Quarta domenica di quaresima Anno A
Vangelo Gv 9, 1-41
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Vangelo Gv 9, 1-41
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [ Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Commento 19 marzo 2023 |
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“Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione!”
Con queste parole la liturgia in questo giorno ci invita a gioire, ad uscire dai momenti di tristezza, perché Dio ci ama, ha donato tutto sé stesso per la nostra salvezza; sono parole che sentiamo ancor più preziose nei momenti difficili e faticosi della nostra vita.
La guarigione del cieco nato è una stupenda metafora del cammino di conversione e di riscoperta del nostro battesimo con annesso l’invito a lasciarci illuminare profondamente per cogliere ciò che è davvero importante, ciò che è davvero indispensabile nella nostra vita. La fede non è soltanto credere in qualcosa, è cambiare completamente la prospettiva della nostra vita perché nel momento in cui accogliamo la luce dell’amore di Dio questo ci permette di vedere le cose in maniera completamente diversa.
Dopo aver incontrato la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe, ecco ora Gesù si rivolge ad un uomo di Gerusalemme nato cieco: entrambi emarginati nella società teocratica di Israele, questi due diventano nel racconto giovanneo simboli l’una di un popolo infedele ma assetato di Dio, l’altro di un popolo fedele ma accecato dalla sua idea sbagliata di Dio.
In questi dialoghi il problema è sempre lo stesso: quale è il mio Dio? In tanti, troppi propongono di leggere quanto di male accade nel mondo, la guerra, la pandemia, la fame e la povertà come una punizione divina per chi sa quali nostri enormi peccati. Voglio urlarlo con tutta la forza che mi ritrovo: questo Dio non è il mio Dio, lo lascio a voi, profeti di sventura!
La guerra, la fame e la povertà sono frutti dell’egoismo dell’uomo incapace di guardare al di là del proprio naso, mentre la malattia non è un castigo per il male fatto, ma richiamo al nostro limite creaturale e per questo può diventare addirittura una via privilegiata di salvezza; dunque attribuire malattie e sofferenze alla volontà di Dio è bestemmia contro lo Spirito Santo, peccato non perdonabile!
Così è nell’episodio di oggi: là dove i discepoli, i farisei ed i giudei vedono solo il frutto di un peccato, dove tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), Gesù non giudica, si avvicina e “vede” quell’uomo, incapace di vedere.
Nel racconto del cieco nato troviamo il prototipo del discepolo, di ogni discepolo che viene sanato, abilitato a incontrare il Signore e può percorrere le tappe della vita fino al maturo atto di fede.
Il cieco nato, come il discepolo, si trova in una condizione naturale che gli preclude la possibilità di vedere, di avere una relazione con Dio: c’è bisogno di un intervento creatore di Dio, che modifichi radicalmente questa situazione. In una tale situazione di stallo l’iniziativa è di Dio: il cieco non fa nulla; forse addirittura avrà imprecato contro quell’uomo, che, fatto del fango con la sua stessa saliva, gli aveva sporcato gli occhi (cfr. Gn 2,1-7). Ma l’azione di Dio non è sufficiente per la nostra conversione, Gesù chiede la collaborazione del cieco e in lui simbolicamente di ogni uomo; il cieco dovrà muoversi, camminare verso la piscina, figura del battistero, e lì potrà così recuperare definitivamente il suo rapporto con Dio, potrà tornare ad aprire gli occhi nuovamente sull’originale progetto di Dio, che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e, perciò, destinato alla luce dell’amore vero.
Ora quell’uomo è chiamato al primo passo: egli dovrà fidarsi e sulla sua parola iniziare un cammino di conversione, un cammino che lo trasformerà interiormente talmente tanto che nemmeno gli amici, compagni nella sua vita ai margini della società di allora, riescono più a riconoscere. Ecco il miracolo: quando incontriamo Gesù la nostra vita cambia e la gente più non ci riconosce! È proprio così, se la mia conversione è vera e totale allora io divento un uomo nuovo, una donna nuova in modo così radicale da non essere nemmeno riconosciuto da coloro che mi sono vicini, poiché i miei valori, i miei pensieri ora corrono lungo le vie di Dio e non più lungo quelle degli uomini.
Ora il cieco non fa prediche, proclami o professioni di fede ma si rende conto che è rinato a vita nuova, ad una esistenza meravigliosa e la sua vita stessa diventa “vangelo” dell’amore di Dio.
Inizia un processo perché il miracolo era avvenuto di sabato: ai farisei di tutti i tempi, anche a quelli di oggi, non interessa la persona, ma la norma, la legge; non interessa quella vita ritornata a splendere ma il rispetto della “vera” dottrina; invece ciò che sta a cuore di Dio è l’uomo, liberato dalla sua sofferenza e capace perciò di mettersi in cammino nella vita su nuove strade illuminate dal suo amore. Quanta strada deve ancora fare il vangelo, la bella notizia, di un Dio che ama in modo infinito ed incondizionato l’uomo!
È un processo segnato dall’incomprensione degli amici, suoi stessi compagni di sventura, ma anche di quella struttura religiosa, che per prima dovrebbe invece cogliere il dono di Dio, e degli stessi genitori che abbandonano il figlio, poiché ormai può parlare da sé stesso. Ora il cieco nato, divenuto discepolo, può esprimere la sua testimonianza che progressivamente cresce: Gesù è innanzitutto un uomo, che ha saputo venire incontro a colui che tutti avevano emarginato perché ritenevano maledetto da Dio; in secondo luogo Gesù è un profeta, e sulla sua parola, fidandosi, il cieco ha ritrovato la possibilità di comprendere le meraviglie di Dio; infine Gesù è il Signore quando il cieco ormai risanato può contemplare finalmente il suo volto.
Di fronte alla presuntuosa sapienza di chi riteneva di sapere, i farisei, e teneva chiuse le porte del suo cuore, di fronte all’abbandono dei suoi compagni e dei suoi stessi genitori si illumina la testimonianza del cieco, colui che non sapendo nulla si è mostrato aperto alla sorpresa di Dio.
È stupenda la testimonianza del cieco che insiste nell’affermare di non saper nulla se non il dono che Dio gli ha fatto; anch’io vorrei poter scrivere a voi quanto scriveva San Paolo ai cristiani della comunità di Corinto ricordando la sua testimonianza: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Solo questo vorrei conoscere nella mia vita!
Solo Dio basta! (Teresa d’Avila) Solo l’amore di Dio per ciascuno di noi, un amore così forte da superare persino la morte!
Con queste parole la liturgia in questo giorno ci invita a gioire, ad uscire dai momenti di tristezza, perché Dio ci ama, ha donato tutto sé stesso per la nostra salvezza; sono parole che sentiamo ancor più preziose nei momenti difficili e faticosi della nostra vita.
La guarigione del cieco nato è una stupenda metafora del cammino di conversione e di riscoperta del nostro battesimo con annesso l’invito a lasciarci illuminare profondamente per cogliere ciò che è davvero importante, ciò che è davvero indispensabile nella nostra vita. La fede non è soltanto credere in qualcosa, è cambiare completamente la prospettiva della nostra vita perché nel momento in cui accogliamo la luce dell’amore di Dio questo ci permette di vedere le cose in maniera completamente diversa.
Dopo aver incontrato la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe, ecco ora Gesù si rivolge ad un uomo di Gerusalemme nato cieco: entrambi emarginati nella società teocratica di Israele, questi due diventano nel racconto giovanneo simboli l’una di un popolo infedele ma assetato di Dio, l’altro di un popolo fedele ma accecato dalla sua idea sbagliata di Dio.
In questi dialoghi il problema è sempre lo stesso: quale è il mio Dio? In tanti, troppi propongono di leggere quanto di male accade nel mondo, la guerra, la pandemia, la fame e la povertà come una punizione divina per chi sa quali nostri enormi peccati. Voglio urlarlo con tutta la forza che mi ritrovo: questo Dio non è il mio Dio, lo lascio a voi, profeti di sventura!
La guerra, la fame e la povertà sono frutti dell’egoismo dell’uomo incapace di guardare al di là del proprio naso, mentre la malattia non è un castigo per il male fatto, ma richiamo al nostro limite creaturale e per questo può diventare addirittura una via privilegiata di salvezza; dunque attribuire malattie e sofferenze alla volontà di Dio è bestemmia contro lo Spirito Santo, peccato non perdonabile!
Così è nell’episodio di oggi: là dove i discepoli, i farisei ed i giudei vedono solo il frutto di un peccato, dove tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), Gesù non giudica, si avvicina e “vede” quell’uomo, incapace di vedere.
Nel racconto del cieco nato troviamo il prototipo del discepolo, di ogni discepolo che viene sanato, abilitato a incontrare il Signore e può percorrere le tappe della vita fino al maturo atto di fede.
Il cieco nato, come il discepolo, si trova in una condizione naturale che gli preclude la possibilità di vedere, di avere una relazione con Dio: c’è bisogno di un intervento creatore di Dio, che modifichi radicalmente questa situazione. In una tale situazione di stallo l’iniziativa è di Dio: il cieco non fa nulla; forse addirittura avrà imprecato contro quell’uomo, che, fatto del fango con la sua stessa saliva, gli aveva sporcato gli occhi (cfr. Gn 2,1-7). Ma l’azione di Dio non è sufficiente per la nostra conversione, Gesù chiede la collaborazione del cieco e in lui simbolicamente di ogni uomo; il cieco dovrà muoversi, camminare verso la piscina, figura del battistero, e lì potrà così recuperare definitivamente il suo rapporto con Dio, potrà tornare ad aprire gli occhi nuovamente sull’originale progetto di Dio, che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e, perciò, destinato alla luce dell’amore vero.
Ora quell’uomo è chiamato al primo passo: egli dovrà fidarsi e sulla sua parola iniziare un cammino di conversione, un cammino che lo trasformerà interiormente talmente tanto che nemmeno gli amici, compagni nella sua vita ai margini della società di allora, riescono più a riconoscere. Ecco il miracolo: quando incontriamo Gesù la nostra vita cambia e la gente più non ci riconosce! È proprio così, se la mia conversione è vera e totale allora io divento un uomo nuovo, una donna nuova in modo così radicale da non essere nemmeno riconosciuto da coloro che mi sono vicini, poiché i miei valori, i miei pensieri ora corrono lungo le vie di Dio e non più lungo quelle degli uomini.
Ora il cieco non fa prediche, proclami o professioni di fede ma si rende conto che è rinato a vita nuova, ad una esistenza meravigliosa e la sua vita stessa diventa “vangelo” dell’amore di Dio.
Inizia un processo perché il miracolo era avvenuto di sabato: ai farisei di tutti i tempi, anche a quelli di oggi, non interessa la persona, ma la norma, la legge; non interessa quella vita ritornata a splendere ma il rispetto della “vera” dottrina; invece ciò che sta a cuore di Dio è l’uomo, liberato dalla sua sofferenza e capace perciò di mettersi in cammino nella vita su nuove strade illuminate dal suo amore. Quanta strada deve ancora fare il vangelo, la bella notizia, di un Dio che ama in modo infinito ed incondizionato l’uomo!
È un processo segnato dall’incomprensione degli amici, suoi stessi compagni di sventura, ma anche di quella struttura religiosa, che per prima dovrebbe invece cogliere il dono di Dio, e degli stessi genitori che abbandonano il figlio, poiché ormai può parlare da sé stesso. Ora il cieco nato, divenuto discepolo, può esprimere la sua testimonianza che progressivamente cresce: Gesù è innanzitutto un uomo, che ha saputo venire incontro a colui che tutti avevano emarginato perché ritenevano maledetto da Dio; in secondo luogo Gesù è un profeta, e sulla sua parola, fidandosi, il cieco ha ritrovato la possibilità di comprendere le meraviglie di Dio; infine Gesù è il Signore quando il cieco ormai risanato può contemplare finalmente il suo volto.
Di fronte alla presuntuosa sapienza di chi riteneva di sapere, i farisei, e teneva chiuse le porte del suo cuore, di fronte all’abbandono dei suoi compagni e dei suoi stessi genitori si illumina la testimonianza del cieco, colui che non sapendo nulla si è mostrato aperto alla sorpresa di Dio.
È stupenda la testimonianza del cieco che insiste nell’affermare di non saper nulla se non il dono che Dio gli ha fatto; anch’io vorrei poter scrivere a voi quanto scriveva San Paolo ai cristiani della comunità di Corinto ricordando la sua testimonianza: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Solo questo vorrei conoscere nella mia vita!
Solo Dio basta! (Teresa d’Avila) Solo l’amore di Dio per ciascuno di noi, un amore così forte da superare persino la morte!
Commento 22 marzo 2020
“Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione!”
Con queste parole la liturgia in questo giorno ci invita a gioire, ad uscire dai momenti di tristezza, perché Dio ci ama, ha donato tutto sé stesso per la nostra salvezza; sono parole che oggi nel silenzio delle nostre chiese urlano al nostro cuore ciò che davvero è essenziale, il sentirci amati innanzitutto dai nostri cari ed in secondo luogo ma ancor più profondamente da Dio, che ci viene incontro lungo le strade del nostro vivere quotidiano tante volte faticoso.
La guarigione del cieco nato è una stupenda metafora del cammino di conversione e di riscoperta del nostro battesimo con annesso l’invito a lasciarci illuminare profondamente per cogliere ciò che è davvero importante, ciò che è davvero indispensabile nella nostra vita. La fede non è soltanto credere in qualcosa, è cambiare completamente la prospettiva della nostra vita perché nel momento in cui accogliamo la luce dell’amore di Dio questo ci permette di vedere le cose in maniera completamente diversa.
Dopo la donna di Samaria, ecco il cieco di Gerusalemme: entrambi emarginati nella società teocratica di Israele, diventano nel racconto giovanneo simboli l’una di un popolo infedele ma assetato di Dio, l’altro di un popolo fedele ma accecato dalla sua idea sbagliata di Dio.
Il problema è sempre lo stesso: quale è il mio Dio? Mi piacerebbe aprire una riflessione su ciò che sta accadendo: vedo intorno a me cristiani, che propongono di leggere l’attuale momento con l’epidemia di Covid19 come una punizione divina per chi sa quali nostri enormi peccati: la malattia non è frutto del peccato, non è castigo per il male fatto, ma richiamo al nostro limite creaturale e per questo via privilegiata di salvezza. Per concludere, che sia chiaro, attribuire malattie e sofferenze alla volontà di Dio è bestemmia contro lo Spirito Santo, peccato non perdonabile!
Là dove i discepoli, i farisei ed i giudei vedono solo il frutto di un peccato, dove tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), Gesù non giudica, si avvicina, “vede” quell’uomo, incapace di vedere… poi quel gesto, che ricorda tanto la creazione, il fango primordiale messo sopra gli occhi del cieco per aprirli sull’originale progetto di Dio, che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e perciò destinato alla luce dell’amore vero. Ed ecco il miracolo: quando incontriamo Gesù la nostra vita cambia e la gente non ci riconosce! Gli amici non riconoscono più quell’uomo, che, cieco, prima stava seduto a mendicare, ma ora è un uomo nuovo, prima era mosso dalle passioni ora è mosso dallo Spirito e la gente si domanda come la sua vita sia cambiata; il cieco non fa prediche, egli è rinato a vita nuova, ad una esistenza meravigliosa e la sua vita stessa diventa omelia dell’amore di Dio.
Inizia un processo perché il miracolo era avvenuto di sabato: ai farisei di tutti i tempi, anche a quelli di oggi non interessa la persona, ma la norma, la legge; non interessa quella vita ritornata a splendere ma il rispetto della “vera” dottrina; invece ciò che sta a cuore a Dio è l’uomo, liberato dalla sua sofferenza e capace perciò di mettersi in cammino nella vita su nuove strade illuminate dal suo amore. Quanta strada deve ancora fare il vangelo, la bella notizia, di un Dio che ama in modo infinito ed incondizionato l’uomo!
Nel corso di questo processo possiamo scorgere le caratteristiche dell’uomo illuminato da Cristo, di colui che è passato dalla tenebra del pensiero comune, da ciò che tutti pensano, dicono e fanno alla luce del vangelo.
In primo luogo il discepolo di Cristo afferma di non sapere: circondati dall’arroganza del “noi sappiamo”, il battezzato illuminato dalla luce di Cristo è uno che si lascia mettere in discussione, non ha delle convinzioni da difendere, ma sa accogliere la verità e non ne ha paura perché la verità viene da Dio.
In secondo luogo il cristiano, cosciente della sua nuova identità, è un uomo nuovo, una persona libera nel presentare la propria convinzione e pur rispettando l’autorità non la divinizza, perché prima viene il vangelo, luce della nostra coscienza.
In terzo luogo il discepolo di Cristo è una persona coraggiosa, non ha paura del confronto, non ha nulla, posizioni di prestigio o privilegi da difendere e d’altra parte non si lascia intimidire da coloro che, abusando del loro potere insultano, minacciano e alla fine ricorrono alla violenza; non rinuncia alla verità anche quando questa è scomoda, sgradita a chi sta in alto, a chi è abituato a ricevere solo approvazioni, applausi.
Ancora il cristiano resiste alle pressioni e non ha paura, accetta anche di subire la violenza piuttosto che rinunciare alla luce del vangelo perché sa che l’uomo nuovo, l’uomo vero infastidisce, trova opposizione nel mondo, non è accettato da coloro che vogliono perpetuare il regno dell’uomo vecchio, quello guidato dalle passioni, dal proprio interesse, dalla logica del proprio tornaconto.
Infine il discepolo di Cristo è colui che vede nell’umanità di Gesù, l’uomo pienamente realizzato nella vocazione d’amore del Padre; credere vuol dire accettare quest’uomo nella propria vita, credere è una scelta d’amore, credere è unire la mia vita alla sua con la prospettiva anche del fallimento: “se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi!” (Gv 15,20), ma con la certezza di una promessa: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,18-19).
Con queste parole la liturgia in questo giorno ci invita a gioire, ad uscire dai momenti di tristezza, perché Dio ci ama, ha donato tutto sé stesso per la nostra salvezza; sono parole che oggi nel silenzio delle nostre chiese urlano al nostro cuore ciò che davvero è essenziale, il sentirci amati innanzitutto dai nostri cari ed in secondo luogo ma ancor più profondamente da Dio, che ci viene incontro lungo le strade del nostro vivere quotidiano tante volte faticoso.
La guarigione del cieco nato è una stupenda metafora del cammino di conversione e di riscoperta del nostro battesimo con annesso l’invito a lasciarci illuminare profondamente per cogliere ciò che è davvero importante, ciò che è davvero indispensabile nella nostra vita. La fede non è soltanto credere in qualcosa, è cambiare completamente la prospettiva della nostra vita perché nel momento in cui accogliamo la luce dell’amore di Dio questo ci permette di vedere le cose in maniera completamente diversa.
Dopo la donna di Samaria, ecco il cieco di Gerusalemme: entrambi emarginati nella società teocratica di Israele, diventano nel racconto giovanneo simboli l’una di un popolo infedele ma assetato di Dio, l’altro di un popolo fedele ma accecato dalla sua idea sbagliata di Dio.
Il problema è sempre lo stesso: quale è il mio Dio? Mi piacerebbe aprire una riflessione su ciò che sta accadendo: vedo intorno a me cristiani, che propongono di leggere l’attuale momento con l’epidemia di Covid19 come una punizione divina per chi sa quali nostri enormi peccati: la malattia non è frutto del peccato, non è castigo per il male fatto, ma richiamo al nostro limite creaturale e per questo via privilegiata di salvezza. Per concludere, che sia chiaro, attribuire malattie e sofferenze alla volontà di Dio è bestemmia contro lo Spirito Santo, peccato non perdonabile!
Là dove i discepoli, i farisei ed i giudei vedono solo il frutto di un peccato, dove tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), Gesù non giudica, si avvicina, “vede” quell’uomo, incapace di vedere… poi quel gesto, che ricorda tanto la creazione, il fango primordiale messo sopra gli occhi del cieco per aprirli sull’originale progetto di Dio, che crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e perciò destinato alla luce dell’amore vero. Ed ecco il miracolo: quando incontriamo Gesù la nostra vita cambia e la gente non ci riconosce! Gli amici non riconoscono più quell’uomo, che, cieco, prima stava seduto a mendicare, ma ora è un uomo nuovo, prima era mosso dalle passioni ora è mosso dallo Spirito e la gente si domanda come la sua vita sia cambiata; il cieco non fa prediche, egli è rinato a vita nuova, ad una esistenza meravigliosa e la sua vita stessa diventa omelia dell’amore di Dio.
Inizia un processo perché il miracolo era avvenuto di sabato: ai farisei di tutti i tempi, anche a quelli di oggi non interessa la persona, ma la norma, la legge; non interessa quella vita ritornata a splendere ma il rispetto della “vera” dottrina; invece ciò che sta a cuore a Dio è l’uomo, liberato dalla sua sofferenza e capace perciò di mettersi in cammino nella vita su nuove strade illuminate dal suo amore. Quanta strada deve ancora fare il vangelo, la bella notizia, di un Dio che ama in modo infinito ed incondizionato l’uomo!
Nel corso di questo processo possiamo scorgere le caratteristiche dell’uomo illuminato da Cristo, di colui che è passato dalla tenebra del pensiero comune, da ciò che tutti pensano, dicono e fanno alla luce del vangelo.
In primo luogo il discepolo di Cristo afferma di non sapere: circondati dall’arroganza del “noi sappiamo”, il battezzato illuminato dalla luce di Cristo è uno che si lascia mettere in discussione, non ha delle convinzioni da difendere, ma sa accogliere la verità e non ne ha paura perché la verità viene da Dio.
In secondo luogo il cristiano, cosciente della sua nuova identità, è un uomo nuovo, una persona libera nel presentare la propria convinzione e pur rispettando l’autorità non la divinizza, perché prima viene il vangelo, luce della nostra coscienza.
In terzo luogo il discepolo di Cristo è una persona coraggiosa, non ha paura del confronto, non ha nulla, posizioni di prestigio o privilegi da difendere e d’altra parte non si lascia intimidire da coloro che, abusando del loro potere insultano, minacciano e alla fine ricorrono alla violenza; non rinuncia alla verità anche quando questa è scomoda, sgradita a chi sta in alto, a chi è abituato a ricevere solo approvazioni, applausi.
Ancora il cristiano resiste alle pressioni e non ha paura, accetta anche di subire la violenza piuttosto che rinunciare alla luce del vangelo perché sa che l’uomo nuovo, l’uomo vero infastidisce, trova opposizione nel mondo, non è accettato da coloro che vogliono perpetuare il regno dell’uomo vecchio, quello guidato dalle passioni, dal proprio interesse, dalla logica del proprio tornaconto.
Infine il discepolo di Cristo è colui che vede nell’umanità di Gesù, l’uomo pienamente realizzato nella vocazione d’amore del Padre; credere vuol dire accettare quest’uomo nella propria vita, credere è una scelta d’amore, credere è unire la mia vita alla sua con la prospettiva anche del fallimento: “se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi!” (Gv 15,20), ma con la certezza di una promessa: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,18-19).
Commento 26 marzo 2017
Dopo la donna di Samaria, ecco il cieco di Gerusalemme! Entrambi emarginati nella società teocratica di Israele, diventano nel racconto giovanneo simboli l’una di un popolo infedele ma assetato, desideroso di incontrare il suo Messia, l’altro di un popolo fedele ma accecato dalla sua sbagliata idea di Dio. La donna uscirà da quell’incontro divenendo lei stessa fonte zampillante di quell’acqua che sola sa dissetare, l’uomo seguendo il suo percorso di discepolo scoprirà alla luce della fede le meraviglie di un Dio che continuamente ama e cerca ogni uomo. Il punto di partenza di oggi è la nostra idea sbagliata di Dio: Dio, l’essere perfettissimo, non può permettere il male e la sofferenza, che diventa così castigo meritato per chi ha commesso in qualche modo peccato. Ma il Dio di Gesù Cristo non castiga, in ogni momento la sua grazia ci viene incontro per recuperare quel rapporto filiale che abbiamo perso con il peccato originale: è di Dio, di Gesù, il primo passo!
Nel racconto del cieco nato troviamo il prototipo del discepolo, di ogni discepolo che viene sanato, abilitato a incontrare il Signore e percorre le tappe della vita fino al maturo atto di fede.
Il cieco nato, come il discepolo, si trova in una condizione naturale che gli preclude la possibilità di vedere, di avere una relazione con Dio: c’è bisogno di un intervento creatore di Dio, che modifichi radicalmente questa situazione. In una tale situazione di stallo l’iniziativa è di Dio: il cieco nato non fa nulla; forse addirittura avrà imprecato contro quell’uomo, che, fatto del fango con la sua stessa saliva, gli aveva sporcato gli occhi (cfr. Gn 2,1-7). Ma l’azione di Dio non è sufficiente per la nostra conversione, Gesù chiede la collaborazione del cieco e in lui simbolicamente di ogni uomo; il cieco dovrà muoversi, camminare verso la piscina, figura del battistero, e lì potrà così recuperare il suo rapporto con Dio.
Dopo aver ricevuto il dono di Dio, ecco allora il primo passo: di quell’uomo, che il cieco ancora non conosce, egli dovrà fidarsi e sulla sua parola iniziare un cammino di conversione, un cammino che lo trasformerà interiormente talmente tanto che nemmeno gli amici, compagni nella sua vita ai margini della società di allora, riescono più a riconoscere. Se la mia conversione è vera e totale allora io divento un uomo nuovo, una donna nuova in modo così radicale da non essere nemmeno riconosciuto da coloro che mi sono vicini, poiché i miei valori, i miei pensieri ora corrono lungo le vie di Dio e non più lungo quelle degli uomini.
Il percorso del discepolo è quindi segnato dall’incomprensione degli amici, suoi stessi compagni di sventura, ma anche di quella struttura religiosa, che per prima dovrebbe invece cogliere il dono di Dio ed infine anche da parte dei suoi stessi genitori che lo abbandonano, poiché ormai può parlare da sé stesso. In queste difficoltà di relazione con le altre persone che gli sono intorno, il cieco nato, il discepolo, può così esprimere la sua testimonianza e lo fa progressivamente in diversi gradi:
1) Gesù è un uomo: egli ha saputo venire incontro a colui che tutti avevano emarginato perché ritenevano maledetto da Dio;
2) Gesù è un profeta: sulla sua parola, fidandosi, il cieco ha ritrovato la possibilità di comprendere le meraviglie di Dio;
3) Gesù è il Signore: nuovamente emarginato ed escluso dai sapienti e dai capi religiosi del suo popolo, il cieco ritrova sulla sua strada il Signore al quale chiede di poter guardare il volto di Dio.
Di fronte alla presuntuosa sapienza di chi riteneva di sapere, i farisei, e teneva chiuse le porte del suo cuore, di fronte all’abbandono dei suoi compagni e dei suoi stessi genitori ecco la testimonianza del cieco nato, colui che non sapendo nulla si è mostrato aperto alla sorpresa di Dio; egli così al termine del suo percorso ha potuto contemplare il volto misericordioso del Padre.
Stupendo è il racconto della testimonianza del cieco che insiste nell’affermare di non saper nulla se non il dono che Dio gli ha fatto; anch’io vorrei poter scrivere a voi quanto scriveva San Paolo ai cristiani della comunità di Corinto ricordando la sua testimonianza: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Solo questo vorrei conoscere: l’amore di Dio per ciascuno di noi, un amore così forte da superare persino la morte.
Nel racconto del cieco nato troviamo il prototipo del discepolo, di ogni discepolo che viene sanato, abilitato a incontrare il Signore e percorre le tappe della vita fino al maturo atto di fede.
Il cieco nato, come il discepolo, si trova in una condizione naturale che gli preclude la possibilità di vedere, di avere una relazione con Dio: c’è bisogno di un intervento creatore di Dio, che modifichi radicalmente questa situazione. In una tale situazione di stallo l’iniziativa è di Dio: il cieco nato non fa nulla; forse addirittura avrà imprecato contro quell’uomo, che, fatto del fango con la sua stessa saliva, gli aveva sporcato gli occhi (cfr. Gn 2,1-7). Ma l’azione di Dio non è sufficiente per la nostra conversione, Gesù chiede la collaborazione del cieco e in lui simbolicamente di ogni uomo; il cieco dovrà muoversi, camminare verso la piscina, figura del battistero, e lì potrà così recuperare il suo rapporto con Dio.
Dopo aver ricevuto il dono di Dio, ecco allora il primo passo: di quell’uomo, che il cieco ancora non conosce, egli dovrà fidarsi e sulla sua parola iniziare un cammino di conversione, un cammino che lo trasformerà interiormente talmente tanto che nemmeno gli amici, compagni nella sua vita ai margini della società di allora, riescono più a riconoscere. Se la mia conversione è vera e totale allora io divento un uomo nuovo, una donna nuova in modo così radicale da non essere nemmeno riconosciuto da coloro che mi sono vicini, poiché i miei valori, i miei pensieri ora corrono lungo le vie di Dio e non più lungo quelle degli uomini.
Il percorso del discepolo è quindi segnato dall’incomprensione degli amici, suoi stessi compagni di sventura, ma anche di quella struttura religiosa, che per prima dovrebbe invece cogliere il dono di Dio ed infine anche da parte dei suoi stessi genitori che lo abbandonano, poiché ormai può parlare da sé stesso. In queste difficoltà di relazione con le altre persone che gli sono intorno, il cieco nato, il discepolo, può così esprimere la sua testimonianza e lo fa progressivamente in diversi gradi:
1) Gesù è un uomo: egli ha saputo venire incontro a colui che tutti avevano emarginato perché ritenevano maledetto da Dio;
2) Gesù è un profeta: sulla sua parola, fidandosi, il cieco ha ritrovato la possibilità di comprendere le meraviglie di Dio;
3) Gesù è il Signore: nuovamente emarginato ed escluso dai sapienti e dai capi religiosi del suo popolo, il cieco ritrova sulla sua strada il Signore al quale chiede di poter guardare il volto di Dio.
Di fronte alla presuntuosa sapienza di chi riteneva di sapere, i farisei, e teneva chiuse le porte del suo cuore, di fronte all’abbandono dei suoi compagni e dei suoi stessi genitori ecco la testimonianza del cieco nato, colui che non sapendo nulla si è mostrato aperto alla sorpresa di Dio; egli così al termine del suo percorso ha potuto contemplare il volto misericordioso del Padre.
Stupendo è il racconto della testimonianza del cieco che insiste nell’affermare di non saper nulla se non il dono che Dio gli ha fatto; anch’io vorrei poter scrivere a voi quanto scriveva San Paolo ai cristiani della comunità di Corinto ricordando la sua testimonianza: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. Solo questo vorrei conoscere: l’amore di Dio per ciascuno di noi, un amore così forte da superare persino la morte.