha preparato per l’umanità fin dall’origine del mondo. L’ora, spesso ricordata nel vangelo di Giovanni, è il momento decisivo in cui Gesù manifesterà la sua gloria e sarà glorificato quando riuscirà a manifestare la pienezza del suo amore e donerà quel vino che è la gioia di un rapporto nuovo con Dio
Ora Gesù è l’unico che può dare l’acqua che in chi l’accoglie diviene sorgente inesauribile, sovrabbondante di gioia e Maria, accogliendo il suo invito, mostra ai servi la strada della gioia: “qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. Sono le uniche parole di Maria nel vangelo di Giovanni, sono l’invito non solo ad ascoltare, ma soprattutto a fare, a rendere il vangelo concreto nei gesti, nelle parole, nelle nostre giornate e la nostra vita si riempirà fino all’orlo del vino della gioia!
è una festa un pochino strana quella di Cana di Galilea: si parla di un matrimonio, ma la sposa non è neppure nominata e lo sposo ha un ruolo del tutto marginale, ricevendo al termine del racconto una sorta di complimento/rimprovero per aver conservato fino a quel momento il vino migliore; invece assurgono a protagonisti due semplici invitati e i servi che si occupavano della festa. Infine si rimane sorpresi dall’importanza che Giovanni dà a questo episodio soprattutto nella conclusione solenne: “egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.
In passato l’unico messaggio che si ricavava da questo brano era la raccomandazione di ricorrere con fiducia alla Madonna, capace di far cedere suo Figlio alle nostre richieste, ma il racconto non è così semplice, non è affatto solo un episodio di cronaca, ma viene definito da Giovanni come il primo dei segni, l’inizio, o meglio l’archetipo, il modello dell’intera opera compiuta da Gesù in vista della nostra salvezza. Insomma se cogliamo il messaggio delle nozze di Cana, capiamo il Vangelo, la bella notizia dell’infinito amore di Dio! Sì, perché la mia vita, la vita di tutti noi, è una festa di nozze con Dio, un incontro d’amore con Colui che mi ama da sempre e per sempre, un incontro che va coltivato e custodito per evitare il rischio di offrire al posto del vino della gioia, l’acqua senza alcun sapore dell’abitudine e della tristezza.
Israele non era più la sposa pronta ad amare ed essere amata dal suo Dio, ma l’operaio pronto anche ad eseguire gli ordini di Dio per ricevere al termine della vita il meritato stipendio per quanto aveva fatto; era un rapporto puramente commerciale dove si offrivano i sacrifici per guadagnarsi i favori del Signore, si osservavano i precetti per garantirsi la benevolenza del Signore e Dio era considerato un legislatore severo ed esigente al punto di punire chi trasgrediva i suoi comandamenti. Ecco l’importanza di quelle “sei giare di pietra per la purificazione”: che sono sei il numero dell’imperfezione (tende al sette senza mai raggiungerlo); che sono di pietra, come le tavole della Legge, e vuote perché hanno perso la loro funzione; che sono usate per la purificazione perché in questa forma di rapporto con Dio non ci si sentiva mai a posto. La religione dei doveri, dei servizi per essere ricompensati secondo i meriti crea solo ansia, apprensione, sensi di colpa ed inquietudine, non può dare gioia: ecco mancava il vino, simbolo nella Bibbia della gioia e dell’amore!
Chiediamoci, allora, leggendo questo testo quale sia il nostro rapporto con Dio; anche a noi è stata inculcata una spiritualità dei meriti tipica del salariato, ma non è il rapporto sponsale d’amore che Dio vuole avere con noi. Come viviamo l’eucaristia? Come la celebrazione gioiosa di un amore infinito o come l’osservanza di un comandamento per evitare di commettere un peccato?
Nelle nostre celebrazioni, nei nostri incontri si respira gioia ed entusiasmo, oppure c’è tristezza unita a un odore di muffa e di stantio? Che razza di rapporto con Dio è questo, si può essere precettati per andare a trovare la persona amata sotto pena di peccato mortale?
Non c’è da meravigliarsi se le persone non vengono attratte o addirittura si allontanano dalla comunità cristiana poiché non vedono gioia, se la mia è una religione delle giare vuote; non c’è mai venuto il dubbio che se il vangelo non viene accolto è perché lo abbiamo ricoperto con un velo di tristezza e con pratiche religiose lontane dal cuore? Che il cammino sinodale della Chiesa, che il nostro cammino sinodale ci porti verso un nuovo e più vero rapporto con Dio.
Alle nozze di Cana a rendersi conto che la situazione è complicata e che sta diventando insostenibile per la mancanza di vino non è il responsabile della festa, il “maestro di tavola”, simbolo delle guide spirituali del popolo, ma la “madre”, simbolo di quel “resto fedele di Israele” che ha coltivato il giusto rapporto con il Signore e che sarà grembo capace di accogliere Dio che viene incontro all’umanità.
La risposta di Gesù alla madre: “che è a me e a te, o donna, forse non è ancora giunta la mia ora?” appare strana, scortese, quasi maleducata. Utilizzando un’espressione del linguaggio diplomatico, che indica la rottura di un rapporto, di una alleanza Gesù pare dichiarare conclusa quell’antica alleanza che veniva intesa dagli uomini come un semplice rapporto economico; mentre nelle parole seguenti, che mi pare si possano interpretare meglio come una domanda piuttosto che come una affermazione, visto che poi Gesù agisce, vedo una richiesta di disponibilità ad entrare pienamente nel progetto d’amore che Dio ha preparato per l’umanità fin dall’origine del mondo. L’ora, spesso ricordata nel vangelo di Giovanni, è il momento decisivo in cui Gesù manifesterà la sua gloria e sarà glorificato quando riuscirà a manifestare la pienezza del suo amore e donerà quel vino che è la gioia di un rapporto nuovo con Dio
Ora Gesù è l’unico che può dare l’acqua che in chi l’accoglie diviene sorgente inesauribile, sovrabbondante di gioia e Maria, accogliendo il suo invito, mostra ai servi la strada della gioia: “qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. Sono le uniche parole di Maria nel vangelo di Giovanni, sono l’invito non solo ad ascoltare, ma soprattutto a fare, a rendere il vangelo concreto nei gesti, nelle parole, nelle nostre giornate e la nostra vita si riempirà fino all’orlo del vino della gioia!
Commento del 20 gennaio 2019
Sembra quello di oggi un episodio banale nella vita di Gesù, un miracolo degno di un enologo scaltro o di un oste truffaldino. Nell’analizzare l’episodio si rimane sconcertati, poiché invece di invitare alla sobrietà Gesù offre ai commensali altri 600 litri, questa era più o meno la capacità delle giare, di vino buono; continuando ad interpretare questo racconto come un semplice fatto di cronaca, rischieremmo di perderne il significato profondo. Nei vangeli non si parla mai di miracoli, ma soltanto di segni e di opere ed il Dio di Gesù Cristo non è un Dio spettacolare e pirotecnico, un Dio dagli effetti speciali; è pertanto inutile cercarlo in eventi sensazionali, poiché Egli si presenta in ciò che è piccolo come “il sussurro di una brezza leggera” (1Re 9,12).
Il segno alle nozze di Cana viene definito da Giovanni come il primo, l’inizio, o meglio l’archetipo, il modello dell’intera opera compiuta da Gesù in vista della nostra salvezza; è il primo, dei sette segni raccontati nel suo vangelo e conclude con una affermazione solenne: “Egli manifestò la sua gloria ed i suoi discepoli credettero”. Inutile dibattere sulla storicità dell’episodio, il cui racconto contiene elementi reali ed al contempo simbolici, direi sacramentali, in modo da comunicare un messaggio teologico, religioso; serve scendere in profondità per cogliere il reale significato delle immagini bibliche, che Giovanni impiega.
L’immagine centrale è quella di una festa di nozze che rimanda al rapporto d’amore sponsale che lega Dio (lo sposo) al suo popolo (la sposa); in particolare a tal proposito sarebbe da cogliere la bellezza di quanto scrive il profeta Osea che descrive l’amore infinito ed insensato di uno sposo tradito che cerca e continua ad amare la sposa adultera (Os 2). Qui vorrei aprire una parentesi sul matrimonio come sacramento: Dio ha voluto che nell’amore umano si rivelasse pienamente il suo amore per l’umanità (Ef 5); nonostante il nostro essere segnati dal limite e dal peccato, occorre ribadire che è responsabilità degli sposi cristiani essere segno di questo amore infinito che da sempre e per sempre unisce Dio ad ogni donna e ad ogni uomo. Quante volte vivo il mio essere cristiano come qualcosa di esterno alla mia vita quotidiana, come un dovere, come un qualcosa di pesante e triste; ecco ciò significa che in queste nozze viene a mancare il vino, segno della gioia e dell’alleanza.
Della situazione non si accorge nessuno, nemmeno il maestro di tavola, che avrebbe dovuto sopraintendere all’organizzazione delle nozze; solo la madre, rappresentante del popolo fedele, può accorgersi che “non hanno vino”; dice “hanno” perché lei il vino buono lo ha conservato nel suo cuore, lei è rimasta nell’amore di Dio. Quella donna invita Gesù a provvedere al suo popolo nonostante questo si sia allontanato, poiché chi ama Dio non è geloso del suo rapporto con il Padre, ma desidera ardentemente che anche altri possano vivere nella sua stessa gioia.
Gesù sa che non è ancora giunta l’ora di manifestare definitivamente l’amore di Dio e la sua risposta può apparire ineducata, ma è solo una richiesta di disponibilità ad entrare pienamente nel progetto d’amore che Dio ha preparato per l’umanità fin dall’origine del mondo. Maria accoglie l’invito di Gesù e mostra ai servi la strada della gioia: “qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (cfr. Es 19,8).
Vi erano là sei (numero che indica l’imperfezione ed il limite) giare di pietra (come le tavole della Legge) usate per la purificazione, le giare erano vuote poiché tutti avevano effettuato i rituali, ma tutto questo non aveva modificato il loro rapporto con Dio; occorre un nuovo rapporto non più segnato da regole esterne ma dall’amore. Occorre riempire quelle giare con una nuova acqua, segno del battesimo, perché possa poi essere trasformata nel vino della gioia di un rapporto d’amore totale ed infinito con Dio. ( Cfr. Rm 8).
Sulla croce giungerà l’ora, sulla croce il Figlio offrirà tutto sé stesso per amore, sulla croce si manifesterà pienamente la gloria di un Dio che non può far altro che amare le sue creature, i suoi figli. Sotto la croce quella stessa donna ed il discepolo amato accoglieranno il dono dello Spirito, il solo capace di portare la salvezza!
Il segno alle nozze di Cana viene definito da Giovanni come il primo, l’inizio, o meglio l’archetipo, il modello dell’intera opera compiuta da Gesù in vista della nostra salvezza; è il primo, dei sette segni raccontati nel suo vangelo e conclude con una affermazione solenne: “Egli manifestò la sua gloria ed i suoi discepoli credettero”. Inutile dibattere sulla storicità dell’episodio, il cui racconto contiene elementi reali ed al contempo simbolici, direi sacramentali, in modo da comunicare un messaggio teologico, religioso; serve scendere in profondità per cogliere il reale significato delle immagini bibliche, che Giovanni impiega.
L’immagine centrale è quella di una festa di nozze che rimanda al rapporto d’amore sponsale che lega Dio (lo sposo) al suo popolo (la sposa); in particolare a tal proposito sarebbe da cogliere la bellezza di quanto scrive il profeta Osea che descrive l’amore infinito ed insensato di uno sposo tradito che cerca e continua ad amare la sposa adultera (Os 2). Qui vorrei aprire una parentesi sul matrimonio come sacramento: Dio ha voluto che nell’amore umano si rivelasse pienamente il suo amore per l’umanità (Ef 5); nonostante il nostro essere segnati dal limite e dal peccato, occorre ribadire che è responsabilità degli sposi cristiani essere segno di questo amore infinito che da sempre e per sempre unisce Dio ad ogni donna e ad ogni uomo. Quante volte vivo il mio essere cristiano come qualcosa di esterno alla mia vita quotidiana, come un dovere, come un qualcosa di pesante e triste; ecco ciò significa che in queste nozze viene a mancare il vino, segno della gioia e dell’alleanza.
Della situazione non si accorge nessuno, nemmeno il maestro di tavola, che avrebbe dovuto sopraintendere all’organizzazione delle nozze; solo la madre, rappresentante del popolo fedele, può accorgersi che “non hanno vino”; dice “hanno” perché lei il vino buono lo ha conservato nel suo cuore, lei è rimasta nell’amore di Dio. Quella donna invita Gesù a provvedere al suo popolo nonostante questo si sia allontanato, poiché chi ama Dio non è geloso del suo rapporto con il Padre, ma desidera ardentemente che anche altri possano vivere nella sua stessa gioia.
Gesù sa che non è ancora giunta l’ora di manifestare definitivamente l’amore di Dio e la sua risposta può apparire ineducata, ma è solo una richiesta di disponibilità ad entrare pienamente nel progetto d’amore che Dio ha preparato per l’umanità fin dall’origine del mondo. Maria accoglie l’invito di Gesù e mostra ai servi la strada della gioia: “qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (cfr. Es 19,8).
Vi erano là sei (numero che indica l’imperfezione ed il limite) giare di pietra (come le tavole della Legge) usate per la purificazione, le giare erano vuote poiché tutti avevano effettuato i rituali, ma tutto questo non aveva modificato il loro rapporto con Dio; occorre un nuovo rapporto non più segnato da regole esterne ma dall’amore. Occorre riempire quelle giare con una nuova acqua, segno del battesimo, perché possa poi essere trasformata nel vino della gioia di un rapporto d’amore totale ed infinito con Dio. ( Cfr. Rm 8).
Sulla croce giungerà l’ora, sulla croce il Figlio offrirà tutto sé stesso per amore, sulla croce si manifesterà pienamente la gloria di un Dio che non può far altro che amare le sue creature, i suoi figli. Sotto la croce quella stessa donna ed il discepolo amato accoglieranno il dono dello Spirito, il solo capace di portare la salvezza!
Commento del 17 gennaio 2016
Siamo giunti alla terza manifestazione di Gesù; “egli manifestò la sua gloria (letteralmente in ebraico il suo peso, la sua presenza) ed i suoi discepoli credettero”. Allora Dio si rende presente nella nostra vita perché noi possiamo credere. Innanzitutto mi piace sottolineare come Giovanni non parli mai di miracoli, ma di segni; forse ad indicare come Dio non sia spettacolare e pirotecnico nel suo manifestarsi, ma piuttosto si presenti in ciò che è piccolo come il soffio di un vento leggero ed è pertanto inutile andarlo a cercare in eventi sensazionali ed effetti speciali.
L’evento di Cana viene definito da Giovanni come il modello simbolico dell’opera compiuta dia Gesù; il racconto è storico ma contiene elementi reali ed al contempo fortemente simbolici, direi sacramentali, in modo da comunicare un messaggio teologico, religioso; mi spiego meglio: è gesto reale quando il sacerdote bagna la testa dei bambini durante il battesimo, ma non ci dice che quel bambino ha bisogno di una doccia, ma quel gesto ci ricorda che viene ripulito dal male originale che è presente nel mondo ed in lui, così da diventare figlio di Dio, uno dei prediletti, e vivere la sua vita verso la felicità.
Alcuni indicazioni per una lettura sacramentale del vangelo di oggi, che raccolgo dai miei appunti del corso tenuto da don Doglio:
A voi tutti che amate qualcuno e a me dico: sforzatevi di amare con tutte le vostre forze perché è l’unico modo che abbiamo per capire e far capire come Dio ci ama!!!
L’evento di Cana viene definito da Giovanni come il modello simbolico dell’opera compiuta dia Gesù; il racconto è storico ma contiene elementi reali ed al contempo fortemente simbolici, direi sacramentali, in modo da comunicare un messaggio teologico, religioso; mi spiego meglio: è gesto reale quando il sacerdote bagna la testa dei bambini durante il battesimo, ma non ci dice che quel bambino ha bisogno di una doccia, ma quel gesto ci ricorda che viene ripulito dal male originale che è presente nel mondo ed in lui, così da diventare figlio di Dio, uno dei prediletti, e vivere la sua vita verso la felicità.
Alcuni indicazioni per una lettura sacramentale del vangelo di oggi, che raccolgo dai miei appunti del corso tenuto da don Doglio:
- L’evento avviene “il terzo giorno” (Gv 2,1), particolare non menzionato nella liturgia, ma particolare che ricorda a tutti i cristiani come la vicenda deve essere inserita nel contesto della resurrezione di Gesù avvenuta appunto “il terzo giorno”
- L’evento ha luogo a Cana di Galilea: Cana significa “fondazione” e Galilea è la terra abitata dalle “genti, ovvero dai pagani; forse Giovanni allude al fatto che con questo segno siamo all’atto di “fondazione” della nuova alleanza aperta a tutte le genti
- Alle nozze, segno dell’alleanza, risulta “presente”, non invitata, la madre (non cita il nome Maria), simbolo di quell’Israele fedele che attende il Messia;ora gli unici presenti ad un matrimonio senza essere nella lista degli invitati sono appunto gli sposi. Inoltre non vengono mai citati gli sposi, solo lo sposo viene indicato come colui che ha tenuto il vino buono fino all’ultimo, ma sappiamo come a dare il vino sia Gesù. Ciò ci spinge a pensare che quel matrimonio così descritto da Giovanni vuole significare come si stia celebrando l’alleanza tra Dio ed il popolo rimasto a lui fedele.
- La madre (il popolo fedele) si accorge della mancanza del vino simbolo della gioia nel rapporto con Dio e chiede aiuto a Dio; la risposta scortese e, direi, maleducata poiché rivolta da Gesù alla madre non è altro che una richiesta di esprimere, non tanto il rapporto di parentela (Gesù usa anche il termine “donna”) quanto la relazione di fiducia e di amore che esiste. La risposta diventa a questo punto chiara: Maria, la donna, il popolo fedele si dice pronto a fare tutto quello che Gesù, Dio vorrà chiedergli: è la stessa risposta che il popolo uscito dall’Egitto diede dopo aver ascoltato la lettura delle Tavole della Legge, accettando così l’Alleanza con Dio.
- Il vangelo di Giovanni ha poi diversi riferimenti al fatto che “non sia giunta l’ora”, difatti per Giovanni “l’ora” sarà il momento nel quale Gesù verrà glorificato sul trono della croce; è sulla croce che Dio nel Figlio Gesù, nel momento di massima umiliazione, potrà donare tutto sé stesso, ovvero lo Spirito
- Le sei anfore di pietra che contenevano l’acqua per la purificazione sono ricche di simbologia: innanzitutto sono 6, numero dell’imperfezione che però tende alla pienezza, è il numero dell’uomo creato, appunto, il sesto giorno; “di pietra” come le tavole della Legge e come il cuore dell’uomo che Dio ha promesso di trasformare; l’acqua “per la purificazione” una pulizia esterna che però lasciava il cuore avvolto da desideri malvagi; sono quindi i simboli della vecchia alleanza, dalla quale però scaturisce il vino buono della nuova relazione con Dio
- Infine il vino viene portato al maestro di tavola, il termine ricorda per assonanza i capi del popolo, in particolare, i capi religiosi; qui scatta l’ironia meravigliosa di Giovanni: sono proprio i capi religiosi del popolo che riconoscono la novità, la grandezza e l’incredibile bontà della Nuova Alleanza.
A voi tutti che amate qualcuno e a me dico: sforzatevi di amare con tutte le vostre forze perché è l’unico modo che abbiamo per capire e far capire come Dio ci ama!!!