XII domenica T.O. Anno B
Vangelo Mc 4,35-41
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Commento 20 giugno 2021
“Passiamo all’altra riva!”: giunta la sera e congedata la folla Gesù chiama i suoi discepoli ad un’altra missione, ad un altro viaggio; Gesù ha appena terminato di annunciare con parabole il Regno di Dio come un seme che deve essere sparso abbondantemente nei nostri cuori perché possa trovare un terreno accogliente e produrre frutto, come una lampada che non può far altro che illuminare, e nuovamente come un seme che una volta caduto nel terreno inesorabilmente e inspiegabilmente prima germoglia, poi cresce fino a produrre nuove spighe, ed ancora come quel seme di senape, il più piccolo tra tutti i semi però capace di produrre arbusti che diventano grandi, importanti nel piccolo orto della nostra vita.
Credo che queste parole oggi più che mai, o forse come sempre, siano rivolte a noi, suoi discepoli, perché sono certo che sia giunto il tempo di passare all’altra sponda; la pandemia ha portato alla luce la nostra vulnerabilità; ribadisco con forza quanto Francesco, vescovo di Roma, ha già più volte detto in questi mesi, da una crisi come questa o si esce migliori o peggiori, non è possibile uscirne senza che sia cambiato qualcosa. Così come un giovane innamorato non vede l’ora di raccontare con immensa gioia il suo amore per la persona amata, oggi siamo invitati ad annunciare l’amore gratuito di Dio per ciascuno di noi, rendendolo concreto con i nostri gesti, le nostre parole, le nostre vite.
Dobbiamo con maggior vigore passare ora all’altra riva del lago per annunciare la buona notizia dell’amore infinito di Dio a tutti coloro che non hanno ancora ascoltato questa parola, perché ormai è chiaro che in questo mondo corrotto dall’egoismo e dagli interessi personali serve un surplus di fraternità, di amore donato gratuitamente anche a rischio della propria vita; non è forse vero che abbiamo visto nei medici e negli infermieri che 15 mesi fa si sono trovati ad affrontare questo virus tremendo nuovi eroi della quotidianità e che già oggi dovrebbero ricevere il Premio Nobel della nostra gratitudine.
Le dimensioni del lago di Galilea molto piccolo, circondato da montagne che lo proteggono da venti impetuosi e l’esperienza dei discepoli come pescatori, anche se giovani, che conoscevano perfettamente quelle acque e che non avrebbero mai preso il largo con condizioni meteorologiche avverse sono fattori, che indicano come questo racconto probabilmente non abbia nulla a che fare con una semplice cronaca quando durante una tempesta Gesù ha dato prova ai suoi discepoli del suo potere divino e con la sua parola ha calmato le onde del lago, ma come in realtà sia davvero la parabola della vita di ogni discepolo. Cerco così di guardare ad alcuni particolari per trovare il messaggio che Marco ci vuole dare con questo racconto:
Innanzitutto la sera, forse, fa riferimento anche alla conclusione della vita di Gesù, ora sta per arrivare la notte e nell’alba della resurrezione saranno i discepoli a dover portare avanti quanto Gesù aveva iniziato, portare il suo vangelo all’altra sponda nella terra dei pagani, dove ancora si misura la riuscita della vita con la ricchezza ed il successo e dove perdono ed amore sono segni di un fallimento e dell’incapacità di portare avanti le proprie ragioni.
Poi la barca ha da sempre simboleggiato la comunità dei discepoli di Cristo ed allora quella che ci racconta Marco è la storia della Chiesa, delle nostre comunità cristiane che devono affrontare il mare, mare che in tutto l’antico medio oriente e nella Bibbia è immagine delle forze caotiche che impediscono la vita. Un mare che dobbiamo attraversare ben coscienti che la nostra povera barca deve affrontare onde minacciose perché la meravigliosa avventura della nostra vita seguendo Gesù e il suo vangelo non è, e non sarà facile.
Gesù che dorme a poppa comodamente sul suo cuscino ci riporta a quella sofferenza che nasce nel nostro cuore quando vediamo un Dio che appare dormiente di fronte ai problemi che quotidianamente rovinano la nostra vita fondata su false sicurezze e nasce in noi la voglia di tirare i remi in barca, di lasciare che gli altri capiscano sbattendoci il muso che la strada che stanno percorrendo li porterà alla rovina ed invece no Gesù ci chiama ad affrontare quel mare ben coscienti delle difficoltà, ma con la certezza che “l’ora della tempesta e del naufragio, è l'ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza” e nelle tempeste della nostra vita Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce (Dietrich Bonhoeffer)
Poi quella supplica piena di angoscia “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” è il grido di chi vede e sente il trionfo della morte, è il grido delle vittime di tutte le guerre, il grido disperato dei migranti che sfidano le acque del Mediterraneo in cerca di una possibilità di vita su gommoni che non garantiscono loro un approdo sicuro, è il grido dei milioni di morti in questa pandemia; è il grido di chi vive e sente che la vita è minacciata.
Allora quel grido volto a svegliare un Dio che appare addormentato di fronte ai drammi di questa umanità non è altro che il desiderio di ritornare tra le braccia amorevoli di un Dio Padre/Madre sempre pronto ad accoglierci.
Infine quel dolce rimprovero alla nostra paura, alla nostra poca fede non è una reprimenda alla nostra povera vita, ma appare quasi l’espressione di sofferenza di un genitore che non riesce a far cogliere ai propri figli quanto grande sia l’amore nei loro confronti e quanto questo amore sia per loro una barca sicura su cui navigare verso orizzonti nuovi senza paura.
Sono dolci parole quelle che colpiscono il mio cuore: “Claudio non credi ancora nonostante tutti i doni, nonostante l’amore che ti ho mostrato nei giorni gioiosi, quando ero al tuo fianco, come nei giorni di sofferenza quando ti ho portato sulle mie braccia (cfr. poesia di Anonimo Brasiliano)?”
Non so se credo, Signore, ma voglio ancora una volta seguirti per annunciare al mondo che Tu mi ami, Tu ci ami!
Credo che queste parole oggi più che mai, o forse come sempre, siano rivolte a noi, suoi discepoli, perché sono certo che sia giunto il tempo di passare all’altra sponda; la pandemia ha portato alla luce la nostra vulnerabilità; ribadisco con forza quanto Francesco, vescovo di Roma, ha già più volte detto in questi mesi, da una crisi come questa o si esce migliori o peggiori, non è possibile uscirne senza che sia cambiato qualcosa. Così come un giovane innamorato non vede l’ora di raccontare con immensa gioia il suo amore per la persona amata, oggi siamo invitati ad annunciare l’amore gratuito di Dio per ciascuno di noi, rendendolo concreto con i nostri gesti, le nostre parole, le nostre vite.
Dobbiamo con maggior vigore passare ora all’altra riva del lago per annunciare la buona notizia dell’amore infinito di Dio a tutti coloro che non hanno ancora ascoltato questa parola, perché ormai è chiaro che in questo mondo corrotto dall’egoismo e dagli interessi personali serve un surplus di fraternità, di amore donato gratuitamente anche a rischio della propria vita; non è forse vero che abbiamo visto nei medici e negli infermieri che 15 mesi fa si sono trovati ad affrontare questo virus tremendo nuovi eroi della quotidianità e che già oggi dovrebbero ricevere il Premio Nobel della nostra gratitudine.
Le dimensioni del lago di Galilea molto piccolo, circondato da montagne che lo proteggono da venti impetuosi e l’esperienza dei discepoli come pescatori, anche se giovani, che conoscevano perfettamente quelle acque e che non avrebbero mai preso il largo con condizioni meteorologiche avverse sono fattori, che indicano come questo racconto probabilmente non abbia nulla a che fare con una semplice cronaca quando durante una tempesta Gesù ha dato prova ai suoi discepoli del suo potere divino e con la sua parola ha calmato le onde del lago, ma come in realtà sia davvero la parabola della vita di ogni discepolo. Cerco così di guardare ad alcuni particolari per trovare il messaggio che Marco ci vuole dare con questo racconto:
Innanzitutto la sera, forse, fa riferimento anche alla conclusione della vita di Gesù, ora sta per arrivare la notte e nell’alba della resurrezione saranno i discepoli a dover portare avanti quanto Gesù aveva iniziato, portare il suo vangelo all’altra sponda nella terra dei pagani, dove ancora si misura la riuscita della vita con la ricchezza ed il successo e dove perdono ed amore sono segni di un fallimento e dell’incapacità di portare avanti le proprie ragioni.
Poi la barca ha da sempre simboleggiato la comunità dei discepoli di Cristo ed allora quella che ci racconta Marco è la storia della Chiesa, delle nostre comunità cristiane che devono affrontare il mare, mare che in tutto l’antico medio oriente e nella Bibbia è immagine delle forze caotiche che impediscono la vita. Un mare che dobbiamo attraversare ben coscienti che la nostra povera barca deve affrontare onde minacciose perché la meravigliosa avventura della nostra vita seguendo Gesù e il suo vangelo non è, e non sarà facile.
Gesù che dorme a poppa comodamente sul suo cuscino ci riporta a quella sofferenza che nasce nel nostro cuore quando vediamo un Dio che appare dormiente di fronte ai problemi che quotidianamente rovinano la nostra vita fondata su false sicurezze e nasce in noi la voglia di tirare i remi in barca, di lasciare che gli altri capiscano sbattendoci il muso che la strada che stanno percorrendo li porterà alla rovina ed invece no Gesù ci chiama ad affrontare quel mare ben coscienti delle difficoltà, ma con la certezza che “l’ora della tempesta e del naufragio, è l'ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza” e nelle tempeste della nostra vita Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce (Dietrich Bonhoeffer)
Poi quella supplica piena di angoscia “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” è il grido di chi vede e sente il trionfo della morte, è il grido delle vittime di tutte le guerre, il grido disperato dei migranti che sfidano le acque del Mediterraneo in cerca di una possibilità di vita su gommoni che non garantiscono loro un approdo sicuro, è il grido dei milioni di morti in questa pandemia; è il grido di chi vive e sente che la vita è minacciata.
Allora quel grido volto a svegliare un Dio che appare addormentato di fronte ai drammi di questa umanità non è altro che il desiderio di ritornare tra le braccia amorevoli di un Dio Padre/Madre sempre pronto ad accoglierci.
Infine quel dolce rimprovero alla nostra paura, alla nostra poca fede non è una reprimenda alla nostra povera vita, ma appare quasi l’espressione di sofferenza di un genitore che non riesce a far cogliere ai propri figli quanto grande sia l’amore nei loro confronti e quanto questo amore sia per loro una barca sicura su cui navigare verso orizzonti nuovi senza paura.
Sono dolci parole quelle che colpiscono il mio cuore: “Claudio non credi ancora nonostante tutti i doni, nonostante l’amore che ti ho mostrato nei giorni gioiosi, quando ero al tuo fianco, come nei giorni di sofferenza quando ti ho portato sulle mie braccia (cfr. poesia di Anonimo Brasiliano)?”
Non so se credo, Signore, ma voglio ancora una volta seguirti per annunciare al mondo che Tu mi ami, Tu ci ami!