XV domenica T.O. Anno A
Vangelo Mt 13,1-23
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Commento 16 luglio 2023
Gesù aveva presentato con chiarezza il suo progetto per un uomo nuovo e la necessità da parte di tutti di una testimonianza coerente per annunciare il suo vangelo nei suoi primi grandi discorsi, ma non aveva ottenuto grandi risultati anzi la sua missione sembrava indirizzata ad un enorme fallimento e le folle che avevano seguito Gesù agli inizi ora lo avevano abbandonato.
Gesù cambia il suo modo di annunciare il regno di Dio non più con discorsi che implicano ragionamenti ed un insegnamento che cala dall’alto, ma cercando di far emergere da dentro ciascuno di noi quel bisogno di verità, quella sete d’amore e di senso che solo il suo Vangelo sa saziare e per far questo Gesù non ricorre a freddi ragionamenti, ma a uno strumento dialettico già presente nella cultura ebraica, la parabola.
Le parabole erano un tipico racconto a carattere religioso utilizzato dai rabbini per insegnare le cose di Dio, ma Gesù ne fa un uso particolare: nel suo insegnamento la parabola non è la classica favoletta con conclusione positiva da cui trarre una morale, un insegnamento etico, ma un racconto semplice che riguarda la vita quotidiana delle persone, un racconto che contiene particolari strani, elementi fuori dal comune che costituiscono il cuore dell’insegnamento che si vuole dare; ne scaturisce così una sorta di indovinello che spinge l’ascoltatore ad impegnarsi per coglierne il senso e di qui lo chiama ad una scelta.
La parabola è da un lato il modo migliore per incontrare l’attenzione della gente poiché non parla di massimi sistemi filosofici, ma di vita quotidiana, e dall’altro contiene in sé una proposta e non una imposizione, che lascia libero l’interlocutore di scegliere. La parabola è “un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale” (Ronchi)
La parabola consente quindi quel percorso di libertà che solo garantisce l’amore che Dio cerca da ciascuno di noi. Credo sia proprio questo il senso dei versetti un po’ strani dove Gesù spiega il suo esprimersi in parabole: “a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. […] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. La parabola non offre risposte preconfezionate, ma indica un percorso, una strada sulla quale possiamo camminare.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione, spiegazione che diventa nuova parabola; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano. Ora, come accade spesso, nella traduzione italiana questo elemento non viene evidenziato poiché si parla del seme che “cade” su terreni di diverso tipo quasi fosse un errore o una casualità; in realtà il testo originale greco ci parla di un seminatore che “semina”, getta volontariamente e con abbondanza il suo seme, che poi cade in parte sulla strada, in parte tra le rocce, in mezzo ai rovi e sul terreno buono.
Quante volte noi immaginiamo Dio come il mietitore, colui che al termine della nostra vita viene a giudicare, a misurare ciò che abbiamo reso, il bene o il male commessi, non è così! Gesù presenta Dio come il seminatore, un seminatore che ai nostri occhi appare strano tra l’ingenuo ed il maldestro, gettando, alcuni direbbero sprecando, il suo buon seme anche su terreni impervi, aridi che rendono il raccolto impossibile. Dio è un inguaribile ottimista capace di credere in me più di quanto io stesso posso fare; è un Dio che mi ama così infinitamente che è capace di fidarsi anche di me, che non sono capace di nulla, ma che con il mio semplice “sì” posso contribuire al suo immenso progetto d’amore. Proprio così solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore.
In secondo luogo, guardando al seme che viene sparso su ogni tipo di terreno, è necessario ribadire che la Parola di Dio, l’annuncio dell’incondizionato amore di Dio è per ogni suo figlio; il Vangelo è universale, rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza; la comunità cristiana e al suo interno ciascuno dei suoi membri è chiamato a gettare a piene mani quel seme che un giorno fu impiantato in noi, annunciare concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone o in determinati luoghi potrebbe risultare inutile.
Vi è poi un terzo aspetto che riguarda la riuscita della semina: il raccolto non dipende dal seminatore che è chiamato solo a seminare con abbondanza in ogni luogo, né dalla bontà del seme, ma dall’accoglienza del terreno, cioè da parte di coloro che ricevono il seme.
Ecco allora che “una parte cadde lungo la strada” e qui il terreno è talmente duro che il seme cade e rimbalza: su questo terreno indurito dalla vita il seme non attecchisce neanche. Questo terreno rappresenta il cuore di quelle persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì. Ora un’altra parte “cadde sul terreno sassoso”; questo terreno rappresenta coloro che subito accolgono con entusiasmo il messaggio, ma poi mancano di costanza, cadono nella fatica del quotidiano e la fede finisce in secondo, terzo o quarto piano fino a sparire. Ancora un’altra parte “cadde sui rovi”; qui il seme attecchisce, cresce anche con fatica, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
Infine un’altra parte “cadde sul terreno buono”, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Sono convinto che ogni volta qualcuno si riconosce in uno dei terreni precedenti, questi ha la possibilità concreta di diventare terreno buono, di liberare il suo cuore dalle pietre, dalle spine che impediscono al seme di germogliare.
Proprio qua abbiamo un ultimo ed importantissimo elemento di riflessione perché il verbo centrale di tutta la parabola è quel “diede frutto”; infatti la parabola ci racconta di un seminatore fiducioso e la cui fiducia alla fine non viene tradita. Gesù afferma che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma non fatico ad affermare che anche questo è un elemento molto strano su cui riflettere: è impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Ecco allora il Vangelo di oggi, la buona notizia sulla mia e nostra vita: se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.
Gesù cambia il suo modo di annunciare il regno di Dio non più con discorsi che implicano ragionamenti ed un insegnamento che cala dall’alto, ma cercando di far emergere da dentro ciascuno di noi quel bisogno di verità, quella sete d’amore e di senso che solo il suo Vangelo sa saziare e per far questo Gesù non ricorre a freddi ragionamenti, ma a uno strumento dialettico già presente nella cultura ebraica, la parabola.
Le parabole erano un tipico racconto a carattere religioso utilizzato dai rabbini per insegnare le cose di Dio, ma Gesù ne fa un uso particolare: nel suo insegnamento la parabola non è la classica favoletta con conclusione positiva da cui trarre una morale, un insegnamento etico, ma un racconto semplice che riguarda la vita quotidiana delle persone, un racconto che contiene particolari strani, elementi fuori dal comune che costituiscono il cuore dell’insegnamento che si vuole dare; ne scaturisce così una sorta di indovinello che spinge l’ascoltatore ad impegnarsi per coglierne il senso e di qui lo chiama ad una scelta.
La parabola è da un lato il modo migliore per incontrare l’attenzione della gente poiché non parla di massimi sistemi filosofici, ma di vita quotidiana, e dall’altro contiene in sé una proposta e non una imposizione, che lascia libero l’interlocutore di scegliere. La parabola è “un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale” (Ronchi)
La parabola consente quindi quel percorso di libertà che solo garantisce l’amore che Dio cerca da ciascuno di noi. Credo sia proprio questo il senso dei versetti un po’ strani dove Gesù spiega il suo esprimersi in parabole: “a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. […] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. La parabola non offre risposte preconfezionate, ma indica un percorso, una strada sulla quale possiamo camminare.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione, spiegazione che diventa nuova parabola; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano. Ora, come accade spesso, nella traduzione italiana questo elemento non viene evidenziato poiché si parla del seme che “cade” su terreni di diverso tipo quasi fosse un errore o una casualità; in realtà il testo originale greco ci parla di un seminatore che “semina”, getta volontariamente e con abbondanza il suo seme, che poi cade in parte sulla strada, in parte tra le rocce, in mezzo ai rovi e sul terreno buono.
Quante volte noi immaginiamo Dio come il mietitore, colui che al termine della nostra vita viene a giudicare, a misurare ciò che abbiamo reso, il bene o il male commessi, non è così! Gesù presenta Dio come il seminatore, un seminatore che ai nostri occhi appare strano tra l’ingenuo ed il maldestro, gettando, alcuni direbbero sprecando, il suo buon seme anche su terreni impervi, aridi che rendono il raccolto impossibile. Dio è un inguaribile ottimista capace di credere in me più di quanto io stesso posso fare; è un Dio che mi ama così infinitamente che è capace di fidarsi anche di me, che non sono capace di nulla, ma che con il mio semplice “sì” posso contribuire al suo immenso progetto d’amore. Proprio così solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore.
In secondo luogo, guardando al seme che viene sparso su ogni tipo di terreno, è necessario ribadire che la Parola di Dio, l’annuncio dell’incondizionato amore di Dio è per ogni suo figlio; il Vangelo è universale, rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza; la comunità cristiana e al suo interno ciascuno dei suoi membri è chiamato a gettare a piene mani quel seme che un giorno fu impiantato in noi, annunciare concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone o in determinati luoghi potrebbe risultare inutile.
Vi è poi un terzo aspetto che riguarda la riuscita della semina: il raccolto non dipende dal seminatore che è chiamato solo a seminare con abbondanza in ogni luogo, né dalla bontà del seme, ma dall’accoglienza del terreno, cioè da parte di coloro che ricevono il seme.
Ecco allora che “una parte cadde lungo la strada” e qui il terreno è talmente duro che il seme cade e rimbalza: su questo terreno indurito dalla vita il seme non attecchisce neanche. Questo terreno rappresenta il cuore di quelle persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì. Ora un’altra parte “cadde sul terreno sassoso”; questo terreno rappresenta coloro che subito accolgono con entusiasmo il messaggio, ma poi mancano di costanza, cadono nella fatica del quotidiano e la fede finisce in secondo, terzo o quarto piano fino a sparire. Ancora un’altra parte “cadde sui rovi”; qui il seme attecchisce, cresce anche con fatica, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
Infine un’altra parte “cadde sul terreno buono”, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Sono convinto che ogni volta qualcuno si riconosce in uno dei terreni precedenti, questi ha la possibilità concreta di diventare terreno buono, di liberare il suo cuore dalle pietre, dalle spine che impediscono al seme di germogliare.
Proprio qua abbiamo un ultimo ed importantissimo elemento di riflessione perché il verbo centrale di tutta la parabola è quel “diede frutto”; infatti la parabola ci racconta di un seminatore fiducioso e la cui fiducia alla fine non viene tradita. Gesù afferma che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma non fatico ad affermare che anche questo è un elemento molto strano su cui riflettere: è impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Ecco allora il Vangelo di oggi, la buona notizia sulla mia e nostra vita: se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.
Commento 12 luglio 2020
Nei suoi primi grandi discorsi Gesù con chiarezza aveva presentato il suo progetto e la necessità da parte di tutti di una testimonianza coerente per annunciare il suo vangelo, ma non aveva ottenuto grandi risultati anzi la sua missione sembrava indirizzata ad un enorme fallimento; ecco che di fronte a tutto questo Gesù cambia il suo modo di annunciare il regno di Dio non più con discorsi che implicano ragionamenti ed un insegnamento che cala dall’alto, ma cercando di far emergere da dentro ciascuno di noi quel bisogno di verità, quella sete d’amore e di senso che solo il suo Vangelo sa saziare e per far questo Gesù non ricorre a freddi ragionamenti, ma a uno strumento dialettico già presente nella cultura ebraica, la parabola. Matteo raccoglie ben sette parabole di Gesù in un lungo discorso al capitolo 13 che ci accompagnerà oggi e nelle prossime domeniche.
La parabola non è la classica favoletta con conclusione positiva da cui trarre una morale, un insegnamento etico, ma un racconto semplice che riguarda la vita quotidiana delle persone, un racconto che contiene particolari strani, elementi fuori dal comune che costituiscono il cuore dell’insegnamento che si vuole dare: si tratta di una sorta di indovinello che spinge l’ascoltatore ad impegnarsi per coglierne il senso. La parabola è da un lato il modo migliore per incontrare l’attenzione della gente poiché non parla di massimi sistemi filosofici, ma di vita quotidiana, e dall’altro contiene in sé una proposta e non una imposizione, che lascia libero l’interlocutore di scegliere. Mi ha colpito quanto scrive Ronchi a proposito delle parabole: “un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale”.
La parabola consente quindi quel percorso di libertà che solo garantisce l’amore che Dio cerca da ciascuno di noi. Credo sia proprio questo il senso dei versetti un po’ strani dove Gesù spiega il suo esprimersi in parabole: “a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. […] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. La parabola non offre risposte preconfezionate, ma indica un percorso, una strada sulla quale possiamo camminare.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano, che purtroppo molte volte nella traduzione italiana non si evidenzia a prima vista poiché, ad esempio, in questo caso si parla del seme che “cade” quasi fosse un errore o una casualità su terreni di diverso tipo; in realtà è il seminatore che “semina”, getta volontariamente e con abbondanza il suo seme, che poi cade in parte sulla strada, in parte tra le rocce, in mezzo ai rovi e sul terreno buono.
La prima riflessione riguarda Dio che noi spesso vediamo come il mietitore, colui che al termine della nostra vita viene a giudicare, a misurare ciò che abbiamo reso, il bene o il male commessi; no, il Dio di Gesù Cristo è il seminatore, un seminatore che opera tra il maldestro e l’ingenuo gettando, alcuni direbbero sprecando, il suo buon seme anche su terreni impervi, aridi che rendono il raccolto impossibile. Un Dio che mi ama così infinitamente che è capace di fidarsi anche di me, che non sono capace di nulla, ma che con il mio semplice “sì” posso contribuire al suo immenso progetto d’amore; solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore.
Una seconda riflessione è sul seme, la Parola di Dio, l’annuncio dell’incondizionato amore di Dio per ogni suo figlio; il Vangelo è universale, rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza. Ciò che spetta a noi è gettare a piene mani quel seme che un giorno fu impiantato in noi, annunciare
concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone o in determinati luoghi sarebbe sicuramente inutile.
Una terza riflessione riguarda la riuscita della semina ed il raccolto che non dipende dal seminatore che è chiamato a seminare con abbondanza in ogni luogo, né dalla bontà del seme, ma dall’accoglienza del terreno, cioè da parte di coloro che ricevono il seme:
1) “una parte cadde lungo la strada” è il terreno talmente duro che il seme cade e rimbalza e il terreno indurito dalla vita dove il seme non attecchisce neanche; si tratta di persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì
2) un’altra parte “cadde sul terreno sassoso” è il terreno di colui che subito accoglie con entusiasmo il messaggio, ma poi manca di costanza, cade nella fatica del quotidiano e la fede finisce in secondo, terzo o quarto piano fino a sparire.
3) un’altra parte “cadde sui rovi” in questo terreno il seme attecchisce, cresce nella costanza, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
4) un’altra parte “cadde sul terreno buono”, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Io sono convinto che ogni volta che mi riconosco in uno dei terreni precedenti, ho la possibilità concreta di diventare terreno buono, di liberare il mio cuore dalle pietre, dalle spine che impediscono al seme di germogliare.
Gesù afferma che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma non fatico ad affermare che anche questo è un elemento molto strano su cui riflettere: è impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Comprendo allora che se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.
La parabola non è la classica favoletta con conclusione positiva da cui trarre una morale, un insegnamento etico, ma un racconto semplice che riguarda la vita quotidiana delle persone, un racconto che contiene particolari strani, elementi fuori dal comune che costituiscono il cuore dell’insegnamento che si vuole dare: si tratta di una sorta di indovinello che spinge l’ascoltatore ad impegnarsi per coglierne il senso. La parabola è da un lato il modo migliore per incontrare l’attenzione della gente poiché non parla di massimi sistemi filosofici, ma di vita quotidiana, e dall’altro contiene in sé una proposta e non una imposizione, che lascia libero l’interlocutore di scegliere. Mi ha colpito quanto scrive Ronchi a proposito delle parabole: “un linguaggio che contiene di più di quel che dice. Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, suscita emozioni, avvia un viaggio tutto personale”.
La parabola consente quindi quel percorso di libertà che solo garantisce l’amore che Dio cerca da ciascuno di noi. Credo sia proprio questo il senso dei versetti un po’ strani dove Gesù spiega il suo esprimersi in parabole: “a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. […] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. La parabola non offre risposte preconfezionate, ma indica un percorso, una strada sulla quale possiamo camminare.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano, che purtroppo molte volte nella traduzione italiana non si evidenzia a prima vista poiché, ad esempio, in questo caso si parla del seme che “cade” quasi fosse un errore o una casualità su terreni di diverso tipo; in realtà è il seminatore che “semina”, getta volontariamente e con abbondanza il suo seme, che poi cade in parte sulla strada, in parte tra le rocce, in mezzo ai rovi e sul terreno buono.
La prima riflessione riguarda Dio che noi spesso vediamo come il mietitore, colui che al termine della nostra vita viene a giudicare, a misurare ciò che abbiamo reso, il bene o il male commessi; no, il Dio di Gesù Cristo è il seminatore, un seminatore che opera tra il maldestro e l’ingenuo gettando, alcuni direbbero sprecando, il suo buon seme anche su terreni impervi, aridi che rendono il raccolto impossibile. Un Dio che mi ama così infinitamente che è capace di fidarsi anche di me, che non sono capace di nulla, ma che con il mio semplice “sì” posso contribuire al suo immenso progetto d’amore; solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore.
Una seconda riflessione è sul seme, la Parola di Dio, l’annuncio dell’incondizionato amore di Dio per ogni suo figlio; il Vangelo è universale, rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza. Ciò che spetta a noi è gettare a piene mani quel seme che un giorno fu impiantato in noi, annunciare
concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone o in determinati luoghi sarebbe sicuramente inutile.
Una terza riflessione riguarda la riuscita della semina ed il raccolto che non dipende dal seminatore che è chiamato a seminare con abbondanza in ogni luogo, né dalla bontà del seme, ma dall’accoglienza del terreno, cioè da parte di coloro che ricevono il seme:
1) “una parte cadde lungo la strada” è il terreno talmente duro che il seme cade e rimbalza e il terreno indurito dalla vita dove il seme non attecchisce neanche; si tratta di persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì
2) un’altra parte “cadde sul terreno sassoso” è il terreno di colui che subito accoglie con entusiasmo il messaggio, ma poi manca di costanza, cade nella fatica del quotidiano e la fede finisce in secondo, terzo o quarto piano fino a sparire.
3) un’altra parte “cadde sui rovi” in questo terreno il seme attecchisce, cresce nella costanza, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
4) un’altra parte “cadde sul terreno buono”, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Io sono convinto che ogni volta che mi riconosco in uno dei terreni precedenti, ho la possibilità concreta di diventare terreno buono, di liberare il mio cuore dalle pietre, dalle spine che impediscono al seme di germogliare.
Gesù afferma che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma non fatico ad affermare che anche questo è un elemento molto strano su cui riflettere: è impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Comprendo allora che se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.
Commento 16 luglio 2017
Il vangelo di oggi riguarda le modalità di annuncio della Parola di Dio, Gesù insegna lungo il mare utilizzando le parabole. La parabola non è la classica favoletta con conclusione positiva da cui trarre una morale, un insegnamento etico, ma un racconto semplice che riguarda la vita quotidiana delle persone, un racconto che contiene particolari strani, elementi fuori dal comune che costituiscono il cuore dell’insegnamento che si vuole dare: si tratta di una sorta di indovinello che spinge l’ascoltatore ad impegnarsi per coglierne il senso. La parabola è da un lato il modo migliore per incontrare l’attenzione della gente poiché non parla di massimi sistemi filosofici, ma di vita quotidiana, e dall’altro contiene in sé una proposta e non un comandamento, una imposizione, che lascia libero l’interlocutore di scegliere. La parabola consente quindi quel percorso di libertà che solo garantisce l’amore che Dio cerca da ciascuno di noi; libertà, infatti non è solo possibilità di scelta, ma anche impegno nell’esercizio della stessa. Questo è il senso dei versetti quando Gesù spiega il suo esprimersi in parabole: “a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. […] Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. La parabola non offre risposte preconfezionate, ma indica un percorso, una strada sul quale possiamo camminare.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano, che purtroppo molte volte nella traduzione italiana non si evidenzia a prima vista poiché, ad esempio, in questo caso si parla del seme che “cade” quasi fosse un errore o una casualità su terreni di diverso tipo; in realtà è il seminatore che “semina”, getta volontariamente il seme sulla strada, tra le rocce, in mezzo ai rovi, sul terreno buono. Alcune riflessioni:
· Dio semina ovunque perché nel suo infinito amore riesce ad intravvedere in ogni uomo la più piccola possibilità di accogliere il suo messaggio e di convertirsi. Solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore. Gesù, inviato dal Padre, e di conseguenza la comunità dei discepoli, sono chiamati a seminare ovunque poiché l’annuncio del vangelo è rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza. Ciò che spetta a noi è annunciare concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone sarebbe sicuramente inutile.
· Se l’opera di evangelizzazione costituisce un dovere essenziale del discepolo, l’accoglienza di tale opera dipende da coloro che la ricevono:
1) “una parte cadde lungo la strada” è il terreno talmente duro che il seme cade e rimbalza e il terreno indurito dalla vita dove il seme non attecchisce neanche; si tratta di persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì
2) un’altra parte cadde sul terreno sassoso è il terreno che subito accoglie con entusiasmo il messaggio, ma poi manca la costanza e cadono nella fatica del percorso quotidiano e la fede finisce in secondo terzo quarto piano e poi non si vede più
3) un’altra parte cadde sui rovi in questo terreno il seme attecchisce, cresce nella costanza, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
4) un’altra parte cadde sul terreno buono, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Curtaz risponde e la risposta mi piace e la giro a voi: “Ogni volta che mi riconosco in uno dei terreni precedenti, ho la possibilità di diventare terreno buono”
· Qui si trova un altro particolare molto importante, Gesù dice che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma mi pare impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Ciò significa soltanto che se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.
La parabola di oggi è tra le più famose e lo stesso Gesù ne fornisce una spiegazione; innanzitutto per cogliere il senso del messaggio di qualsiasi parabola bisogna partire dall’elemento fuori posto, strano, che purtroppo molte volte nella traduzione italiana non si evidenzia a prima vista poiché, ad esempio, in questo caso si parla del seme che “cade” quasi fosse un errore o una casualità su terreni di diverso tipo; in realtà è il seminatore che “semina”, getta volontariamente il seme sulla strada, tra le rocce, in mezzo ai rovi, sul terreno buono. Alcune riflessioni:
· Dio semina ovunque perché nel suo infinito amore riesce ad intravvedere in ogni uomo la più piccola possibilità di accogliere il suo messaggio e di convertirsi. Solo chi ama riesce a scoprire nella persona amata tutte le potenzialità inespresse e la possibilità di un cambiamento verso una vita migliore. Gesù, inviato dal Padre, e di conseguenza la comunità dei discepoli, sono chiamati a seminare ovunque poiché l’annuncio del vangelo è rivolto a tutti gli uomini, nessuno escluso. Non spetta alla Chiesa decidere a chi rivolgere il suo messaggio, non spetta a me decidere a chi rivolgere, o decidere i luoghi e i momenti per la mia testimonianza. Ciò che spetta a noi è annunciare concretamente con parole e gesti il progetto d’amore che Dio ha su ciascuno di noi, liberando il nostro cuore dai pregiudizi che ci potrebbero far pensare che un’opera di evangelizzazione verso certe persone sarebbe sicuramente inutile.
· Se l’opera di evangelizzazione costituisce un dovere essenziale del discepolo, l’accoglienza di tale opera dipende da coloro che la ricevono:
1) “una parte cadde lungo la strada” è il terreno talmente duro che il seme cade e rimbalza e il terreno indurito dalla vita dove il seme non attecchisce neanche; si tratta di persone che si dicono non credenti forse perché si sentono in credito con la vita, sono feriti ed umiliati e sono arrabbiati anche con Dio, ma Dio è ottimista e semina anche lì
2) un’altra parte cadde sul terreno sassoso è il terreno che subito accoglie con entusiasmo il messaggio, ma poi manca la costanza e cadono nella fatica del percorso quotidiano e la fede finisce in secondo terzo quarto piano e poi non si vede più
3) un’altra parte cadde sui rovi in questo terreno il seme attecchisce, cresce nella costanza, ma poi è soffocato dalle preoccupazioni quotidiane
4) un’altra parte cadde sul terreno buono, dove il seme può crescere e portare frutto. Ma io sono terreno buono? Cosa posso fare per esserlo? Curtaz risponde e la risposta mi piace e la giro a voi: “Ogni volta che mi riconosco in uno dei terreni precedenti, ho la possibilità di diventare terreno buono”
· Qui si trova un altro particolare molto importante, Gesù dice che questo seme produrrà ora “il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Non sono un agronomo, ma mi pare impossibile che un seme possa produrre così tanto anche nelle culture intensive del giorno d’oggi, figurarsi in quel tempo, in una terra al limite del deserto, dove forse la produzione poteva arrivare al 5 o al massimo al 10 per uno. Ciò significa soltanto che se il mio cuore diventa terreno fecondo per la Parola di Dio, la mia vita non potrà far altro che diventare un miracolo ed una splendida avventura per la realizzazione del sogno di Dio.