XXXIII domenica T.O. Anno A
Vangelo Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Commento 19 novembre 2023
La parabola di oggi parte da una situazione tipica ai tempi di Gesù, quando un signore doveva partire per un lungo viaggio ed affidava i suoi averi ai suoi servi più fidati perché questi potessero gestirli al meglio; in questo racconto noi subito cogliamo nella figura del padrone Dio che affida all’umanità i suoi beni perché li custodisca e li coltivi cioè li protegga e con il suo lavoro li porti a fruttificare (Gn 2); così il lungo viaggio è il tempo della storia personale e universale di ogni uomo, tempo delle scelte, della responsabilità e dell’impegno operoso dei servi, noi, coloro che chiamati da Dio si rendono disponibili a partecipare al suo progetto d’amore per il mondo.
Se la lettura simbolica appare chiara e semplice, è, d’altra parte, necessario notare come purtroppo questa parabola abbia ha subito diverse incomprensioni e quanti disastri siano stati compiuti travisando il significato della parola talento, che per noi è andata ad indicare una dote naturale, una capacità innata che siamo chiamati a trafficare per raggiungere il nostro successo personale, lasciando alla buona volontà di ciascuno il mettere eventualmente questi doni a servizio dei fratelli. Ora una lettura del genere ci porterebbe fuori strada, infatti se questo fosse il significato che Gesù voleva dare il racconto ci parlerebbe di un Dio capriccioso, del quale saremmo in balia; un Dio che premia i migliori e i più capaci e bastona coloro che non hanno opportunità e capacità come altri.
Per Gesù il talento era una semplice misura economica, una quantità di argento equivalente alla paga base di un operaio per 20 anni di lavoro ed in questo contesto va a rappresentare l’intera eredità che quel padrone affida ai suoi servi con poche semplici istruzioni per l'uso e tanta libertà per amare e moltiplicare vita.
Ma quale eredità ci ha lasciato Gesù? Gesù ci ha lasciato diverse cose, ci ha lasciato il grande comandamento dell’amore incondizionato e gratuito verso tutti misurato che trova l’unica misura nel suo stesso amore per ciascuno di noi, ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue, segni definitivi della sua alleanza con noi e del suo amore, ma il fatto stesso che si parli di un lungo viaggio e di eredità mi induce a pensare che un altro enorme tesoro ci abbia lasciato e il pensiero corre alla croce al momento della sua morte con Giovanni che commenta "consegnò lo Spirito" (Gv19, 30): ecco il talento, ecco l’eredità del Signore!
È lo Spirito la grande eredità che siamo chiamati a fruttificare ed allora mi affido alle parole di San Paolo che indica quali siano i frutti dello Spirito: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22); ecco allora l’opera dell’uomo, chiamato a generare un mondo nuovo edificato secondo il progetto di Dio. Ora la parabola dei talenti assume significati nuovi, se letta sotto questa luce e diventa un richiamo a vivere la nostra vita secondo lo Spirito per farne quell'esperienza meravigliosa da sempre sognata dal Signore.
Nasce spontanea una seconda riflessione guardando alla diversa distribuzione di questa eredità che ad una prima osservazione potrebbe apparire quantomeno ingiusta aprendo alla domanda: ma come, se lo Spirito di Dio è per tutti perché il padrone distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime e ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1?
Non ci troviamo di fronte ad una ingiustizia poiché in realtà il padrone opera secondo una giustizia più alta; dice, infatti, la parabola che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se con giustizia intendo dare a tutti in uguale misura rimango in una logica puramente matematica, oppure se con giustizia intendo dare a ciascuno il suo, in questo racconto scopro un significato più alto di giustizia dove ad ognuno è dato il meglio; Provo a spiegarmi con un esempio: come insegnante mi trovo spesso a giudicare il lavoro dei miei alunni e giustizia mi imporrebbe di dare ad un ragazzino il voto che merita 6, 7 o 8, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione. Così Dio nella costruzione del suo Regno dà ad ognuno la responsabilità di costruire la sua parte ed è questo che siamo chiamati a fare nella vita.
Ora una riflessione sul terzo servo, che di fronte alla possibilità di perdere quanto gli era affidato e con la possibilità di subire i conseguenti castighi del padrone, va a nascondere il suo talento. Amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato e lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio, ma l’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso, perverso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità. Il terzo servo spiegando il motivo della sua paura mostra di non avere capito nulla e di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo: Dio è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Liberiamoci della paura di un Dio che non è il nostro, liberiamo il nostro cuore dalle false immagini di un Dio, essere perfettissimo desideroso solo di avere figli anch’essi perfetti, apriamo la nostra vita a quel santo Timor di Dio, dono dello Spirito, che altro non è che la paura di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
L’ultimo servo per paura nasconde il talento che gli era stato affidato e così perde l’occasione della sua vita; eppure bastava poco, era sufficiente affidare quel talento alla banca della comunità dei discepoli perché potesse portare frutto. Dio non mi chiede di diventare martire della fede, non mi chiede di fare scelte radicali, mi chiede di essere cosciente e responsabile del dono che ho ricevuto, piccolo o grande che sia, e di valorizzarlo o quantomeno di renderlo visibile perché sia di testimonianza.
Ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutti i doni che il Signore ci ha fatto sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto sprecando le nostre occasioni per amare e la nostra vita sarà nelle tenebre tra pianto e stridore di denti.
In conclusione se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!
Se la lettura simbolica appare chiara e semplice, è, d’altra parte, necessario notare come purtroppo questa parabola abbia ha subito diverse incomprensioni e quanti disastri siano stati compiuti travisando il significato della parola talento, che per noi è andata ad indicare una dote naturale, una capacità innata che siamo chiamati a trafficare per raggiungere il nostro successo personale, lasciando alla buona volontà di ciascuno il mettere eventualmente questi doni a servizio dei fratelli. Ora una lettura del genere ci porterebbe fuori strada, infatti se questo fosse il significato che Gesù voleva dare il racconto ci parlerebbe di un Dio capriccioso, del quale saremmo in balia; un Dio che premia i migliori e i più capaci e bastona coloro che non hanno opportunità e capacità come altri.
Per Gesù il talento era una semplice misura economica, una quantità di argento equivalente alla paga base di un operaio per 20 anni di lavoro ed in questo contesto va a rappresentare l’intera eredità che quel padrone affida ai suoi servi con poche semplici istruzioni per l'uso e tanta libertà per amare e moltiplicare vita.
Ma quale eredità ci ha lasciato Gesù? Gesù ci ha lasciato diverse cose, ci ha lasciato il grande comandamento dell’amore incondizionato e gratuito verso tutti misurato che trova l’unica misura nel suo stesso amore per ciascuno di noi, ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue, segni definitivi della sua alleanza con noi e del suo amore, ma il fatto stesso che si parli di un lungo viaggio e di eredità mi induce a pensare che un altro enorme tesoro ci abbia lasciato e il pensiero corre alla croce al momento della sua morte con Giovanni che commenta "consegnò lo Spirito" (Gv19, 30): ecco il talento, ecco l’eredità del Signore!
È lo Spirito la grande eredità che siamo chiamati a fruttificare ed allora mi affido alle parole di San Paolo che indica quali siano i frutti dello Spirito: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22); ecco allora l’opera dell’uomo, chiamato a generare un mondo nuovo edificato secondo il progetto di Dio. Ora la parabola dei talenti assume significati nuovi, se letta sotto questa luce e diventa un richiamo a vivere la nostra vita secondo lo Spirito per farne quell'esperienza meravigliosa da sempre sognata dal Signore.
Nasce spontanea una seconda riflessione guardando alla diversa distribuzione di questa eredità che ad una prima osservazione potrebbe apparire quantomeno ingiusta aprendo alla domanda: ma come, se lo Spirito di Dio è per tutti perché il padrone distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime e ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1?
Non ci troviamo di fronte ad una ingiustizia poiché in realtà il padrone opera secondo una giustizia più alta; dice, infatti, la parabola che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se con giustizia intendo dare a tutti in uguale misura rimango in una logica puramente matematica, oppure se con giustizia intendo dare a ciascuno il suo, in questo racconto scopro un significato più alto di giustizia dove ad ognuno è dato il meglio; Provo a spiegarmi con un esempio: come insegnante mi trovo spesso a giudicare il lavoro dei miei alunni e giustizia mi imporrebbe di dare ad un ragazzino il voto che merita 6, 7 o 8, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione. Così Dio nella costruzione del suo Regno dà ad ognuno la responsabilità di costruire la sua parte ed è questo che siamo chiamati a fare nella vita.
Ora una riflessione sul terzo servo, che di fronte alla possibilità di perdere quanto gli era affidato e con la possibilità di subire i conseguenti castighi del padrone, va a nascondere il suo talento. Amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato e lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio, ma l’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso, perverso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità. Il terzo servo spiegando il motivo della sua paura mostra di non avere capito nulla e di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo: Dio è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Liberiamoci della paura di un Dio che non è il nostro, liberiamo il nostro cuore dalle false immagini di un Dio, essere perfettissimo desideroso solo di avere figli anch’essi perfetti, apriamo la nostra vita a quel santo Timor di Dio, dono dello Spirito, che altro non è che la paura di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
L’ultimo servo per paura nasconde il talento che gli era stato affidato e così perde l’occasione della sua vita; eppure bastava poco, era sufficiente affidare quel talento alla banca della comunità dei discepoli perché potesse portare frutto. Dio non mi chiede di diventare martire della fede, non mi chiede di fare scelte radicali, mi chiede di essere cosciente e responsabile del dono che ho ricevuto, piccolo o grande che sia, e di valorizzarlo o quantomeno di renderlo visibile perché sia di testimonianza.
Ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutti i doni che il Signore ci ha fatto sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto sprecando le nostre occasioni per amare e la nostra vita sarà nelle tenebre tra pianto e stridore di denti.
In conclusione se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!
Commento 15 novembre 2020
Lo sfondo della parabola di questa domenica è molto semplice e classico: un uomo, un padrone affida i suoi beni ai suoi servi e parte per un lungo viaggio: subito cogliamo come il padrone sia Dio che affida all'umanità i suoi beni perché li custodisca e li coltivi cioè li protegga e con il suo lavoro li porti a fruttificare (Gn 2); il lungo viaggio è il tempo della storia personale e universale di ogni uomo, tempo delle scelte, della responsabilità e dell'impegno operoso dei servi, noi, coloro che chiamati da Dio si rendono disponibili a partecipare al suo progetto d'amore per il mondo. Purtroppo questa parabola ha subito diverse incomprensioni e quanti disastri abbiamo compiuto ad esempio travisando il significato della parola talento, che per noi è andata ad indicare una dote naturale, una capacità innata che siamo chiamati a trafficare per raggiungere il nostro successo personale, lasciando alla buona volontà di ciascuno il mettere eventualmente questi doni a servizio dei fratelli. I talenti non sono questi ed una simile lettura ci porta fuori strada: se questo fosse il significato saremmo in balia di un Dio capriccioso, che premia i migliori e i più capaci e bastona coloro che non hanno opportunità e capacità come altri. Per Gesù il talento era una semplice misura economica, una quantità di argento equivalente alla paga base di un operaio per 20 anni di lavoro ed in questo contesto va a rappresentare l'intera eredità che quel padrone affida ai suoi servi con poche semplici istruzioni per l'uso e tanta libertà per amare e moltiplicare vita.
A questo punto resta da comprendere cosa sia questa eredità che il Signore ci consegna: Egli ci ha lasciato diverse cose, ci ha lasciato il grande comandamento dell'amore, ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue, segni definitivi della sua alleanza con noi e del suo amore, ma il fatto stesso che si parli di un lungo viaggio e di eredità mi induce a pensare che un altro enorme tesoro ci abbia lasciato e il pensiero corre alla croce al momento della sua morte con Giovanni che commenta "consegnò lo Spirito" (Gv19, 30): ecco il talento, ecco l'eredità del Signore!
San Paolo ci aiuta a verificare quale sia il frutto dello Spirito, che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22): ecco allora l'opera dell'uomo, chiamato a generare un mondo nuovo edificato secondo il progetto di Dio. Allora la parabola diventa un richiamo a vivere la nostra vita secondo lo Spirito per farne quell'esperienza meravigliosa da sempre sognata dal Signore.
Una seconda riflessione nasce dalla diversa distribuzione dell'eredità che nella logica umana appare quantomeno come ingiusta: ma come se lo Spirito di Dio è per tutti perché il padrone distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime: ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1. Anche l’idea di un Signore ingiusto non mi piace e non credo sia evangelica; in realtà il padrone opera secondo una giustizia più alta, poiché la parabola aggiunge che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se la giustizia umana non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo, in questo caso il padrone, Dio, compie un passo in avanti e dà a ciascuno, secondo giustizia, il meglio; cerco di spiegarmi la giustizia mi imporrebbe come insegnante di dare ad un ragazzino il voto che merita 6, 7 o 8, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione.
Infine una riflessione sulla paura del terzo servo che per evitare di subire i castighi del padrone va a nascondere il suo talento; amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato; lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio e ci divertiamo a far la parte di Dio, quando guardiamo trasmissioni che spiano la vita delle persone (leggasi “Grande Fratello”). L’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso, perverso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità.
Il terzo servo spiegando il motivo della sua paura mostra di non avere capito nulla e di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo, egli è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Liberiamoci della paura di un Dio che non è il nostro, liberiamo il nostro cuore dalle false immagini di un Dio, essere perfettissimo desideroso solo di avere figli anch'essi perfetti, apriamo la nostra vita a quel santo Timor di Dio, dono dello Spirito, che altro non è che la paura di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
L'ultimo servo per paura nasconde il talento che gli era stato affidato e così perde l'occasione della sua vita; eppure bastava poco, era sufficiente affidare quel talento alla banca della comunità dei discepoli perché potesse portare frutto. Dio non mi chiede di diventare martire della fede, non mi chiede di fare scelte radicali, mi chiede di essere cosciente e responsabile del dono che ho ricevuto, piccolo o grande che sia, e di valorizzarlo o quantomeno di renderlo visibile perché sia di testimonianza.
Ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutto questo sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto non solo un giorno privi d’amore, ma anche un altro giorno tra “pianto e stridore di denti”: ecco il nostro esame di coscienza!
In conclusione se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!
A questo punto resta da comprendere cosa sia questa eredità che il Signore ci consegna: Egli ci ha lasciato diverse cose, ci ha lasciato il grande comandamento dell'amore, ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue, segni definitivi della sua alleanza con noi e del suo amore, ma il fatto stesso che si parli di un lungo viaggio e di eredità mi induce a pensare che un altro enorme tesoro ci abbia lasciato e il pensiero corre alla croce al momento della sua morte con Giovanni che commenta "consegnò lo Spirito" (Gv19, 30): ecco il talento, ecco l'eredità del Signore!
San Paolo ci aiuta a verificare quale sia il frutto dello Spirito, che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22): ecco allora l'opera dell'uomo, chiamato a generare un mondo nuovo edificato secondo il progetto di Dio. Allora la parabola diventa un richiamo a vivere la nostra vita secondo lo Spirito per farne quell'esperienza meravigliosa da sempre sognata dal Signore.
Una seconda riflessione nasce dalla diversa distribuzione dell'eredità che nella logica umana appare quantomeno come ingiusta: ma come se lo Spirito di Dio è per tutti perché il padrone distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime: ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1. Anche l’idea di un Signore ingiusto non mi piace e non credo sia evangelica; in realtà il padrone opera secondo una giustizia più alta, poiché la parabola aggiunge che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se la giustizia umana non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo, in questo caso il padrone, Dio, compie un passo in avanti e dà a ciascuno, secondo giustizia, il meglio; cerco di spiegarmi la giustizia mi imporrebbe come insegnante di dare ad un ragazzino il voto che merita 6, 7 o 8, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione.
Infine una riflessione sulla paura del terzo servo che per evitare di subire i castighi del padrone va a nascondere il suo talento; amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato; lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio e ci divertiamo a far la parte di Dio, quando guardiamo trasmissioni che spiano la vita delle persone (leggasi “Grande Fratello”). L’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso, perverso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità.
Il terzo servo spiegando il motivo della sua paura mostra di non avere capito nulla e di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo, egli è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Liberiamoci della paura di un Dio che non è il nostro, liberiamo il nostro cuore dalle false immagini di un Dio, essere perfettissimo desideroso solo di avere figli anch'essi perfetti, apriamo la nostra vita a quel santo Timor di Dio, dono dello Spirito, che altro non è che la paura di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
L'ultimo servo per paura nasconde il talento che gli era stato affidato e così perde l'occasione della sua vita; eppure bastava poco, era sufficiente affidare quel talento alla banca della comunità dei discepoli perché potesse portare frutto. Dio non mi chiede di diventare martire della fede, non mi chiede di fare scelte radicali, mi chiede di essere cosciente e responsabile del dono che ho ricevuto, piccolo o grande che sia, e di valorizzarlo o quantomeno di renderlo visibile perché sia di testimonianza.
Ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutto questo sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto non solo un giorno privi d’amore, ma anche un altro giorno tra “pianto e stridore di denti”: ecco il nostro esame di coscienza!
In conclusione se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!
Commento 19 novembre 2017
Il vangelo di oggi è forse tra i più conosciuti, ma proprio per questo tra i più travisati, pertanto, comincerei con il rimediare ad alcuni errori di comprensione per provare a capire meglio questo brano. Ormai intendiamo il termine “talento”, come le capacità, i doni che una persona ha; in realtà il talento era una misura di peso che equivaleva ad una misura economica, mi basti ricordare che un talento equivaleva alla paga di un operaio per 20 anni di lavoro. Ciò che quel padrone lascia ai servi, dovendo partire per un lungo viaggio rappresenta l’intero patrimonio, direi l’eredità di quell’uomo; muta, allora, anche la comprensione di chi fossero questi servi se da una parte gli viene affidata una tale somma e dall’altra non si parla mai di uno stipendio: qui non si parla di servi quanto piuttosto di figli e, comunque, anche il servo in quel tempo si differenziava dallo schiavo, poiché entrava a far parte della famiglia del padrone, potendone gestire con le conseguenti responsabilità il patrimonio.
In secondo luogo nella distribuzione della propria eredità la figura del padrone appare quantomeno come ingiusta, distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime: ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1. Anche l’idea di un Signore ingiusto non mi piace e non credo sia evangelica. In realtà il padrone opera secondo una giustizia più grande, poiché la parabola aggiunge che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se la giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo, in questo caso il padrone compie un passo in avanti e dà a ciascuno il meglio; cerco di spiegarmi la giustizia mi imporrebbe come insegnante di dare ad un ragazzino che merita 6, 7 o 8 il suo voto, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione.
Infine una riflessione sulla paura del terzo servo che per evitare di subire i castighi del padrone va a nascondere il suo talento; amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato; lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio e ci divertiamo a far la parte di Dio, quando guardiamo trasmissioni che spiano la vita delle persone (leggasi “Grande Fratello”). L’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità.
Il servo spiega il motivo della sua paura e mostra di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo, egli è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Nel rito della cresima il celebrante, ricordando i doni dello Spirito Santo, pone un accento particolare sullo “Spirito del tuo santo timore”; ecco amici, che il nostro timore sia santo, timore di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
Allora quale vangelo, buona notizia, oggi ci viene annunciata?
Ecco i talenti che il Signore ci lascia non sono altro che la sua vita e sulla croce Cristo ha distribuito a tutta l’umanità la sua eredità, il suo Spirito (Gv 19, 30), ora, grazie al suo Spirito anche noi possiamo continuare il suo progetto per un mondo nuovo verso la costruzione del suo regno. Ed ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando intorno a noi altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutto questo sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto non solo un altro giorno privi d’amore, ma anche un altro giorno tra “pianto e stridore di denti”: ecco il nostro esame di coscienza!
Se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!
In secondo luogo nella distribuzione della propria eredità la figura del padrone appare quantomeno come ingiusta, distribuisce i talenti tra i servi in modo non equanime: ad uno ne dà 5, ad un altro 2 e all’ultimo 1. Anche l’idea di un Signore ingiusto non mi piace e non credo sia evangelica. In realtà il padrone opera secondo una giustizia più grande, poiché la parabola aggiunge che ad ognuno fu dato “secondo le sue capacità”, letteralmente secondo le sue forze, quindi secondo ciò che sapeva e poteva fare. Se la giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo, in questo caso il padrone compie un passo in avanti e dà a ciascuno il meglio; cerco di spiegarmi la giustizia mi imporrebbe come insegnante di dare ad un ragazzino che merita 6, 7 o 8 il suo voto, ma se quel livello di conoscenza è il massimo che egli può raggiungere sarebbe giustizia, secondo l’idea di Dio, dargli 10, poiché quell’alunno ha raggiunto la sua perfezione.
Infine una riflessione sulla paura del terzo servo che per evitare di subire i castighi del padrone va a nascondere il suo talento; amici quante volte abbiamo presentato Dio in modo terrificante: “Stai attento, Dio ti guarda!”, è lì pronto a punirti ad ogni tuo peccato; lo abbiamo persino rappresentato con un grande occhio e ci divertiamo a far la parte di Dio, quando guardiamo trasmissioni che spiano la vita delle persone (leggasi “Grande Fratello”). L’occhio di Dio non è quello di un giudice curioso e terribile pronto a condannarci, ma quello di una madre, un occhio che non si stacca mai dal figlio perché lei possa essere sempre pronta a soccorrerlo in caso di necessità.
Il servo spiega il motivo della sua paura e mostra di avere un’idea completamente sbagliata di Dio, dice infatti, rivolto al padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.” Quante idee sbagliate su Dio abbiamo inculcato ai nostri fratelli!
Dio non è così, anzi, è esattamente il contrario di ciò che afferma il servo, egli è quel seminatore che volontariamente, direi testardamente, lancia parte del seme lungo la strada, sul terreno sassoso e tra i rovi; insomma semina anche là dove quasi certamente non potrà mietere, perché nel suo cuore c’è la speranza che, prima o poi, anche lì possa crescere qualcosa (cfr. Mt 13,3-9).
Nel rito della cresima il celebrante, ricordando i doni dello Spirito Santo, pone un accento particolare sullo “Spirito del tuo santo timore”; ecco amici, che il nostro timore sia santo, timore di perdere il tempo che ci è dato per vivere già da oggi nella gioia del Signore, il timore di perdere Dio, cioè noi stessi e la nostra vita.
Allora quale vangelo, buona notizia, oggi ci viene annunciata?
Ecco i talenti che il Signore ci lascia non sono altro che la sua vita e sulla croce Cristo ha distribuito a tutta l’umanità la sua eredità, il suo Spirito (Gv 19, 30), ora, grazie al suo Spirito anche noi possiamo continuare il suo progetto per un mondo nuovo verso la costruzione del suo regno. Ed ogni giorno Il Signore “viene” (non è corretta la traduzione “tornò” del versetto 19) per verificare se siamo riusciti a vivere secondo la sua logica d’amore. Ecco i talenti che ci sono donati sono la vita e la nostra capacità di amare: se con la nostra vita avremo saputo creare vita intorno a noi, se con il nostro amore avremo saputo creare amore intorno a noi, se con la nostra gioia abbiamo saputo creare gioia intorno a noi saremo stati fedeli al progetto di Dio realizzando intorno a noi altra vita, altro amore, altra gioia; ma se, nascondendo tutto questo sotto la terra della nostra paura, avremo vissuto non solo un altro giorno privi d’amore, ma anche un altro giorno tra “pianto e stridore di denti”: ecco il nostro esame di coscienza!
Se avremo saputo essere fedeli “nel poco” della nostra vita, potremo vivere nella gioia di Dio per l’eternità; viviamo, pertanto, nella gioia e non più nella paura, poiché il Signore viene per farci partecipare al suo regno!