Battesimo del Signore Anno B
Vangelo Mc 1, 7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Commento 7 gennaio 2024
La celebrazione della festa del Battesimo del Signore ci introduce in quella parte dell’anno liturgico che va sotto il nome di tempo ordinario; l’aggettivo “ordinario” potrebbe far pensare ad una minor valenza di questo tempo rispetto ad altri tempi nel corso della vita della Chiesa e degli uomini, ma in realtà è tutt’altro: è nella quotidianità del nostro impegno che siamo chiamati a testimoniare la nostra adesione a Cristo, è nella concretezza di ogni nostra giornata che siamo invitati ad annunciare il vangelo di Gesù, è con i piccoli gesti nei singoli momenti della vita siamo chiamati a costruire il regno di Dio.
Con un balzo temporale, degno di un grande ginnasta nella sua performance migliore, ritroviamo Gesù al Giordano per farsi battezzare da Giovanni: sono trascorsi più di trent’anni dai fatti raccontati nelle feste appena trascorse e vorrei, prima di condividere ciò che questo testo mi suggerisce in cuore, ritornare a quei lunghi anni di cui poco sappiamo. La curiosità mi spinge a cercare di sapere cosa sia accaduto in quei giorni in cui Dio si è nascosto nel silenzio di un piccolo ed insignificante villaggio alla periferia, Israele, della “periferia del mondo” (Francesco): vorrei cogliere la quotidianità di quel bambino che cresceva prima profugo in Egitto e poi nei giochi con i bambini di Nazareth; vorrei guardare a quell’adolescente che nella bottega imparava docilmente l’arte della falegnameria dal padre e, quasi ribellandosi all’autorità familiare, si nascondeva nel tempio di Gerusalemme per “occuparsi delle cose del Padre suo”; vorrei restare accanto a Gesù in quei giorni al capezzale di Giuseppe, il padre tanto amato, o mentre diceva a Maria che era giunto il momento di lasciarla per andare dal cugino Giovanni che battezzava lungo il Giordano. Vorrei conoscere la vita di quegli anni perché ci dicono di un Dio che ha voluto abitare il nostro quotidiano e ci invitano a vivere la nostra vita consapevoli della straordinaria ed infinita tenerezza di un Dio che ci ama! Vorrei, ma di tutte queste cose i vangeli non ci parlano o ne fanno soltanto piccoli accenni!
Gesù va al Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni, ma quel battesimo era una semplice rito di purificazione, segno dell’inizio di un percorso di conversione per dichiararsi ben disposti alla proposta di Dio nella costruzione di un mondo più giusto ed umano. Nelle stesse parole di Giovanni troviamo l’enorme differenza tra quel battesimo e quello che porterà il Messia, un battesimo in Spirito Santo, cioè capace di donare quella forza, che è la stessa forza di Dio necessaria alla realizzazione di quel regno d’amore per il quale siamo stati creati e per il quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita.
Celebrare il battesimo di Gesù ci dà, quindi, l’opportunità di celebrare anche il nostro stesso battesimo, non solo perché saremo chiamati a rinnovare le nostre promesse, ma anche perché siamo invitati a rendere grazie per il percorso fatto.
Nel racconto molto stringato e succinto di Marco tre immagini descrivono il battesimo di Gesù: lo squarciarsi dei cieli, lo Spirito che scende come una colomba e la voce del cielo. Sono immagini riprese dalla Bibbia molto note che ci possono aiutare a cogliere il significato di quel momento; ma la liturgia di oggi proclama solennemente che quanto accaduto in quel giorno è accaduto per ciascuno di noi da quel giorno santo, più o meno lontano, in cui abbiamo ricevuto il nostro battesimo ed accadrà per tutti i giorni della nostra vita.
Lo squarciarsi dei cieli riprende una bellissima preghiera che ritroviamo nel profeta Isaia: il popolo viveva schiavo a Babilonia, una sofferenza acuita dalla sensazione di un Dio lontano e silente, quasi che il Signore avesse chiuso i sette cieli che lo separavano dall’uomo, diventando indifferente alla vita degli uomini. Di fronte a questo assordante silenzio, ecco l’invocazione, la supplica quasi urlata nella disperazione “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Il verbo utilizzato da Marco indica una rottura definitiva, non più ricomponibile, e va ad affermare solennemente che, da quando il Figlio di Dio è entrato in questa nostra realtà terrena, i cieli non potranno più essere richiusi qualunque errore noi possiamo commettere perché l’amore per il quale Dio si è fatto uno di noi non verrà mai meno. Quello stesso verbo ritornerà in Mc 15,38 nel momento della morte di Gesù quando a rompersi definitivamente sarà il velo del tempio che separava la dimora di Dio, il Santo dei Santi, dal mondo degli uomini; ora con l’incarnazione di Gesù non c’è più nessun velo che possa separare Dio dall’umanità perché si è fatto uno di noi! Ogni volta che la Chiesa battezza un uomo Dio torna a squarciare i cieli per abbracciare quella nuova creatura come Suo figlio quale realmente è!
L’immagine dello Spirito che scende su Gesù come una colomba suggerisce diversi richiami: ricordando la creazione quando lo Spirito aleggiava sulle acque, ci invita a partecipare ad una nuova creazione, a vivere come uomini e donne nuovi capaci di vivere secondo il progetto d’amore di Dio, pensato per ciascuno di noi fin dall’origine del mondo; un secondo richiamo è alla colomba di Noè che dopo il diluvio ritornò con un ramoscello d’ulivo, segno di quella pace ricostituita tra il cielo e la terra. Devo però confidarvi che vi è un terzo richiamo che più di altri mi fa “ardere il cuore”, l’immagine della colomba come segno di amore e di tenerezza. Sì, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio aggressivo come un leone, ma tenero come una colomba, che cerca il suo nido, posandosi su ciascuno di noi: Dio cerca spazio nella nostra vita perché la nostra gioia sia piena e possiamo realizzare in noi il Suo Regno!
La voce che viene dal cielo è una espressione molto nota ed impiegata spesso dai rabbini per attribuire a Dio una affermazione; ora quella voce proclama solennemente su Gesù ed afferma su ciascuno di noi tre parole forti, che colpiscono al cuore fino a generare meraviglia e stupore: figlio, amato, mio compiacimento!
Con figlio non si intende tanto la generazione biologica, ma la somiglianza nello stile e nei valori che guidano la vita; così come siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù per riconoscervi quello di Dio Padre, anche noi dobbiamo assomigliare al Padre perché Dio ci riconosca come veri suoi figli.
Non siamo solo figli, ma figli amati, prediletti e siccome l’amore non dipende da chi lo riceve, ma da colui che lo dona, allora io sono amato da sempre con un amore eterno e fedele, sono amato da subito prima che io faccia qualsiasi cosa per meritarlo o prima che io risponda; sono amato per quello che sono e così come sono, sono amato senza se e senza ma perché quell’amore non dipende da me.
Non solo siamo figli amati, ma siamo la gioia di Dio che trova in noi il suo compiacimento; quella voce dall’alto ha gridato nel giorno del mio battesimo e grida ogni giorno della mia vita “Tu sei una meraviglia!” (Papa Francesco), grida la gioia di Dio che mi dice quanto sia bello stare con me!
Vivere pienamente il nostro battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù (Fil 2,5), è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono (Rm 12,2); ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato.
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Il cuore sta per scoppiare dalla gioia per questo voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, sono figlio amato di Dio, sono figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia nonostante le mie fatiche e i miei limiti. In questo io credo e sono pronto ad essere la gioia di Dio!
Con un balzo temporale, degno di un grande ginnasta nella sua performance migliore, ritroviamo Gesù al Giordano per farsi battezzare da Giovanni: sono trascorsi più di trent’anni dai fatti raccontati nelle feste appena trascorse e vorrei, prima di condividere ciò che questo testo mi suggerisce in cuore, ritornare a quei lunghi anni di cui poco sappiamo. La curiosità mi spinge a cercare di sapere cosa sia accaduto in quei giorni in cui Dio si è nascosto nel silenzio di un piccolo ed insignificante villaggio alla periferia, Israele, della “periferia del mondo” (Francesco): vorrei cogliere la quotidianità di quel bambino che cresceva prima profugo in Egitto e poi nei giochi con i bambini di Nazareth; vorrei guardare a quell’adolescente che nella bottega imparava docilmente l’arte della falegnameria dal padre e, quasi ribellandosi all’autorità familiare, si nascondeva nel tempio di Gerusalemme per “occuparsi delle cose del Padre suo”; vorrei restare accanto a Gesù in quei giorni al capezzale di Giuseppe, il padre tanto amato, o mentre diceva a Maria che era giunto il momento di lasciarla per andare dal cugino Giovanni che battezzava lungo il Giordano. Vorrei conoscere la vita di quegli anni perché ci dicono di un Dio che ha voluto abitare il nostro quotidiano e ci invitano a vivere la nostra vita consapevoli della straordinaria ed infinita tenerezza di un Dio che ci ama! Vorrei, ma di tutte queste cose i vangeli non ci parlano o ne fanno soltanto piccoli accenni!
Gesù va al Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni, ma quel battesimo era una semplice rito di purificazione, segno dell’inizio di un percorso di conversione per dichiararsi ben disposti alla proposta di Dio nella costruzione di un mondo più giusto ed umano. Nelle stesse parole di Giovanni troviamo l’enorme differenza tra quel battesimo e quello che porterà il Messia, un battesimo in Spirito Santo, cioè capace di donare quella forza, che è la stessa forza di Dio necessaria alla realizzazione di quel regno d’amore per il quale siamo stati creati e per il quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita.
Celebrare il battesimo di Gesù ci dà, quindi, l’opportunità di celebrare anche il nostro stesso battesimo, non solo perché saremo chiamati a rinnovare le nostre promesse, ma anche perché siamo invitati a rendere grazie per il percorso fatto.
Nel racconto molto stringato e succinto di Marco tre immagini descrivono il battesimo di Gesù: lo squarciarsi dei cieli, lo Spirito che scende come una colomba e la voce del cielo. Sono immagini riprese dalla Bibbia molto note che ci possono aiutare a cogliere il significato di quel momento; ma la liturgia di oggi proclama solennemente che quanto accaduto in quel giorno è accaduto per ciascuno di noi da quel giorno santo, più o meno lontano, in cui abbiamo ricevuto il nostro battesimo ed accadrà per tutti i giorni della nostra vita.
Lo squarciarsi dei cieli riprende una bellissima preghiera che ritroviamo nel profeta Isaia: il popolo viveva schiavo a Babilonia, una sofferenza acuita dalla sensazione di un Dio lontano e silente, quasi che il Signore avesse chiuso i sette cieli che lo separavano dall’uomo, diventando indifferente alla vita degli uomini. Di fronte a questo assordante silenzio, ecco l’invocazione, la supplica quasi urlata nella disperazione “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Il verbo utilizzato da Marco indica una rottura definitiva, non più ricomponibile, e va ad affermare solennemente che, da quando il Figlio di Dio è entrato in questa nostra realtà terrena, i cieli non potranno più essere richiusi qualunque errore noi possiamo commettere perché l’amore per il quale Dio si è fatto uno di noi non verrà mai meno. Quello stesso verbo ritornerà in Mc 15,38 nel momento della morte di Gesù quando a rompersi definitivamente sarà il velo del tempio che separava la dimora di Dio, il Santo dei Santi, dal mondo degli uomini; ora con l’incarnazione di Gesù non c’è più nessun velo che possa separare Dio dall’umanità perché si è fatto uno di noi! Ogni volta che la Chiesa battezza un uomo Dio torna a squarciare i cieli per abbracciare quella nuova creatura come Suo figlio quale realmente è!
L’immagine dello Spirito che scende su Gesù come una colomba suggerisce diversi richiami: ricordando la creazione quando lo Spirito aleggiava sulle acque, ci invita a partecipare ad una nuova creazione, a vivere come uomini e donne nuovi capaci di vivere secondo il progetto d’amore di Dio, pensato per ciascuno di noi fin dall’origine del mondo; un secondo richiamo è alla colomba di Noè che dopo il diluvio ritornò con un ramoscello d’ulivo, segno di quella pace ricostituita tra il cielo e la terra. Devo però confidarvi che vi è un terzo richiamo che più di altri mi fa “ardere il cuore”, l’immagine della colomba come segno di amore e di tenerezza. Sì, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio aggressivo come un leone, ma tenero come una colomba, che cerca il suo nido, posandosi su ciascuno di noi: Dio cerca spazio nella nostra vita perché la nostra gioia sia piena e possiamo realizzare in noi il Suo Regno!
La voce che viene dal cielo è una espressione molto nota ed impiegata spesso dai rabbini per attribuire a Dio una affermazione; ora quella voce proclama solennemente su Gesù ed afferma su ciascuno di noi tre parole forti, che colpiscono al cuore fino a generare meraviglia e stupore: figlio, amato, mio compiacimento!
Con figlio non si intende tanto la generazione biologica, ma la somiglianza nello stile e nei valori che guidano la vita; così come siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù per riconoscervi quello di Dio Padre, anche noi dobbiamo assomigliare al Padre perché Dio ci riconosca come veri suoi figli.
Non siamo solo figli, ma figli amati, prediletti e siccome l’amore non dipende da chi lo riceve, ma da colui che lo dona, allora io sono amato da sempre con un amore eterno e fedele, sono amato da subito prima che io faccia qualsiasi cosa per meritarlo o prima che io risponda; sono amato per quello che sono e così come sono, sono amato senza se e senza ma perché quell’amore non dipende da me.
Non solo siamo figli amati, ma siamo la gioia di Dio che trova in noi il suo compiacimento; quella voce dall’alto ha gridato nel giorno del mio battesimo e grida ogni giorno della mia vita “Tu sei una meraviglia!” (Papa Francesco), grida la gioia di Dio che mi dice quanto sia bello stare con me!
Vivere pienamente il nostro battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù (Fil 2,5), è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono (Rm 12,2); ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato.
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Il cuore sta per scoppiare dalla gioia per questo voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, sono figlio amato di Dio, sono figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia nonostante le mie fatiche e i miei limiti. In questo io credo e sono pronto ad essere la gioia di Dio!
Commento 10 gennaio 2021
Eccoci qua, giunti alla fine del tempo di Natale, con questa che dovrebbe essere la prima domenica del tempo ordinario, sostituita dalla festa in cui celebriamo il battesimo di Gesù. Ritroviamo Gesù al Giordano per farsi battezzare da Giovanni e rischiamo di dimenticarci quei 30 anni e oltre trascorsi nel silenzio del piccolo villaggio di Nazareth; rivolgiamo allora un ultima volta lo sguardo a quei giorni per cogliere la quotidianità del bambino Gesù, profugo in Egitto, dell’adolescente Gesù, che si nasconde nel tempio di Gerusalemme per occuparsi delle cose del Padre Suo, del giovane Gesù intento ad aggiustare porte con Giuseppe o a gustare quanto gli preparava Maria; questi anni ci dicono che Dio ha voluto abitare il nostro quotidiano e ci invitano a vivere la nostra vita consapevoli della straordinaria ed infinita tenerezza di un Dio che ci ama!
Gesù va al Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni, ma quel battesimo era una semplice rito di purificazione, segno dell’inizio di un percorso di conversione per dichiararsi ben disposti alla proposta di Dio nella costruzione di un mondo più giusto ed umano. Nelle stesse parole di Giovanni troviamo l’enorme differenza tra quel battesimo e quello che porterà il Messia, un battesimo in Spirito Santo, cioè capace di donare quella forza, che è la stessa forza di Dio necessaria alla realizzazione in pienezza di quel regno d’amore per il quale siamo stati creati e per il quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita.
Celebrare il battesimo di Gesù è allora celebrare anche il nostro stesso battesimo, non solo perché potremo rinnovare le nostre promesse, ma anche perché siamo invitati a rendere grazie per il percorso fatto, guardando al battesimo di Gesù per ritrovare il senso del nostro.
Nel racconto molto stringato e succinto di Marco tre immagini descrivono il battesimo di Gesù: lo squarciarsi dei cieli, lo Spirito che scende come una colomba e la voce del cielo. Sono immagini riprese dalla Bibbia molto note che ci possono aiutare a cogliere il significato di quel momento e a guardare a quel giorno santo per ciascuno di noi più o meno lontano in cui abbiamo ricevuto il nostro battesimo.
La prima immagine è quella dello squarciarsi dei cieli, che riprende una bellissima preghiera che ritroviamo nel profeta Isaia ai capitoli 63 e 64: il popolo con sofferenza viveva nella schiavitù a Babilonia, viveva nel silenzio di Dio quasi che il Signore avesse chiuso i sette cieli che lo separavano dall’uomo, diventando indifferente alla vita degli uomini. Ed ecco l’invocazione, la supplica quasi urlata nella disperazione “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Il verbo utilizzato da Marco indica una rottura definitiva, non più ricomponibile per dire che da quando il Figlio di Dio è entrato in questa nostra realtà terrena mostrando che Dio ha tanto amato la nostra condizione da assumerla i cieli non potranno più essere richiusi qualunque errore noi possiamo commettere perché l’amore per il quale Dio si è fatto uno di noi non verrà mai meno. Lo stesso verbo “squarciare” ritornerà nel momento della morte di Gesù quando a rompersi definitivamente sarà quel velo del tempio che separava la dimora di Dio, il Santo dei Santi, dal mondo degli uomini; ora non c’è più nessun velo che possa separare Dio dall’umanità perché si è fatto uno di noi! Dio allora torna ogni volta che la Chiesa battezza a squarciare i cieli per abbracciare quella nuova creatura finalmente riconosciuta figlio di Dio quale realmente è!
La seconda immagine, lo Spirito che scende su Gesù come una colomba, suggerisce diversi richiami: innanzitutto, ricordando la creazione quando lo Spirito aleggiava sulle acque, ci invita a partecipare ad una nuova creazione, a vivere come uomini e donne nuovi secondo lo Spirito di Dio; un secondo richiamo è alla colomba di Noè che dopo il diluvio ritornò con un ramoscello d’ulivo, segno di quella pace ricostituita tra il cielo e la terra; ma soprattutto l’immagine della colomba è segno di amore e di tenerezza: il Dio di Gesù Cristo non è un Dio aggressivo come un leone, ma tenero come una colomba, che cerca il suo nido e che si posa su ciascuno di noi. Dio cerca spazio nella nostra vita perché la nostra gioia sia piena e possiamo realizzare in noi ciò che da sempre ha sognato per ciascuno!
La terza immagine, la voce che viene dal cielo, è una espressione molto nota ed impiegata spesso dai rabbini per attribuire a Dio una affermazione; quella voce ha detto su Gesù e lo ripete su ciascuno di noi tre parole forti, che colpiscono al cuore per generare meraviglia e stupore.
Innanzitutto figlio, termine con il quale non si intende la generazione biologica, ma la somiglianza nello stile e nei valori che guidano la vita; così come siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù per riconoscervi quello di Dio Padre, anche noi dobbiamo assomigliare al Padre perché il Signore ci riconosca come veri suoi figli.
In secondo luogo non siamo solo figli, ma figli amati, prediletti e siccome l’amore non dipende da chi lo riceve, ma da colui che lo dona, allora io sono amato da sempre con un amore eterno e fedele, sono amato da subito prima che io faccia qualsiasi cosa per meritarlo o prima che io risponda; sono amato per quello che sono e così come sono, sono amato senza se e senza ma perché quell’amore non dipende da me.
Infine non solo siamo figli amati, ma siamo la gioia di Dio che trova in noi il suo compiacimento; quella voce dall’alto ha gridato nel giorno del mio battesimo e grida ogni giorno della mia vita “Tu sei una meraviglia!” (Papa Francesco, omelia della Messa della notte di Natale 2020), grida la gioia di Dio che mi dice: “è bello stare con te!” (E.Ronchi)
Vivere pienamente il nostro battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù (Fil 2,5), è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono (Rm 12,2); ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato.
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Il cuore sta per scoppiare dalla gioia per questo voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, e figlio amato di Dio; figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia. In questo io credo e sono pronto a vivere la mia vocazione: essere la gioia di Dio!
Gesù va al Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni, ma quel battesimo era una semplice rito di purificazione, segno dell’inizio di un percorso di conversione per dichiararsi ben disposti alla proposta di Dio nella costruzione di un mondo più giusto ed umano. Nelle stesse parole di Giovanni troviamo l’enorme differenza tra quel battesimo e quello che porterà il Messia, un battesimo in Spirito Santo, cioè capace di donare quella forza, che è la stessa forza di Dio necessaria alla realizzazione in pienezza di quel regno d’amore per il quale siamo stati creati e per il quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita.
Celebrare il battesimo di Gesù è allora celebrare anche il nostro stesso battesimo, non solo perché potremo rinnovare le nostre promesse, ma anche perché siamo invitati a rendere grazie per il percorso fatto, guardando al battesimo di Gesù per ritrovare il senso del nostro.
Nel racconto molto stringato e succinto di Marco tre immagini descrivono il battesimo di Gesù: lo squarciarsi dei cieli, lo Spirito che scende come una colomba e la voce del cielo. Sono immagini riprese dalla Bibbia molto note che ci possono aiutare a cogliere il significato di quel momento e a guardare a quel giorno santo per ciascuno di noi più o meno lontano in cui abbiamo ricevuto il nostro battesimo.
La prima immagine è quella dello squarciarsi dei cieli, che riprende una bellissima preghiera che ritroviamo nel profeta Isaia ai capitoli 63 e 64: il popolo con sofferenza viveva nella schiavitù a Babilonia, viveva nel silenzio di Dio quasi che il Signore avesse chiuso i sette cieli che lo separavano dall’uomo, diventando indifferente alla vita degli uomini. Ed ecco l’invocazione, la supplica quasi urlata nella disperazione “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Il verbo utilizzato da Marco indica una rottura definitiva, non più ricomponibile per dire che da quando il Figlio di Dio è entrato in questa nostra realtà terrena mostrando che Dio ha tanto amato la nostra condizione da assumerla i cieli non potranno più essere richiusi qualunque errore noi possiamo commettere perché l’amore per il quale Dio si è fatto uno di noi non verrà mai meno. Lo stesso verbo “squarciare” ritornerà nel momento della morte di Gesù quando a rompersi definitivamente sarà quel velo del tempio che separava la dimora di Dio, il Santo dei Santi, dal mondo degli uomini; ora non c’è più nessun velo che possa separare Dio dall’umanità perché si è fatto uno di noi! Dio allora torna ogni volta che la Chiesa battezza a squarciare i cieli per abbracciare quella nuova creatura finalmente riconosciuta figlio di Dio quale realmente è!
La seconda immagine, lo Spirito che scende su Gesù come una colomba, suggerisce diversi richiami: innanzitutto, ricordando la creazione quando lo Spirito aleggiava sulle acque, ci invita a partecipare ad una nuova creazione, a vivere come uomini e donne nuovi secondo lo Spirito di Dio; un secondo richiamo è alla colomba di Noè che dopo il diluvio ritornò con un ramoscello d’ulivo, segno di quella pace ricostituita tra il cielo e la terra; ma soprattutto l’immagine della colomba è segno di amore e di tenerezza: il Dio di Gesù Cristo non è un Dio aggressivo come un leone, ma tenero come una colomba, che cerca il suo nido e che si posa su ciascuno di noi. Dio cerca spazio nella nostra vita perché la nostra gioia sia piena e possiamo realizzare in noi ciò che da sempre ha sognato per ciascuno!
La terza immagine, la voce che viene dal cielo, è una espressione molto nota ed impiegata spesso dai rabbini per attribuire a Dio una affermazione; quella voce ha detto su Gesù e lo ripete su ciascuno di noi tre parole forti, che colpiscono al cuore per generare meraviglia e stupore.
Innanzitutto figlio, termine con il quale non si intende la generazione biologica, ma la somiglianza nello stile e nei valori che guidano la vita; così come siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù per riconoscervi quello di Dio Padre, anche noi dobbiamo assomigliare al Padre perché il Signore ci riconosca come veri suoi figli.
In secondo luogo non siamo solo figli, ma figli amati, prediletti e siccome l’amore non dipende da chi lo riceve, ma da colui che lo dona, allora io sono amato da sempre con un amore eterno e fedele, sono amato da subito prima che io faccia qualsiasi cosa per meritarlo o prima che io risponda; sono amato per quello che sono e così come sono, sono amato senza se e senza ma perché quell’amore non dipende da me.
Infine non solo siamo figli amati, ma siamo la gioia di Dio che trova in noi il suo compiacimento; quella voce dall’alto ha gridato nel giorno del mio battesimo e grida ogni giorno della mia vita “Tu sei una meraviglia!” (Papa Francesco, omelia della Messa della notte di Natale 2020), grida la gioia di Dio che mi dice: “è bello stare con te!” (E.Ronchi)
Vivere pienamente il nostro battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù (Fil 2,5), è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono (Rm 12,2); ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato.
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Il cuore sta per scoppiare dalla gioia per questo voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, e figlio amato di Dio; figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia. In questo io credo e sono pronto a vivere la mia vocazione: essere la gioia di Dio!
Commento 7 gennaio 2018
La celebrazione della festa del Battesimo del Signore ci introduce in quella parte dell’anno liturgico che va sotto il nome di tempo ordinario; l’aggettivo “ordinario” potrebbe far pensare ad una minor valenza di questo tempo ad altri tempi nel corso della vita della Chiesa e degli uomini, ma in realtà è tutt’altro: è il tempo normale della vita di ogni uomo e donna. È nella quotidianità del nostro impegno che siamo chiamati a testimoniare la nostra adesione a Cristo, è nella concretezza di ogni nostra giornata che siamo invitati ad annunciare il vangelo di Gesù, è con i piccoli gesti nei singoli momenti della vita siamo chiamati a costruire il regno di Dio. Questo nostro percorso feriale inizia volgendo il nostro sguardo al nostro battesimo, a partire da quello imposto dal Battista sulle rive del Giordano e che Gesù stesso volle ricevere. Quel battesimo era una semplice purificazione, segno dell’inizio e dell’impegno in un percorso di conversione per dichiararsi ben disposti alla proposta di Dio nella costruzione di un mondo più giusto ed umano. Lo stesso Giovanni riconosce l’enorme differenza di quel battesimo da quello che il Messia porterà, un battesimo in Spirito Santo, cioè capace di donare quella forza, che è la stessa forza di Dio necessaria alla realizzazione in pienezza di quel regno d’amore per il quale siamo stati creati e per il quale siamo chiamati a spendere tutta la nostra vita.
Credo che la più bella spiegazione del battesimo ce la dia s. Paolo quando scrive: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5) e in un altro passo “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2): vivere il battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù, è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono. Ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato. Infine è vivere con gioia, perché nulla di più grande è stato e sarà mai detto ad una persona se non “tu sei il figlio prediletto di Dio!”
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Sì, voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, e figlio prediletto di Dio; figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia. Sono figlio di Dio, immagine sfuocata e troppe volte sbiadita del Padre, ma pur sempre immagine nella quale Dio stesso si riconosce ed ora so quale è la mia strada perché io credo e voglio essere la gioia di Dio!
Credo che la più bella spiegazione del battesimo ce la dia s. Paolo quando scrive: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5) e in un altro passo “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2): vivere il battesimo è approcciare la vita con gli stessi sentimenti che furono di Gesù, è rinnovare il nostro modo di pensare per poter discernere ciò che è buono. Ma soprattutto è vivere tutto questo nella nostra quotidianità offrendo la nostra testimonianza per costruire fin da oggi intorno a noi, nei rapporti interpersonali e sociali quel regno di giustizia e di pace che Gesù ha annunciato. Infine è vivere con gioia, perché nulla di più grande è stato e sarà mai detto ad una persona se non “tu sei il figlio prediletto di Dio!”
Questo è l’annuncio di questa domenica ed è la grande novità di noi cristiani: non siamo più servi, come ritengono i nostri fratelli musulmani, non siamo solo popolo, come ritengono i nostri fratelli ebrei, ma siamo figli e come tali siamo chiamati a vivere la nostra vita.
Sì, voglio gridarlo con tutta la mia vita: sono figlio, e figlio prediletto di Dio; figlio nel quale Dio ogni momento vuole trovare la sua gioia. Sono figlio di Dio, immagine sfuocata e troppe volte sbiadita del Padre, ma pur sempre immagine nella quale Dio stesso si riconosce ed ora so quale è la mia strada perché io credo e voglio essere la gioia di Dio!