Terza domenica di quaresima Anno A
Vangelo Gv 4, 5-42
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». ] Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, [ vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Commento 12 marzo 2023 |
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Il percorso quaresimale che in questo anno A la liturgia ci propone ha un particolare risvolto battesimale: era infatti il percorso che svolgevano i catecumeni per prepararsi al battesimo nella notte di Pasqua; seguendo il vangelo di Giovanni ci vengono proposti tre incontri di Gesù con la samaritana, con il cieco nato e con l’amico Lazzaro. Sono incontri che introducono ad altrettanti segni battesimali: l’acqua che dona la vita di Dio, la luce della fede che guida il nostro cammino, la vita che vince la morte. Sono incontri d’amore in grado di cambiare, stravolgere la vita perché vanno a toccare il cuore!
Il vangelo di Giovanni è un testo enormemente ricco di segni, perle preziosissime lasciate lungo il nostro cammino di discepoli; soffermarsi a meditare su ciascuna di esse ci deve offrire l’opportunità di convertire la nostra vita per rivolgerla direttamente verso Dio. Ecco perché al di là del fatto concreto occorre cercare quegli elementi simbolici che l’evangelista ha voluto inserire nel testo per capirne correttamente il messaggio, non dimenticando mai che ciò che conta non sono le nostre elucubrazioni cerebrali, ma la nostra vita concreta, nella quale siamo chiamati a realizzare quanto abbiamo colto.
Il pozzo richiama un contesto matrimoniale, perché era il luogo dove i ragazzi attendevano le ragazze che andavano a prendere l’acqua per corteggiarle: al pozzo il servo di Abramo trova Rebecca per portarla in sposa ad Isacco, Giacobbe vede Rechele e Mosè incontra Zippora sono solo tre esempi che ritroviamo nel racconto biblico.
Nella simbologia matrimoniale tutta la Bibbia dal profeta Osea a San Paolo (Ef 5,21-32) ha letto l’amore umano che lega un uomo ad una donna come simbolo, segno sacro o meglio sacramento dell’infinito amore che lega Dio al suo popolo, amore che non cede nemmeno di fronte ad un popolo troppo spesso infedele (Osea)
Nell’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo noi così possiamo leggere il simbolo dell’incontro di Dio con l’umanità adultera e peccatrice, o meglio dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato.
Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Nel raccontare questo fatto due elementi suonano anomali: il fatto che Gesù doveva passare di lì (Gv 4,4 non viene letto) e la stanchezza di Gesù che si siede al pozzo. Ora quel verbo “dovere”, che ritroviamo anche nell’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19,5), mi sembra stia ad indicare quasi un imperativo etico, un sentirsi obbligato da parte di Dio nei nostri confronti: troppo spesso pensiamo al nostro rapporto con Dio come una serie di doveri, di sacrifici e di offerte, ma in realtà è esattamente il contrario perché il nostro Dio è Amore e chi ama compie sempre il primo passo; in secondo luogo è bello sottolineare la fatica di Dio: il nostro Dio si sforza, dona tutto sé stesso per incontrare l’uomo, non lascia nulla di intentato, fino allo sfinimento, fino alla morte, dono supremo e segno di un amore incondizionato.
Ecco in questo incontro troviamo il simbolo, il sacramente dell’incredibile notizia di un Dio che con fatica, ma inesorabilmente cerca l’umanità adultera e peccatrice (la samaritana), cerca me, che nonostante le mie incoerenze, i miei limiti e i miei peccati, rimango sempre e soltanto il suo “figlio prediletto”.
Al pozzo Dio mi cerca a mezzogiorno ben sapendo che a quell’ora mai nessuno verrà a prendere l’acqua, ma Dio è lì seduto che mi aspetta come un Padre/Madre che attende il ritorno di un figlio perduto (Lc15): il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato, Dio mi aspetta perché chi ama è disposto ad aspettare la libera risposta d’amore dell’amato (Ap 3,20).
Nel dialogo tra Gesù e la donna scopriamo un Dio che ha sete, sete di incontrare quella donna, sete di incontrare cuore a cuore me, ciascuno di noi, una sete profonda come quella invocata nel salmo 63 (“di te ha sete l’anima mia”), una sete che sa risvegliare in noi la vera sete d’amore che pervade il nostro cuore, poiché Dio sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7).
Se solo capissimo che Dio ha quell’acqua capace di dissetarci, se solo aprissimo il nostro cuore per assaporare l’infinito amore per cui Dio ci ha creato, quanto si rallegreranno i nostri deserti e come fioriranno le nostre steppe (Is 35,1).
Ora a volte, come la samaritana, di fronte alla proposta di Gesù rimaniamo chiusi nei nostri interessi e bisogni puramente umani come se fossero quelli a soddisfarci: quante volte abbiamo cercato di soddisfare la nostra sete con altri idoli come il successo, il denaro, il lavoro, idoli che continuano a dimostrarsi incapaci di dissetare davvero il cuore dell’uomo. Gesù non cerca acqua, ma desidera incontrare profondamente ogni uomo e donna e le sue parole, parole di vita e di amore aprono una breccia nei nostri cuori avvolti nel buio, dove sgorga una domanda, la domanda: chi sei tu Dio, per me?
Il primo passo è scoprire che Dio è profeta, ha, cioè, una parola in grado di risvegliare la mia vita, di riportare il mio cuore verso ciò che davvero lo sazia. Tutto questo non basta perché siamo chiamati ad una relazione con Dio rinnovata: ecco l’ora, il momento decisivo in cui potremo incontrare Dio in Spirito e Verità, un rapporto nuovo non più legato al culto del tempio, ma fondato sullo Spirito che è infinito amore e sulla Verità che è la rivelazione di questo amore capace di donare tutto fino alla morte.
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare sovrabbondante quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato; anche noi lasciamo cadere la brocca piena di tutti i nostri dubbi, peccati, errori e paure per correre liberi verso gli altri uomini ed essere testimoni efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!
Il vangelo di Giovanni è un testo enormemente ricco di segni, perle preziosissime lasciate lungo il nostro cammino di discepoli; soffermarsi a meditare su ciascuna di esse ci deve offrire l’opportunità di convertire la nostra vita per rivolgerla direttamente verso Dio. Ecco perché al di là del fatto concreto occorre cercare quegli elementi simbolici che l’evangelista ha voluto inserire nel testo per capirne correttamente il messaggio, non dimenticando mai che ciò che conta non sono le nostre elucubrazioni cerebrali, ma la nostra vita concreta, nella quale siamo chiamati a realizzare quanto abbiamo colto.
Il pozzo richiama un contesto matrimoniale, perché era il luogo dove i ragazzi attendevano le ragazze che andavano a prendere l’acqua per corteggiarle: al pozzo il servo di Abramo trova Rebecca per portarla in sposa ad Isacco, Giacobbe vede Rechele e Mosè incontra Zippora sono solo tre esempi che ritroviamo nel racconto biblico.
Nella simbologia matrimoniale tutta la Bibbia dal profeta Osea a San Paolo (Ef 5,21-32) ha letto l’amore umano che lega un uomo ad una donna come simbolo, segno sacro o meglio sacramento dell’infinito amore che lega Dio al suo popolo, amore che non cede nemmeno di fronte ad un popolo troppo spesso infedele (Osea)
Nell’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo noi così possiamo leggere il simbolo dell’incontro di Dio con l’umanità adultera e peccatrice, o meglio dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato.
Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Nel raccontare questo fatto due elementi suonano anomali: il fatto che Gesù doveva passare di lì (Gv 4,4 non viene letto) e la stanchezza di Gesù che si siede al pozzo. Ora quel verbo “dovere”, che ritroviamo anche nell’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19,5), mi sembra stia ad indicare quasi un imperativo etico, un sentirsi obbligato da parte di Dio nei nostri confronti: troppo spesso pensiamo al nostro rapporto con Dio come una serie di doveri, di sacrifici e di offerte, ma in realtà è esattamente il contrario perché il nostro Dio è Amore e chi ama compie sempre il primo passo; in secondo luogo è bello sottolineare la fatica di Dio: il nostro Dio si sforza, dona tutto sé stesso per incontrare l’uomo, non lascia nulla di intentato, fino allo sfinimento, fino alla morte, dono supremo e segno di un amore incondizionato.
Ecco in questo incontro troviamo il simbolo, il sacramente dell’incredibile notizia di un Dio che con fatica, ma inesorabilmente cerca l’umanità adultera e peccatrice (la samaritana), cerca me, che nonostante le mie incoerenze, i miei limiti e i miei peccati, rimango sempre e soltanto il suo “figlio prediletto”.
Al pozzo Dio mi cerca a mezzogiorno ben sapendo che a quell’ora mai nessuno verrà a prendere l’acqua, ma Dio è lì seduto che mi aspetta come un Padre/Madre che attende il ritorno di un figlio perduto (Lc15): il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato, Dio mi aspetta perché chi ama è disposto ad aspettare la libera risposta d’amore dell’amato (Ap 3,20).
Nel dialogo tra Gesù e la donna scopriamo un Dio che ha sete, sete di incontrare quella donna, sete di incontrare cuore a cuore me, ciascuno di noi, una sete profonda come quella invocata nel salmo 63 (“di te ha sete l’anima mia”), una sete che sa risvegliare in noi la vera sete d’amore che pervade il nostro cuore, poiché Dio sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7).
Se solo capissimo che Dio ha quell’acqua capace di dissetarci, se solo aprissimo il nostro cuore per assaporare l’infinito amore per cui Dio ci ha creato, quanto si rallegreranno i nostri deserti e come fioriranno le nostre steppe (Is 35,1).
Ora a volte, come la samaritana, di fronte alla proposta di Gesù rimaniamo chiusi nei nostri interessi e bisogni puramente umani come se fossero quelli a soddisfarci: quante volte abbiamo cercato di soddisfare la nostra sete con altri idoli come il successo, il denaro, il lavoro, idoli che continuano a dimostrarsi incapaci di dissetare davvero il cuore dell’uomo. Gesù non cerca acqua, ma desidera incontrare profondamente ogni uomo e donna e le sue parole, parole di vita e di amore aprono una breccia nei nostri cuori avvolti nel buio, dove sgorga una domanda, la domanda: chi sei tu Dio, per me?
Il primo passo è scoprire che Dio è profeta, ha, cioè, una parola in grado di risvegliare la mia vita, di riportare il mio cuore verso ciò che davvero lo sazia. Tutto questo non basta perché siamo chiamati ad una relazione con Dio rinnovata: ecco l’ora, il momento decisivo in cui potremo incontrare Dio in Spirito e Verità, un rapporto nuovo non più legato al culto del tempio, ma fondato sullo Spirito che è infinito amore e sulla Verità che è la rivelazione di questo amore capace di donare tutto fino alla morte.
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare sovrabbondante quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato; anche noi lasciamo cadere la brocca piena di tutti i nostri dubbi, peccati, errori e paure per correre liberi verso gli altri uomini ed essere testimoni efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!
Commento 15 marzo 2020
L’itinerario quaresimale in questo anno liturgico A ha un particolare risvolto battesimale; infatti ci vengono proposti tre incontri di Gesù, seguendo il vangelo di Giovanni: la samaritana, il cieco nato e Lazzaro, incontri che introducono ad altrettanti segni battesimali che verranno ripresi nella veglia pasquale: l’acqua che dona la vita di Dio, la luce della fede che guida il nostro cammino, la vita che vince la morte. Il vangelo di Giovanni è un testo enormemente ricco di segni, perle preziosissime lasciate lungo il nostro cammino di discepoli; soffermarsi a meditare su ciascuna di esse in questo momento essere l’opportunità che questo tempo di preparazione ci offre, opportunità che dobbiamo cogliere.
Al di là del fatto concreto occorre innanzitutto cercare quegli elementi simbolici che l’evangelista ha voluto inserire nel testo per capirne correttamente il messaggio, non dimenticando mai che ciò che conta non sono le nostre elucubrazioni cerebrali, ma la nostra vita concreta, nella quale siamo chiamati a realizzare quanto abbiamo colto.
Il pozzo richiama un contesto matrimoniale, perché era il luogo dove i ragazzi attendevano le ragazze che andavano a prendere l’acqua per corteggiarle: al pozzo il servo di Abramo trova Rebecca per portarla in sposa ad Isacco; al pozzo Giacobbe vede Rachele e si innamora di lei; al pozzo Mosè incontra Zippora. Per cogliere pienamente questa simbologia matrimoniale l’invito è quello di andare a rileggere e meditare la vicenda del profeta Osea che scopre nelle sue difficoltà matrimoniali con Gomer, che più volte lo tradisce, un simbolo dell’amore infinito di Dio verso il suo popolo troppo spesso infedele.
Nell’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo noi così possiamo leggere il simbolo dell’incontro di Dio con l’umanità adultera e peccatrice, o meglio dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato. Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Due parole mi viene da sottolineare: il fatto che Gesù doveva passare di lì e la stanchezza di Gesù che si siede al pozzo. Quel verbo “dovere”, che ritroviamo anche nell’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19,5), mi sembra stia ad indicare quasi un imperativo etico, un sentirsi obbligato da parte di Dio nei nostri confronti: troppo spesso pensiamo al nostro rapporto con Dio come una serie di doveri, di sacrifici e di offerte, ma il nostro Dio non è così; il nostro Dio ci ama in modo infinito e chi ama compie sempre il primo passo. In secondo luogo è bello sottolineare la fatica di Dio: Dio si sforza, Dio dona tutto sé stesso per incontrare l’uomo, non lascia nulla di intentato, fino allo sfinimento, fino alla morte, dono supremo e segno di un amore incondizionato.
Leggiamo quindi in questo testo l’incredibile notizia di un Dio che con fatica, ma inesorabilmente cerca l’umanità adultera e peccatrice (la samaritana), cerca soprattutto me, che nonostante le mie incoerenze, i miei limiti e i miei peccati, rimango sempre e soltanto il suo “figlio prediletto”.
Dio è lì a mezzogiorno che mi aspetta, ben sapendo che a quell’ora mai nessuno verrà a prendere l’acqua; il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato, Dio mi aspetta perché chi ama è disposto ad aspettare la libera risposta d’amore dell’amato (Ap 3,20).
In quel dialogo stupendo Gesù chiede dell’acqua alla donna venuta al pozzo, Gesù ha sete, sete di incontrare quella donna, sete di incontrare cuore a cuore me, ciascuno di noi; è una sete profonda come quella invocata nel salmo 63: “di te ha sete l’anima mia”; una sete irresistibile che non si ferma neanche di fronte alle titubanze della donna. Una sete che sa risvegliare in noi la vera sete d’amore che pervade il nostro cuore, poiché Dio sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7).
Se solo capissimo che Dio ha quell’acqua capace di dissetarci, se solo aprissimo il nostro cuore per assaporare l’infinito amore per cui Dio ci ha creato, potremmo giungere alla gioia piena.
Troppe volte però, come la samaritana, di fronte alla proposta esaltante di Gesù rimaniamo chiusi nei nostri interessi e bisogni puramente umani come se fossero quelli a soddisfarci. Abbiamo cercato di soddisfare la nostra sete con altri idoli che continuano a dimostrarsi incapaci di dissetare il cuore dell’uomo. In fondo aveva ragione sant’Agostino quando scriveva: “Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”.
Gesù non cerca acqua, ma desidera amare profondamente ogni uomo e donna e le sue parole, parole di vita e di amore aprono una breccia nei nostri cuori avvolti nel buio, dove sgorga una domanda, la domanda: chi sei tu Dio, per me?
Il primo passo è scoprire che Dio è profeta, ha una parola in grado di risvegliare la mia vita, di riportare il mio cuore verso ciò che davvero lo sazia.
La conclusione è meravigliosa e credo che parli fortemente al nostro cuore inquieto in questa quaresima in cui il CoVid19 ci costringe ad un digiuno liturgico. Sentiamo attuale ed urgente la domanda della Samaritana: Dove andremo per adorare Dio? Sul monte o nel tempio? In chiesa, ma senza la messa? La risposta è davvero un raggio di sole in questi giorni bui: non su un monte, non in un tempio, ma dentro di noi in spirito e verità. Non possiamo celebrare la messa, ma possiamo lodare il Signore, possiamo amare i fratelli sentendoci uniti anche se fisicamente lontani, torneremo poi a celebrare l’eucaristia forse cogliendone ancor più profondamente il senso di celebrazione della vita, di celebrazione delle meraviglie d’amore con cui Dio circonda la nostra vita!
Siamo chiamati quindi a costruire con Dio una relazione nuova fondata sullo Spirito di Cristo che è Verità, quello spirito “che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15).
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato; lascia cadere la brocca piena di tutti i suoi dubbi, di tutti i suoi peccati, di tutti i suoi errori e di tutte le sue paure e corre libera verso i suoi compaesani per diventare testimone efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore. Possiamo quindi ritornare a casa: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!
Al di là del fatto concreto occorre innanzitutto cercare quegli elementi simbolici che l’evangelista ha voluto inserire nel testo per capirne correttamente il messaggio, non dimenticando mai che ciò che conta non sono le nostre elucubrazioni cerebrali, ma la nostra vita concreta, nella quale siamo chiamati a realizzare quanto abbiamo colto.
Il pozzo richiama un contesto matrimoniale, perché era il luogo dove i ragazzi attendevano le ragazze che andavano a prendere l’acqua per corteggiarle: al pozzo il servo di Abramo trova Rebecca per portarla in sposa ad Isacco; al pozzo Giacobbe vede Rachele e si innamora di lei; al pozzo Mosè incontra Zippora. Per cogliere pienamente questa simbologia matrimoniale l’invito è quello di andare a rileggere e meditare la vicenda del profeta Osea che scopre nelle sue difficoltà matrimoniali con Gomer, che più volte lo tradisce, un simbolo dell’amore infinito di Dio verso il suo popolo troppo spesso infedele.
Nell’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo noi così possiamo leggere il simbolo dell’incontro di Dio con l’umanità adultera e peccatrice, o meglio dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato. Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Due parole mi viene da sottolineare: il fatto che Gesù doveva passare di lì e la stanchezza di Gesù che si siede al pozzo. Quel verbo “dovere”, che ritroviamo anche nell’incontro di Gesù con Zaccheo (Lc 19,5), mi sembra stia ad indicare quasi un imperativo etico, un sentirsi obbligato da parte di Dio nei nostri confronti: troppo spesso pensiamo al nostro rapporto con Dio come una serie di doveri, di sacrifici e di offerte, ma il nostro Dio non è così; il nostro Dio ci ama in modo infinito e chi ama compie sempre il primo passo. In secondo luogo è bello sottolineare la fatica di Dio: Dio si sforza, Dio dona tutto sé stesso per incontrare l’uomo, non lascia nulla di intentato, fino allo sfinimento, fino alla morte, dono supremo e segno di un amore incondizionato.
Leggiamo quindi in questo testo l’incredibile notizia di un Dio che con fatica, ma inesorabilmente cerca l’umanità adultera e peccatrice (la samaritana), cerca soprattutto me, che nonostante le mie incoerenze, i miei limiti e i miei peccati, rimango sempre e soltanto il suo “figlio prediletto”.
Dio è lì a mezzogiorno che mi aspetta, ben sapendo che a quell’ora mai nessuno verrà a prendere l’acqua; il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato, Dio mi aspetta perché chi ama è disposto ad aspettare la libera risposta d’amore dell’amato (Ap 3,20).
In quel dialogo stupendo Gesù chiede dell’acqua alla donna venuta al pozzo, Gesù ha sete, sete di incontrare quella donna, sete di incontrare cuore a cuore me, ciascuno di noi; è una sete profonda come quella invocata nel salmo 63: “di te ha sete l’anima mia”; una sete irresistibile che non si ferma neanche di fronte alle titubanze della donna. Una sete che sa risvegliare in noi la vera sete d’amore che pervade il nostro cuore, poiché Dio sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7).
Se solo capissimo che Dio ha quell’acqua capace di dissetarci, se solo aprissimo il nostro cuore per assaporare l’infinito amore per cui Dio ci ha creato, potremmo giungere alla gioia piena.
Troppe volte però, come la samaritana, di fronte alla proposta esaltante di Gesù rimaniamo chiusi nei nostri interessi e bisogni puramente umani come se fossero quelli a soddisfarci. Abbiamo cercato di soddisfare la nostra sete con altri idoli che continuano a dimostrarsi incapaci di dissetare il cuore dell’uomo. In fondo aveva ragione sant’Agostino quando scriveva: “Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te”.
Gesù non cerca acqua, ma desidera amare profondamente ogni uomo e donna e le sue parole, parole di vita e di amore aprono una breccia nei nostri cuori avvolti nel buio, dove sgorga una domanda, la domanda: chi sei tu Dio, per me?
Il primo passo è scoprire che Dio è profeta, ha una parola in grado di risvegliare la mia vita, di riportare il mio cuore verso ciò che davvero lo sazia.
La conclusione è meravigliosa e credo che parli fortemente al nostro cuore inquieto in questa quaresima in cui il CoVid19 ci costringe ad un digiuno liturgico. Sentiamo attuale ed urgente la domanda della Samaritana: Dove andremo per adorare Dio? Sul monte o nel tempio? In chiesa, ma senza la messa? La risposta è davvero un raggio di sole in questi giorni bui: non su un monte, non in un tempio, ma dentro di noi in spirito e verità. Non possiamo celebrare la messa, ma possiamo lodare il Signore, possiamo amare i fratelli sentendoci uniti anche se fisicamente lontani, torneremo poi a celebrare l’eucaristia forse cogliendone ancor più profondamente il senso di celebrazione della vita, di celebrazione delle meraviglie d’amore con cui Dio circonda la nostra vita!
Siamo chiamati quindi a costruire con Dio una relazione nuova fondata sullo Spirito di Cristo che è Verità, quello spirito “che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15).
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato; lascia cadere la brocca piena di tutti i suoi dubbi, di tutti i suoi peccati, di tutti i suoi errori e di tutte le sue paure e corre libera verso i suoi compaesani per diventare testimone efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore. Possiamo quindi ritornare a casa: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!
Commento 19 marzo 2017
Il nostro cammino verso la Pasqua del Signore ci propone tre incontri di Gesù, seguendo il vangelo di Giovanni: la samaritana, il cieco nato e Lazzaro. Questi tre incontri introducono altrettanti segni che verranno ripresi nella veglia pasquale: l’acqua che dona la vita di Dio, la luce della fede che guida il nostro cammino, la vita che vince la morte. Il brano è enormemente ricco di simboli e sarebbe davvero opportuno soffermarsi su ciascuno di essi, ma questo non vuole essere lo stile di questa condivisione. Ciò che mi spinge e ci spinge è l’incontro della Parola con la vita, pertanto mi fermo solo ad affermare come l’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo vada a significare lo sforzo, la fatica di Dio nell’incontrare una umanità adultera e peccatrice (la samaritana).
Allora ecco un fatto normale, semplice diventa simbolo dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato. Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Gesù lungo il suo cammino verso Gerusalemme giunge a Sicar; siamo in Samaria, terra abitata da un popolo meticcio ed infedele. Si ferma stanco sul pozzo di Giacobbe quasi ad attendere qualcuno, ma è l’ora sesta (mezzogiorno) e nessuno arriverà mai ad attingere acqua (di solito si andava al pozzo o al mattino presto o nella tarda serata), ma il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato e di spingerci avanti perché la nostra vita torni a risplendere.
Il dialogo è stupendo nella sua semplicità: Gesù chiede dell’acqua alla donna venuta al pozzo, Gesù sente il bisogno di incontrare quella donna, ha sete, desidera mettersi in relazione con lei che rappresenta ciascuno di noi e non si ferma neanche di fronte ai nostri “no”. Egli sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7). Così come un padre benevolo che attende il ritorno del figlio, Egli ci aspetta, sospirando amorevolmente: “se tu conoscessi il dono di Dio”, se solo aprissi la tua bocca potrei offrirti quell’acqua che sola sa dissetare per sempre il tuo cuore, facendoti assaporare quell’amore infinito per cui Dio ti ha creato.
La samaritana rimane chiusa nel suo bisogno umano, ma Gesù non cerca acqua da bere, desidera donne e uomini da amare, con cui mettersi in relazione, con cui riannodare quei fili che erano stati tagliati e quella donna, l’umanità, comincia a capire: “Signore, vedo che tu sei un profeta!” e si mette in cammino, cerca di capire; le basta un piccolo passo per tornare ad essere abbracciata da Dio. La donna domanda un rapporto riaperto con Dio e Gesù risponde con una relazione rinnovata: ecco l’ora, il momento decisivo in cui saprete riconoscere in Dio colui che realmente è: il padre vostro. Una relazione nuova fondata sullo Spirito di Cristo che è Verità, quello spirito “che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15).
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato, lascia cadere la brocca piena di tutti i suoi dubbi, di tutti i suoi peccati, di tutti i suoi errori e di tutte le sue paure e corre libera verso i suoi compaesani per diventare testimone efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore. Possiamo quindi ritornare a casa: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!
Allora ecco un fatto normale, semplice diventa simbolo dell’iniziativa di Dio che instancabilmente va alla ricerca di ogni uomo, di ciascuno di noi, umanità perduta nella delusione, nelle difficoltà, nel peccato. Come non godere di un Dio che non rimane fermo nel suo paradiso, giudice severo di creature incapaci di rispondere al suo progetto d’amore, ma che viene nei nostri deserti, spinto da un amore inesorabile, eterno e totale.
Gesù lungo il suo cammino verso Gerusalemme giunge a Sicar; siamo in Samaria, terra abitata da un popolo meticcio ed infedele. Si ferma stanco sul pozzo di Giacobbe quasi ad attendere qualcuno, ma è l’ora sesta (mezzogiorno) e nessuno arriverà mai ad attingere acqua (di solito si andava al pozzo o al mattino presto o nella tarda serata), ma il Signore è lì, ci attende in ogni momento della nostra vita, anche in quelli che nessuno potrebbe mai immaginare perché ciò che lo guida non è la logica utilitaristica ed economica che spesso indirizza la vita dell’uomo, per Dio non esiste il tempo perso; egli è mosso dall’infinito amore per ciascuno di noi, amore da cui scaturisce quell’inesorabile speranza capace di guardare oltre il peccato e di spingerci avanti perché la nostra vita torni a risplendere.
Il dialogo è stupendo nella sua semplicità: Gesù chiede dell’acqua alla donna venuta al pozzo, Gesù sente il bisogno di incontrare quella donna, ha sete, desidera mettersi in relazione con lei che rappresenta ciascuno di noi e non si ferma neanche di fronte ai nostri “no”. Egli sa che noi in ogni momento della nostra vita, nell’attraversare i deserti del nostro egoismo abbiamo bisogno di quella sorgente d’acqua viva che solo Dio è (prima lettura Es 17,3-7). Così come un padre benevolo che attende il ritorno del figlio, Egli ci aspetta, sospirando amorevolmente: “se tu conoscessi il dono di Dio”, se solo aprissi la tua bocca potrei offrirti quell’acqua che sola sa dissetare per sempre il tuo cuore, facendoti assaporare quell’amore infinito per cui Dio ti ha creato.
La samaritana rimane chiusa nel suo bisogno umano, ma Gesù non cerca acqua da bere, desidera donne e uomini da amare, con cui mettersi in relazione, con cui riannodare quei fili che erano stati tagliati e quella donna, l’umanità, comincia a capire: “Signore, vedo che tu sei un profeta!” e si mette in cammino, cerca di capire; le basta un piccolo passo per tornare ad essere abbracciata da Dio. La donna domanda un rapporto riaperto con Dio e Gesù risponde con una relazione rinnovata: ecco l’ora, il momento decisivo in cui saprete riconoscere in Dio colui che realmente è: il padre vostro. Una relazione nuova fondata sullo Spirito di Cristo che è Verità, quello spirito “che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15).
Ora la donna (l’umanità) ha capito, il suo cuore ormai freme di un amore pieno e da lei non può che sgorgare quell’acqua che aveva per tanto tempo cercato, lascia cadere la brocca piena di tutti i suoi dubbi, di tutti i suoi peccati, di tutti i suoi errori e di tutte le sue paure e corre libera verso i suoi compaesani per diventare testimone efficace di questo vangelo: Dio ci ama, ci viene incontro per ricordarci che siamo suoi figli.
Nell’acqua del battesimo ci siamo riconosciuti figli ed oggi con la stessa gioia della samaritana tocca a noi vivere nella gioia dei figli di Dio; non più servi, non più legati a formalismi artificiosi, ma veri figli che a volte possono non capire e non condividere le scelte dei genitori, ma che a sera ritornano a casa perché sanno che è l’unico posto dove potranno ritrovare quell’amore che solo sa saziare il loro cuore. Possiamo quindi ritornare a casa: la porta del cuore di Dio è sempre aperta!