Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe Anno C
Letture:1 Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1 Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Vangelo Lc 2,41-52
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Commento 26 dicembre 2021
ncastrata tra le grandi solennità del tempo di Natale la festa della Santa Famiglia di Nazareth rischia di passare nell’indifferenza generale o di essere dimenticata nella grande abbuffata di liturgie di questi giorni; forse è proprio questo il motivo che me la rende così cara, così vicina, così particolarmente simpatica. Nel corso di ogni anno liturgico riviviamo in particolare gli ultimi tre anni della vita di Gesù, quelli della sua attività pubblica tra miracoli, discorsi, parabole e dispute con le diverse componenti della società ebraica del I secolo, mentre ai primi trent’anni di Gesù dedichiamo solo questa piccola, semplice festa che a me piace ricordare come la festa della normalità di Dio. Se ci aspettavamo un Dio dagli effetti speciali, ecco invece Dio nasce come bimbo in uno tra i più piccoli villaggi della Giudea, vive profugo in Egitto per sfuggire all’ira di Erode, cresce per oltre 30 anni in uno sperduto villaggio delle montagne della Galilea, di cui la sapienza popolare diceva: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46).
Luca, l’evangelista che più di altri ha cercato di scrivere la storia di Gesù, racconta di tutti quegli anni vissuti nel nascondimento solo un fatto strano accaduto durante una festa di Pasqua quando Gesù aveva all’incirca 12 anni e racchiude in un piccolo versetto tutto il resto della vita nella casa di Nazareth. Nel testo di oggi incontriamo un Gesù adolescente, ma rimane un forte dubbio sulla sua reale storicità: troppo strani appaiono infatti molti particolari come il comportamento decisamente falso e scorretto di Gesù che si nasconde a Gerusalemme, l’impensabile sventatezza e superficialità di Giuseppe e Maria che non si accorgono della sua assenza partendo da Gerusalemme, l’incredibile ricerca, durata tre giorni, a Gerusalemme prima di trovare Gesù nel tempio, quando sarebbe bastato far girare la voce su questo bimbo e lo si sarebbe trovato probabilmente in meno di un’ora. Per questo oggi sono in diversi ad affermare quanto questo racconto, dove tra l’altro Giuseppe e Maria non sono mai nominati se non come il padre e la madre di Gesù, non sia un fatto di cronaca quanto piuttosto un evento teologico.
Certo che la liturgia con questo racconto ci rende la santa famiglia molto vicina per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. D’altra parte da figlio che ha scavalcato la barriera e da diversi anni si è ritrovato padre, sento il bisogno di alzare il mio sguardo per traguardare obiettivi d’amore per me e per coloro che mi vivono quotidianamente accanto.
Sogno una famiglia che vive la disponibilità al dialogo anche se faticoso, un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene c’è un ragazzo che ascolta e risponde: Maria e Giuseppe, dopo aver ritrovato Gesù, superato lo spavento per la sua scomparsa, più che rimproverare il figlio, vogliono capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c'è sempre, e forse è molto più bella e semplice di quanto si potesse temere.
Così nella semplicità della risposta di Gesù (“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) troviamo l’idea che i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni, perché un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, sarebbe come fermare la ruota della creazione. Tuttavia Gesù tornò a Nazareth e stava loro sottomesso, Gesù torna con chi non lo capisce, ma soprattutto afferma Luca, cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi eppure pare che non si capiscano, allora non ci dobbiamo meravigliare delle possibili incomprensioni presenti nelle nostre famiglie, si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà di mia moglie o di mio marito, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei miei genitori.
Gesù torna a Nazareth per imparare dai suoi genitori, come tutti noi abbiamo imparato dai nostri genitori, a diventare uomo: da Giuseppe avrà certamente imparato la giustizia e la capacità di sognare nella vita; da Maria la disponibilità e la capacità di ascoltare meditando ogni cosa nel suo cuore.
È compito di noi figli vivere sottomessi, ovvero lasciarci plasmare dall’amore dei nostri genitori, mentre sarà compito di noi genitori aiutare a crescere in sapienza e grazia i nostri figli, ricordando che i maestri veri non sono quelli che impongono ulteriori regole alla vita, ma quelli capaci di fornire nuove ali per volare nel cielo immenso della vita. Solo così casa diventerà la prima scuola, dove mariti e mogli innanzitutto tra loro e poi con i figli impareranno l’arte più importante, quella che li faranno donne e uomini davvero felici: l’arte di amare.
Luca, l’evangelista che più di altri ha cercato di scrivere la storia di Gesù, racconta di tutti quegli anni vissuti nel nascondimento solo un fatto strano accaduto durante una festa di Pasqua quando Gesù aveva all’incirca 12 anni e racchiude in un piccolo versetto tutto il resto della vita nella casa di Nazareth. Nel testo di oggi incontriamo un Gesù adolescente, ma rimane un forte dubbio sulla sua reale storicità: troppo strani appaiono infatti molti particolari come il comportamento decisamente falso e scorretto di Gesù che si nasconde a Gerusalemme, l’impensabile sventatezza e superficialità di Giuseppe e Maria che non si accorgono della sua assenza partendo da Gerusalemme, l’incredibile ricerca, durata tre giorni, a Gerusalemme prima di trovare Gesù nel tempio, quando sarebbe bastato far girare la voce su questo bimbo e lo si sarebbe trovato probabilmente in meno di un’ora. Per questo oggi sono in diversi ad affermare quanto questo racconto, dove tra l’altro Giuseppe e Maria non sono mai nominati se non come il padre e la madre di Gesù, non sia un fatto di cronaca quanto piuttosto un evento teologico.
Certo che la liturgia con questo racconto ci rende la santa famiglia molto vicina per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. D’altra parte da figlio che ha scavalcato la barriera e da diversi anni si è ritrovato padre, sento il bisogno di alzare il mio sguardo per traguardare obiettivi d’amore per me e per coloro che mi vivono quotidianamente accanto.
Sogno una famiglia che vive la disponibilità al dialogo anche se faticoso, un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene c’è un ragazzo che ascolta e risponde: Maria e Giuseppe, dopo aver ritrovato Gesù, superato lo spavento per la sua scomparsa, più che rimproverare il figlio, vogliono capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c'è sempre, e forse è molto più bella e semplice di quanto si potesse temere.
Così nella semplicità della risposta di Gesù (“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) troviamo l’idea che i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni, perché un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, sarebbe come fermare la ruota della creazione. Tuttavia Gesù tornò a Nazareth e stava loro sottomesso, Gesù torna con chi non lo capisce, ma soprattutto afferma Luca, cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi eppure pare che non si capiscano, allora non ci dobbiamo meravigliare delle possibili incomprensioni presenti nelle nostre famiglie, si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà di mia moglie o di mio marito, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei miei genitori.
Gesù torna a Nazareth per imparare dai suoi genitori, come tutti noi abbiamo imparato dai nostri genitori, a diventare uomo: da Giuseppe avrà certamente imparato la giustizia e la capacità di sognare nella vita; da Maria la disponibilità e la capacità di ascoltare meditando ogni cosa nel suo cuore.
È compito di noi figli vivere sottomessi, ovvero lasciarci plasmare dall’amore dei nostri genitori, mentre sarà compito di noi genitori aiutare a crescere in sapienza e grazia i nostri figli, ricordando che i maestri veri non sono quelli che impongono ulteriori regole alla vita, ma quelli capaci di fornire nuove ali per volare nel cielo immenso della vita. Solo così casa diventerà la prima scuola, dove mariti e mogli innanzitutto tra loro e poi con i figli impareranno l’arte più importante, quella che li faranno donne e uomini davvero felici: l’arte di amare.
Commento 30 dicembre 2018
La festa della Santa Famiglia mi è sempre sta molto cara, ho sempre preso posizione a favore degli sconfitti della vita e così questa festa incastrata fra colossi come il Natale, la solennità di Maria Madre di Dio e l’Epifania mi risulta particolarmente simpatica. È la festa della normalità di Dio! Ci aspettavamo un Dio dagli effetti speciali ed ecco nasce come bimbo in uno tra i più piccoli villaggi della Giudea, vive profugo in Egitto per sfuggire all’ira di Erode, cresce per circa 30 anni in uno sperduto villaggio delle montagne della Galilea, di cui si diceva: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46)
Il vangelo ci narra di un fatto strano accaduto durante una festa di Pasqua quando Gesù aveva all’incirca 12 anni. Troppo strani appaiono infatti molti particolari come il comportamento decisamente falso e scorretto di Gesù che si nasconde a Gerusalemme, l’impensabile sventatezza e superficialità di Giuseppe e Maria che non si accorgono della sua assenza partendo da Gerusalemme, l’incredibile ricerca, durata tre giorni, a Gerusalemme prima di trovare Gesù nel tempio, quando sarebbe bastato far girare la voce su questo bimbo e lo si sarebbe trovato probabilmente in meno di un’ora. Oggi molti propendono per affermare come questo racconto dove tra l’altro Giuseppe e Maria non sono mai nominati se non come il padre e la madre di Gesù non sia un fatto di cronaca ma piuttosto un evento teologico, un modo per ribadire come Gesù volesse allontanarsi dalla tradizione (il padre) dell’antico Israele (la madre) per aprire un cammino nuovo per l’uomo verso Dio (Gesù circondato dai maestri ma seduto, la classica posizione del maestro in Israele).
Certo che la liturgia con questo racconto ci rende la santa famiglia molto vicina per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. Una famiglia che vive la disponibilità al dialogo anche se faticoso: . Maria e Giuseppe più che rimproverare il figlio, vogliono capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c'è sempre, e forse molto più bella e semplice di quanto si potesse temere. Un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene c'è un ragazzo che ascolta e risponde.
Nella semplicità della risposta di Gesù (“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) troviamo l’idea che i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, è come fermare la ruota della creazione.
Tuttavia Gesù tornò a Nazareth e stava loro sottomesso, Gesù torna con chi non lo capisce, ma soprattutto afferma Luca, cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi eppure pare che non si capiscano, allora non ci dobbiamo meravigliare delle possibili incomprensioni presenti nelle nostre famiglie, si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà di mia moglie o di mio marito, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei miei genitori.
Gesù lascia il tempio e i maestri della Legge lascia gli interpreti dei libri e va con Giuseppe e Maria, maestri di vita. Per anni impara l'arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere, impara la bontà e la giustizia da Giuseppe, capace di accogliere la novità di un Dio che gli rivoluziona la vita; impara la disponibilità e la capacità di ascoltare da Maria.
È compito di noi figli vivere sottomessi, ovvero lasciarci plasmare dall’amore dei nostri genitori.
È compito di noi genitori aiutare a crescere in sapienza e grazia i nostri figli, ricordando che i maestri veri non sono quelli che metteranno ulteriori regole alla mia vita, ma quelli che mi daranno nuove ali, mi daranno la capacità di volare, di seguire lo Spirito di Dio. La casa è la prima scuola, dove i figli imparano l’arte più importante, quella che li farà donne e uomini felici: l’arte di amare.
Il vangelo ci narra di un fatto strano accaduto durante una festa di Pasqua quando Gesù aveva all’incirca 12 anni. Troppo strani appaiono infatti molti particolari come il comportamento decisamente falso e scorretto di Gesù che si nasconde a Gerusalemme, l’impensabile sventatezza e superficialità di Giuseppe e Maria che non si accorgono della sua assenza partendo da Gerusalemme, l’incredibile ricerca, durata tre giorni, a Gerusalemme prima di trovare Gesù nel tempio, quando sarebbe bastato far girare la voce su questo bimbo e lo si sarebbe trovato probabilmente in meno di un’ora. Oggi molti propendono per affermare come questo racconto dove tra l’altro Giuseppe e Maria non sono mai nominati se non come il padre e la madre di Gesù non sia un fatto di cronaca ma piuttosto un evento teologico, un modo per ribadire come Gesù volesse allontanarsi dalla tradizione (il padre) dell’antico Israele (la madre) per aprire un cammino nuovo per l’uomo verso Dio (Gesù circondato dai maestri ma seduto, la classica posizione del maestro in Israele).
Certo che la liturgia con questo racconto ci rende la santa famiglia molto vicina per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. Una famiglia che vive la disponibilità al dialogo anche se faticoso: . Maria e Giuseppe più che rimproverare il figlio, vogliono capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c'è sempre, e forse molto più bella e semplice di quanto si potesse temere. Un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene c'è un ragazzo che ascolta e risponde.
Nella semplicità della risposta di Gesù (“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”) troviamo l’idea che i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, è come fermare la ruota della creazione.
Tuttavia Gesù tornò a Nazareth e stava loro sottomesso, Gesù torna con chi non lo capisce, ma soprattutto afferma Luca, cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi eppure pare che non si capiscano, allora non ci dobbiamo meravigliare delle possibili incomprensioni presenti nelle nostre famiglie, si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà di mia moglie o di mio marito, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei miei genitori.
Gesù lascia il tempio e i maestri della Legge lascia gli interpreti dei libri e va con Giuseppe e Maria, maestri di vita. Per anni impara l'arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere, impara la bontà e la giustizia da Giuseppe, capace di accogliere la novità di un Dio che gli rivoluziona la vita; impara la disponibilità e la capacità di ascoltare da Maria.
È compito di noi figli vivere sottomessi, ovvero lasciarci plasmare dall’amore dei nostri genitori.
È compito di noi genitori aiutare a crescere in sapienza e grazia i nostri figli, ricordando che i maestri veri non sono quelli che metteranno ulteriori regole alla mia vita, ma quelli che mi daranno nuove ali, mi daranno la capacità di volare, di seguire lo Spirito di Dio. La casa è la prima scuola, dove i figli imparano l’arte più importante, quella che li farà donne e uomini felici: l’arte di amare.
Commento 27 dicembre 2015
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Allora è proprio vero anche Gesù combinava le sue marachelle: l’unico episodio che Luca ci racconta della vita di Gesù prima dell’inizio della sua vita pubblica con il battesimo ricevuto da Giovanni è un episodio in cui Gesù la combina davvero grossa: Gesù giunto per la Pasqua a Gerusalemme all’età di 12 anni si nasconde e non riparte con i suoi genitori verso Nazareth, verrà ritrovato dopo tre giorni nel tempio; l’avessi saputa prima questa storia quando mio padre mi raccontava che Gesù era un bambino così obbediente come dovevo essere anche io. Forse mio padre non se lo ricordava nemmeno lui oppure se lo sapeva era comunque una piccola bugia a fin di bene.
Della famiglia di Nazareth vorrei però soffermarmi su Giuseppe: ed ecco ho deciso scriverò una lettera a Giuseppe.
Lettera di Natale al Babbo di Gesù
Vorrei caro Giuseppe poterti parlare perché ti sento molto vicino; entrambi padri per vocazione e secondo lo spirito e non secondo natura, ma entrambi ci sentiamo veri padri.
Vorrei poterti incontrare, poter capire ciò che provavi di fronte a quel figlio che tu sentivi tale ma che sapevi aveva un Padre in cielo; sai almeno io competo con persone normali come me, che a volte possono sbagliare come me, anzi forse hanno fatto anche qualche errore più grande di quelli che faccio io, a me come dice quello spot “piace vincere facile”, ma tu a competere con Dio! Se non fosse che te lo sei ritrovato addosso sembreresti preso da una certa forma di megalomania.
Carissimo Giuseppe allora vorrei chiederti: cosa hai provato quando Maria, tua promessa sposa ti ha annunciato di essere incinta e soprattutto che quel bimbo che doveva nascere era il Figlio di Dio, il Messia tanto atteso?
Dimmi, ma hai creduto davvero a quelle parole?
Cosa hai provato quando un angelo apparve anche a te, mentre pensavi a quale stratagemma usare per salvare la vita a Maria, che se accusata di adulterio doveva subire l’immediata condanna alla lapidazione?
Cosa hai pensato,carissimo Giuseppe, quando Dio ti ha chiesto di lasciare il tuo paese per scappare in Egitto, profugo in un paese straniero, per tentare di salvare la vita al Figlio di Dio?
Cosa hai provato quando ti sei accorto che tuo figlio non era con Maria nella comitiva del ritorno dal pellegrinaggio di Pasqua; quanto ti sei sentito inadeguato nel tuo compito di papà?
Poi la gioia nel ritrovare tuo figlio al tempio e dove altro poteva essere lui che era il Figlio di Dio!
Cosa hai provato Giuseppe nell’atrio del tempio nel vedere tuo figlio che discuteva con i dottori della Legge e i sacerdoti del tempio e tutti erano stupiti del suo insegnamento? Dai su ammettilo quanto ti è montato l’orgoglio; in fondo alla sua educazione avevi contribuito anche tu!
Cosa hai provato poi quando dopo averlo ritrovato e nel tuo cuore c’era un misto di rabbia e di preoccupazione e Gesù ti ha ricordato che lui aveva un Padre nel cielo; o no Giuseppe avevi forse pensato di essere meglio di Dio?
Poi vorrei chiederti dei momenti che tu hai passato insieme a lui in bottega, quando gli insegnavi il mestiere del falegname: Gesù era un bravo falegname oppure ha fatto meglio un giorno ad iniziare a predicare?
Ed infine una domanda cosa hai pensato Giuseppe poco prima di morire quando non avevi ancora avuto prova che quel tuo amatissimo figlio fosse realmente il Figlio di Dio; non avrai mica pensato che la tua vita fosse stata un totale fallimento?
Grazie Giuseppe perché hai saputo vivere il tuo compito con impegno, nel nascondimento e nella giustizia.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Allora è proprio vero anche Gesù combinava le sue marachelle: l’unico episodio che Luca ci racconta della vita di Gesù prima dell’inizio della sua vita pubblica con il battesimo ricevuto da Giovanni è un episodio in cui Gesù la combina davvero grossa: Gesù giunto per la Pasqua a Gerusalemme all’età di 12 anni si nasconde e non riparte con i suoi genitori verso Nazareth, verrà ritrovato dopo tre giorni nel tempio; l’avessi saputa prima questa storia quando mio padre mi raccontava che Gesù era un bambino così obbediente come dovevo essere anche io. Forse mio padre non se lo ricordava nemmeno lui oppure se lo sapeva era comunque una piccola bugia a fin di bene.
Della famiglia di Nazareth vorrei però soffermarmi su Giuseppe: ed ecco ho deciso scriverò una lettera a Giuseppe.
Lettera di Natale al Babbo di Gesù
Vorrei caro Giuseppe poterti parlare perché ti sento molto vicino; entrambi padri per vocazione e secondo lo spirito e non secondo natura, ma entrambi ci sentiamo veri padri.
Vorrei poterti incontrare, poter capire ciò che provavi di fronte a quel figlio che tu sentivi tale ma che sapevi aveva un Padre in cielo; sai almeno io competo con persone normali come me, che a volte possono sbagliare come me, anzi forse hanno fatto anche qualche errore più grande di quelli che faccio io, a me come dice quello spot “piace vincere facile”, ma tu a competere con Dio! Se non fosse che te lo sei ritrovato addosso sembreresti preso da una certa forma di megalomania.
Carissimo Giuseppe allora vorrei chiederti: cosa hai provato quando Maria, tua promessa sposa ti ha annunciato di essere incinta e soprattutto che quel bimbo che doveva nascere era il Figlio di Dio, il Messia tanto atteso?
Dimmi, ma hai creduto davvero a quelle parole?
Cosa hai provato quando un angelo apparve anche a te, mentre pensavi a quale stratagemma usare per salvare la vita a Maria, che se accusata di adulterio doveva subire l’immediata condanna alla lapidazione?
Cosa hai pensato,carissimo Giuseppe, quando Dio ti ha chiesto di lasciare il tuo paese per scappare in Egitto, profugo in un paese straniero, per tentare di salvare la vita al Figlio di Dio?
Cosa hai provato quando ti sei accorto che tuo figlio non era con Maria nella comitiva del ritorno dal pellegrinaggio di Pasqua; quanto ti sei sentito inadeguato nel tuo compito di papà?
Poi la gioia nel ritrovare tuo figlio al tempio e dove altro poteva essere lui che era il Figlio di Dio!
Cosa hai provato Giuseppe nell’atrio del tempio nel vedere tuo figlio che discuteva con i dottori della Legge e i sacerdoti del tempio e tutti erano stupiti del suo insegnamento? Dai su ammettilo quanto ti è montato l’orgoglio; in fondo alla sua educazione avevi contribuito anche tu!
Cosa hai provato poi quando dopo averlo ritrovato e nel tuo cuore c’era un misto di rabbia e di preoccupazione e Gesù ti ha ricordato che lui aveva un Padre nel cielo; o no Giuseppe avevi forse pensato di essere meglio di Dio?
Poi vorrei chiederti dei momenti che tu hai passato insieme a lui in bottega, quando gli insegnavi il mestiere del falegname: Gesù era un bravo falegname oppure ha fatto meglio un giorno ad iniziare a predicare?
Ed infine una domanda cosa hai pensato Giuseppe poco prima di morire quando non avevi ancora avuto prova che quel tuo amatissimo figlio fosse realmente il Figlio di Dio; non avrai mica pensato che la tua vita fosse stata un totale fallimento?
Grazie Giuseppe perché hai saputo vivere il tuo compito con impegno, nel nascondimento e nella giustizia.