Seconda domenica di quaresima Anno B
Vangelo Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Vangelo Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Commento 25 febbraio 2024
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è (1Gv 3,2): forse proprio queste parole di Giovanni, uno dei tre presenti su quel monte, possono essere il commento migliore al testo evangelico della trasfigurazione che ci viene proposto in questa seconda domenica di quaresima e che quest’anno leggiamo nella versione di Marco.
Ecco di fronte a noi tutto il cammino quaresimale: dal deserto al Tabor, dalla domenica della fatica che ci minaccia, alla domenica della gioia che ci abita ed illumina la nostra vita. Se in troppe occasioni la vita ci si mostra come un lungo, inevitabile deserto da attraversare, l’inizio della quaresima ci offre una sintesi meravigliosa del nostro pellegrinaggio dalla desolazione del deserto alla luce che brilla su un monte, dalla tentazione di cedere alle lusinghe del male alla trasfigurazione di Gesù e nostra per rivelare il volto di Dio impresso fin dalla creazione in ognuno di noi. Troppo spesso la quaresima ci viene presentata come un tempo penitenziale, un tempo di sacrifici e fioretti per meritare il perdono e l’amore di Dio, un tempo di mortificazione; in realtà questo tempo è palestra di “vivificazione”, tempo di allenamento per una vita nuova e più piena!
“Coraggio il deserto non vincerà!” (E. Ronchi), è già iniziata ed è irreversibile la mia metamorfosi (trasfigurazione) e dove oggi vedo soltanto il bruco del mio peccato, sono certo che sta già brillando la luce della farfalla che è in me in quanto figlio di Dio.
La classica introduzione liturgica alla lettura del vangelo “in quel tempo” se da un lato ci vuole riportare alla vita concreta di Gesù duemila anni fa in occasioni come questa ci impedisce di cogliere il senso di quanto stava accadendo perché con l’inizio del suo testo “sei giorni prima” (Mc 9,2), l’evangelista poneva questo racconto in un contesto assolutamente necessario per capirne il senso.
Sei giorni prima, infatti, Pietro, forse a nome di tutti i discepoli, aveva riconosciuto Gesù come il Cristo, il Messia atteso da secoli dal popolo.
A questa importante testimonianza di fede Gesù rispose con l’annuncio della sua passione, morte e resurrezione. Tutto questo aveva smorzato i primi inevitabili entusiasmi perché se Gesù è il Messia, egli si presenta non come il vincitore, ma come Colui che viene per donare la sua vita e la sua proposta non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore.
Ricordiamolo sempre, la croce, con la quale più volte al giorno noi cristiani ci segniamo, rimane “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23)!
Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti per fare esperienza di Dio e nei quali rinforzare la propria fede: quell’alto monte, per Marco, segna la vetta, il passo che divide il suo vangelo in due parti: una prima parte in cui ci racconta le opere meravigliose ed i segni del Cristo, in ebraico Messia, ed una seconda in cui si delineerà sempre più il volto misericordioso del Figlio di Dio venuto tra noi e fattosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2).
Certo devo percorrere il mio cammino ed è un cammino complicato perché sono diretto verso un “alto monte”, abbandonando la pianura delle cose facili, delle scelte scontate, delle situazioni e delle persone che mi aggradano ed in questo pellegrinaggio è necessario lasciarsi condurre dalla logica di Dio perché solo così posso guardare ciò che mi circonda con quell’infinito amore che solo Lui mi permette di vivere pienamente.
È un cammino complicato perché sono chiamato a mettermi “in disparte”, ad uscire dalla confusione di tutti i giorni, dove l’abitudine del quotidiano mi impedisce di riflettere e pensare alle scelte che devo compiere; solo nel silenzio posso fare l’esperienza di Dio.
Sarà un cammino complicato ma sappiamo che non saremo soli perché Gesù su quel monte vuole intorno a sé una piccola comunità di discepoli; infatti se la fede e l’incontro con Dio è esperienza assolutamente personale non è mai una esperienza privata ma sempre comunitaria: è, infatti la comunità, la Chiesa, il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché nell’esperienza dell’amore fraterno scopro non solo una efficace palestra di vita, ma anche l’aiuto per camminare lungo i sentieri della vita.
L’esperienza di Dio rimane inenarrabile e le parole di Marco rimangono impotenti e non ci resta che urlare con Pietro, Giacomo e Giovanni la nostra gioia: “è bello per noi essere qui!”; eppure quante volte sono di scandalo alla fede i nostri volti segnati dalla tristezza. Troppe volte il nostro annuncio a ridotto Dio a Colui che dall’alto della sua onnipotenza, come giudice severo, attende il nostro peccato per colpire con la sua ira: questo non è il vangelo del Dio di Gesù Cristo! Il nostro Dio è Bello, è Luce, è Gioia Infinita, è semplicemente Amore!
“È bello per noi essere qui; facciamo tre capanne” e chi vuole più tornare a valle, fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo della gioia possibile; quante volte vogliamo fermare il mondo per vivere quei momenti magici, ma la felicità è come la vita se la conservi per te prima o poi svanirà mentre se saprai condividerla si moltiplicherà perché la gioia come l’amore non si divide, si moltiplica sempre!
Ecco perché possiamo, dobbiamo tornare a valle dove incontrare tanti fratelli e sorelle che ancora cercano la luce ed allora scendiamo dal monte, torniamo alla nostra vita quotidiana, conservando e custodendo in noi, come faceva Maria, quella luce forse solo intravista, che ha riscaldato anche solo per un istante il nostro cuore.
Torniamo alla nostra vita quotidiana con la voglia e l’impegno di diventare specchi in grado di riflettere quella sola luce di cui ogni donna ed ogni uomo sente davvero il bisogno, annunciando a tutti: “Questi (Gesù) è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo quel posto meraviglioso in cui vivere come in principio fu sognato da Dio!
Ecco di fronte a noi tutto il cammino quaresimale: dal deserto al Tabor, dalla domenica della fatica che ci minaccia, alla domenica della gioia che ci abita ed illumina la nostra vita. Se in troppe occasioni la vita ci si mostra come un lungo, inevitabile deserto da attraversare, l’inizio della quaresima ci offre una sintesi meravigliosa del nostro pellegrinaggio dalla desolazione del deserto alla luce che brilla su un monte, dalla tentazione di cedere alle lusinghe del male alla trasfigurazione di Gesù e nostra per rivelare il volto di Dio impresso fin dalla creazione in ognuno di noi. Troppo spesso la quaresima ci viene presentata come un tempo penitenziale, un tempo di sacrifici e fioretti per meritare il perdono e l’amore di Dio, un tempo di mortificazione; in realtà questo tempo è palestra di “vivificazione”, tempo di allenamento per una vita nuova e più piena!
“Coraggio il deserto non vincerà!” (E. Ronchi), è già iniziata ed è irreversibile la mia metamorfosi (trasfigurazione) e dove oggi vedo soltanto il bruco del mio peccato, sono certo che sta già brillando la luce della farfalla che è in me in quanto figlio di Dio.
La classica introduzione liturgica alla lettura del vangelo “in quel tempo” se da un lato ci vuole riportare alla vita concreta di Gesù duemila anni fa in occasioni come questa ci impedisce di cogliere il senso di quanto stava accadendo perché con l’inizio del suo testo “sei giorni prima” (Mc 9,2), l’evangelista poneva questo racconto in un contesto assolutamente necessario per capirne il senso.
Sei giorni prima, infatti, Pietro, forse a nome di tutti i discepoli, aveva riconosciuto Gesù come il Cristo, il Messia atteso da secoli dal popolo.
A questa importante testimonianza di fede Gesù rispose con l’annuncio della sua passione, morte e resurrezione. Tutto questo aveva smorzato i primi inevitabili entusiasmi perché se Gesù è il Messia, egli si presenta non come il vincitore, ma come Colui che viene per donare la sua vita e la sua proposta non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore.
Ricordiamolo sempre, la croce, con la quale più volte al giorno noi cristiani ci segniamo, rimane “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23)!
Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti per fare esperienza di Dio e nei quali rinforzare la propria fede: quell’alto monte, per Marco, segna la vetta, il passo che divide il suo vangelo in due parti: una prima parte in cui ci racconta le opere meravigliose ed i segni del Cristo, in ebraico Messia, ed una seconda in cui si delineerà sempre più il volto misericordioso del Figlio di Dio venuto tra noi e fattosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2).
Certo devo percorrere il mio cammino ed è un cammino complicato perché sono diretto verso un “alto monte”, abbandonando la pianura delle cose facili, delle scelte scontate, delle situazioni e delle persone che mi aggradano ed in questo pellegrinaggio è necessario lasciarsi condurre dalla logica di Dio perché solo così posso guardare ciò che mi circonda con quell’infinito amore che solo Lui mi permette di vivere pienamente.
È un cammino complicato perché sono chiamato a mettermi “in disparte”, ad uscire dalla confusione di tutti i giorni, dove l’abitudine del quotidiano mi impedisce di riflettere e pensare alle scelte che devo compiere; solo nel silenzio posso fare l’esperienza di Dio.
Sarà un cammino complicato ma sappiamo che non saremo soli perché Gesù su quel monte vuole intorno a sé una piccola comunità di discepoli; infatti se la fede e l’incontro con Dio è esperienza assolutamente personale non è mai una esperienza privata ma sempre comunitaria: è, infatti la comunità, la Chiesa, il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché nell’esperienza dell’amore fraterno scopro non solo una efficace palestra di vita, ma anche l’aiuto per camminare lungo i sentieri della vita.
L’esperienza di Dio rimane inenarrabile e le parole di Marco rimangono impotenti e non ci resta che urlare con Pietro, Giacomo e Giovanni la nostra gioia: “è bello per noi essere qui!”; eppure quante volte sono di scandalo alla fede i nostri volti segnati dalla tristezza. Troppe volte il nostro annuncio a ridotto Dio a Colui che dall’alto della sua onnipotenza, come giudice severo, attende il nostro peccato per colpire con la sua ira: questo non è il vangelo del Dio di Gesù Cristo! Il nostro Dio è Bello, è Luce, è Gioia Infinita, è semplicemente Amore!
“È bello per noi essere qui; facciamo tre capanne” e chi vuole più tornare a valle, fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo della gioia possibile; quante volte vogliamo fermare il mondo per vivere quei momenti magici, ma la felicità è come la vita se la conservi per te prima o poi svanirà mentre se saprai condividerla si moltiplicherà perché la gioia come l’amore non si divide, si moltiplica sempre!
Ecco perché possiamo, dobbiamo tornare a valle dove incontrare tanti fratelli e sorelle che ancora cercano la luce ed allora scendiamo dal monte, torniamo alla nostra vita quotidiana, conservando e custodendo in noi, come faceva Maria, quella luce forse solo intravista, che ha riscaldato anche solo per un istante il nostro cuore.
Torniamo alla nostra vita quotidiana con la voglia e l’impegno di diventare specchi in grado di riflettere quella sola luce di cui ogni donna ed ogni uomo sente davvero il bisogno, annunciando a tutti: “Questi (Gesù) è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo quel posto meraviglioso in cui vivere come in principio fu sognato da Dio!
Commento 28 febbraio 2021
Se in troppe occasioni la vita ci si mostra come un lungo, inevitabile deserto da attraversare, l’inizio della quaresima ci offre una sintesi meravigliosa del nostro pellegrinaggio dalla desolazione del deserto alla luce che brilla su un monte, dalla tentazione di cedere alle lusinghe del male alla trasfigurazione di Gesù e nostra per rivelare il volto di Dio impresso fin dalla creazione in ognuno di noi.
Dal deserto al Tabor, dalla domenica della fatica che ci minaccia, alla domenica della gioia che ci abita ed illumina la nostra vita. Troppo spesso la quaresima ci viene presentata come un tempo penitenziale, un tempo di sacrifici e fioretti per meritare il perdono e l’amore di Dio; “al contrario la quaresima è vita, è la nostra vita che la liturgia vuole racchiudere e celebrare in questi simbolici quaranta giorni; ecco perché occorre vivere questo periodo non come un momento mortificante, cioè per la morte, ma vivificante per ritrovare gli stimoli giusti per rendere la nostra vita qualcosa di meraviglioso: la trasfigurazione di quello che sembra un deserto di pietre in un monte di luce. Proprio nel particolare momento che stiamo vivendo alle prese con il CoVid 19, sono convinto della necessità di una trasfigurazione innanzitutto nostra e di conseguenza mondiale: dobbiamo tornare ad essere ciò che siamo donne e uomini di luce, donne e uomini luminosi”.
Ritrovo in queste mie parole scritte un anno fa una assoluta validità anche per oggi, una validità che diventa urgenza secondo le parole dello stesso Francesco nella sua ultima enciclica “Fratres omnes” perché da eventi, da crisi come queste non è possibile uscire come ne siamo entrati: saremo migliori o peggiori!
“Coraggio il deserto non vincerà!” (E. Ronchi), andiamo avanti! Attraversiamo questo deserto, i nostri deserti, vivendo nell’essenziale di ciò che solo davvero conta, per poi salire sul monte, dove possiamo levare il nostro sguardo alla luce di Dio.
Questa è la domenica del Tabor, è la domenica in cui possiamo incontrare la bellezza di Dio, è la domenica in cui siamo invitati a lasciare la mediocrità delle nostre pianure e dei nostri deserti per salire per accogliere la luce straordinaria di un Dio che è amore, di un Dio che ci ama da morire!
È già iniziata ed è irreversibile la mia metamorfosi (trasfigurazione) e dove oggi vedo soltanto il bruco del mio peccato, sono certo che sta già brillando la luce della farfalla che è in me in quanto figlio di Dio.
La classica introduzione liturgica alla lettura del vangelo “in quel tempo” se da un lato ci vuole riportare alla vita concreta di Gesù duemila anni fa in occasioni come questa ci impedisce di cogliere il senso di quanto stava accadendo perché con l’inizio del suo testo “sei giorni prima” (Mc 9,2), l’evangelista poneva questo racconto in un contesto assolutamente necessario per capirne il senso.
Sei giorni prima Pietro aveva riconosciuto Gesù come il Messia tanto atteso dal popolo. A questa importante testimonianza di fede Gesù rispose con l’annuncio della sua passione, morte e resurrezione e proprio in questo particolare momento va collocata l’episodio della trasfigurazione; infatti la via che ci propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede, momenti per fare esperienza di Dio. Quell’alto monte segna la vetta, il passo che divide il vangelo di Marco nelle sue due parti: una prima parte che ci racconta le opere meravigliose ed i segni del Cristo, in ebraico Messia, ed una seconda in cui si delineerà sempre più il volto misericordioso del Figlio di Dio venuto tra noi e fattosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2).
Certo devo percorrere il mio cammino, forse un cammino complicato perché a volte la meta da raggiunge, un alto monte, appare molto ardua, ma abbandonare la pianura delle cose facili, delle scelte scontate, delle situazioni e delle persone che mi aggradano è necessario per lasciarmi condurre nella logica di Dio perché solo così posso guardare ciò che mi circonda con quell’infinito amore che solo Lui mi permette di vivere pienamente.
È un cammino complicato perché sono chiamato a mettermi “in disparte”, ad uscire dalla confusione di tutti i giorni, dove l’abitudine del quotidiano mi impedisce di riflettere e pensare alle scelte che devo compiere; solo in quel silenzio posso fare quell’esperienza assolutamente personale, che è l’esperienza di Dio.
In disparte ma non da soli: Gesù su quel monte vuole intorno a sé una piccola comunità di discepoli perché se la fede e l’incontro con Dio è esperienza assolutamente personale non è mai una esperienza privata ma sempre comunitaria: è, infatti la comunità, la Chiesa, il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché nell’esperienza dell’amore fraterno scopro non solo una efficace palestra di vita, ma anche l’aiuto per camminare lungo i sentieri della vita.
L’esperienza di Dio rimane inenarrabile e le parole di Marco rimangono impotenti e non ci resta che urlare con Pietro, Giacomo e Giovanni la nostra gioia: “è bello per noi essere qui!”; eppure quante volte sono di scandalo alla fede i nostri volti segnati dalla tristezza. Troppe volte il nostro annuncio a ridotto Dio a Colui che dall’alto della sua onnipotenza, come giudice severo, attende il nostro peccato per colpire con la sua ira: questo non è il vangelo del Dio di Gesù Cristo! Il nostro Dio è Bello, è Luce, è Gioia Infinita, è semplicemente Amore!
“È bello per noi essere qui; facciamo tre capanne” e chi ne ha voglia più di tornare a valle, fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo della gioia possibile; quante volte vogliamo fermare il mondo per vivere quei momenti magici, ma la felicità è come la vita se la conservi per te prima o poi svanirà mentre se saprai condividerla si moltiplicherà ecco perché possiamo, dobbiamo tornare a valle dove tanti fratelli e sorelle che ancora forse cercano la luce.
Scendiamo dal monte, torniamo alla nostra vita quotidiana, conservando e custodendo in noi come faceva Maria anche se non la comprendiamo pienamente quella luce forse solo intravista, che ha riscaldato anche solo per un istante il nostro cuore.
Torniamo alla nostra vita quotidiana con la voglia e l’impegno di diventare specchi in grado di riflettere quella sola luce di cui ogni donna ed ogni uomo sente davvero il bisogno, annunciando a tutti: “Questi (Gesù) è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo quel posto meraviglioso in cui vivere come in principio fu sognato da Dio!
Dal deserto al Tabor, dalla domenica della fatica che ci minaccia, alla domenica della gioia che ci abita ed illumina la nostra vita. Troppo spesso la quaresima ci viene presentata come un tempo penitenziale, un tempo di sacrifici e fioretti per meritare il perdono e l’amore di Dio; “al contrario la quaresima è vita, è la nostra vita che la liturgia vuole racchiudere e celebrare in questi simbolici quaranta giorni; ecco perché occorre vivere questo periodo non come un momento mortificante, cioè per la morte, ma vivificante per ritrovare gli stimoli giusti per rendere la nostra vita qualcosa di meraviglioso: la trasfigurazione di quello che sembra un deserto di pietre in un monte di luce. Proprio nel particolare momento che stiamo vivendo alle prese con il CoVid 19, sono convinto della necessità di una trasfigurazione innanzitutto nostra e di conseguenza mondiale: dobbiamo tornare ad essere ciò che siamo donne e uomini di luce, donne e uomini luminosi”.
Ritrovo in queste mie parole scritte un anno fa una assoluta validità anche per oggi, una validità che diventa urgenza secondo le parole dello stesso Francesco nella sua ultima enciclica “Fratres omnes” perché da eventi, da crisi come queste non è possibile uscire come ne siamo entrati: saremo migliori o peggiori!
“Coraggio il deserto non vincerà!” (E. Ronchi), andiamo avanti! Attraversiamo questo deserto, i nostri deserti, vivendo nell’essenziale di ciò che solo davvero conta, per poi salire sul monte, dove possiamo levare il nostro sguardo alla luce di Dio.
Questa è la domenica del Tabor, è la domenica in cui possiamo incontrare la bellezza di Dio, è la domenica in cui siamo invitati a lasciare la mediocrità delle nostre pianure e dei nostri deserti per salire per accogliere la luce straordinaria di un Dio che è amore, di un Dio che ci ama da morire!
È già iniziata ed è irreversibile la mia metamorfosi (trasfigurazione) e dove oggi vedo soltanto il bruco del mio peccato, sono certo che sta già brillando la luce della farfalla che è in me in quanto figlio di Dio.
La classica introduzione liturgica alla lettura del vangelo “in quel tempo” se da un lato ci vuole riportare alla vita concreta di Gesù duemila anni fa in occasioni come questa ci impedisce di cogliere il senso di quanto stava accadendo perché con l’inizio del suo testo “sei giorni prima” (Mc 9,2), l’evangelista poneva questo racconto in un contesto assolutamente necessario per capirne il senso.
Sei giorni prima Pietro aveva riconosciuto Gesù come il Messia tanto atteso dal popolo. A questa importante testimonianza di fede Gesù rispose con l’annuncio della sua passione, morte e resurrezione e proprio in questo particolare momento va collocata l’episodio della trasfigurazione; infatti la via che ci propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede, momenti per fare esperienza di Dio. Quell’alto monte segna la vetta, il passo che divide il vangelo di Marco nelle sue due parti: una prima parte che ci racconta le opere meravigliose ed i segni del Cristo, in ebraico Messia, ed una seconda in cui si delineerà sempre più il volto misericordioso del Figlio di Dio venuto tra noi e fattosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2).
Certo devo percorrere il mio cammino, forse un cammino complicato perché a volte la meta da raggiunge, un alto monte, appare molto ardua, ma abbandonare la pianura delle cose facili, delle scelte scontate, delle situazioni e delle persone che mi aggradano è necessario per lasciarmi condurre nella logica di Dio perché solo così posso guardare ciò che mi circonda con quell’infinito amore che solo Lui mi permette di vivere pienamente.
È un cammino complicato perché sono chiamato a mettermi “in disparte”, ad uscire dalla confusione di tutti i giorni, dove l’abitudine del quotidiano mi impedisce di riflettere e pensare alle scelte che devo compiere; solo in quel silenzio posso fare quell’esperienza assolutamente personale, che è l’esperienza di Dio.
In disparte ma non da soli: Gesù su quel monte vuole intorno a sé una piccola comunità di discepoli perché se la fede e l’incontro con Dio è esperienza assolutamente personale non è mai una esperienza privata ma sempre comunitaria: è, infatti la comunità, la Chiesa, il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché nell’esperienza dell’amore fraterno scopro non solo una efficace palestra di vita, ma anche l’aiuto per camminare lungo i sentieri della vita.
L’esperienza di Dio rimane inenarrabile e le parole di Marco rimangono impotenti e non ci resta che urlare con Pietro, Giacomo e Giovanni la nostra gioia: “è bello per noi essere qui!”; eppure quante volte sono di scandalo alla fede i nostri volti segnati dalla tristezza. Troppe volte il nostro annuncio a ridotto Dio a Colui che dall’alto della sua onnipotenza, come giudice severo, attende il nostro peccato per colpire con la sua ira: questo non è il vangelo del Dio di Gesù Cristo! Il nostro Dio è Bello, è Luce, è Gioia Infinita, è semplicemente Amore!
“È bello per noi essere qui; facciamo tre capanne” e chi ne ha voglia più di tornare a valle, fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo della gioia possibile; quante volte vogliamo fermare il mondo per vivere quei momenti magici, ma la felicità è come la vita se la conservi per te prima o poi svanirà mentre se saprai condividerla si moltiplicherà ecco perché possiamo, dobbiamo tornare a valle dove tanti fratelli e sorelle che ancora forse cercano la luce.
Scendiamo dal monte, torniamo alla nostra vita quotidiana, conservando e custodendo in noi come faceva Maria anche se non la comprendiamo pienamente quella luce forse solo intravista, che ha riscaldato anche solo per un istante il nostro cuore.
Torniamo alla nostra vita quotidiana con la voglia e l’impegno di diventare specchi in grado di riflettere quella sola luce di cui ogni donna ed ogni uomo sente davvero il bisogno, annunciando a tutti: “Questi (Gesù) è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo quel posto meraviglioso in cui vivere come in principio fu sognato da Dio!
Commento 25 febbraio 2018
Dalla desolazione del deserto alla luce che brilla su un monte, dalla tentazione di cedere alle lusinghe del male alla trasfigurazione di Gesù e nostra per rivelare il volto di Dio impresso fin dalla creazione in ognuno di noi: questa è la sintesi del nostro percorso spirituale. In questo percorso sentiamo il bisogno di avere momenti di luce, momenti capaci di illuminare la nostra strada, momenti in cui facciamo esperienza di Dio.
La trasfigurazione di Gesù va collocata nell’ambito dell’annuncio della sua passione; infatti la via che ci propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede, momenti per fare esperienza di Dio. Per vivere in pienezza questi momenti il vangelo ci suggerisce alcune modalità:
1) “su un alto monte”: il monte nella mentalità ebraica rappresentava il mondo di Dio, allora salire sul monte va ad indicare l’impegno dell’uomo a superare ogni logica umana, dove ciò che conta è solo l’interesse personale, per entrare nella logica di Dio e vivere secondo il suo progetto.
2) “in disparte, loro soli”: ognuno di noi è chiamato a fare esperienza di Dio, ma tale esperienza è assolutamente personale. Se si è distolti da tante altre voci, non si può fare esperienza di Dio e comprendere appieno la sua proposta.
L’esperienza della luce di Dio ovvero vivere nel suo amore ci invita a diventare noi stessi luce per i fratelli. Una volta incendiati da quell’immenso amore, non possiamo fermare il tempo, costruire le nostre tende, ma siamo chiamati a tornare tra gli uomini, ricordandoci quel primo comandamento di Dio: Shemà (ascolta)!
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo il posto più stupendo in cui vivere.
La trasfigurazione di Gesù va collocata nell’ambito dell’annuncio della sua passione; infatti la via che ci propone il Cristo non porta ad umani trionfi ma al dono supremo della vita in nome dell’amore e Gesù sa benissimo che per affrontare tutto questo è necessario avere momenti nei quali rinforzare la nostra fede, momenti per fare esperienza di Dio. Per vivere in pienezza questi momenti il vangelo ci suggerisce alcune modalità:
1) “su un alto monte”: il monte nella mentalità ebraica rappresentava il mondo di Dio, allora salire sul monte va ad indicare l’impegno dell’uomo a superare ogni logica umana, dove ciò che conta è solo l’interesse personale, per entrare nella logica di Dio e vivere secondo il suo progetto.
2) “in disparte, loro soli”: ognuno di noi è chiamato a fare esperienza di Dio, ma tale esperienza è assolutamente personale. Se si è distolti da tante altre voci, non si può fare esperienza di Dio e comprendere appieno la sua proposta.
L’esperienza della luce di Dio ovvero vivere nel suo amore ci invita a diventare noi stessi luce per i fratelli. Una volta incendiati da quell’immenso amore, non possiamo fermare il tempo, costruire le nostre tende, ma siamo chiamati a tornare tra gli uomini, ricordandoci quel primo comandamento di Dio: Shemà (ascolta)!
Ascoltare Gesù significa accogliere la sua proposta di vita, una vita che si offre totalmente per amore; il nostro Dio si è lasciato crocifiggere e dall’alto di quella croce eternamente abbraccia ogni sua creatura: è in questo incredibile gesto d’amore che Dio si rivela a ciascuno di noi.
In questa domenica siamo quindi invitati a trasfigurare le nostre vite, le nostre scelte, i nostri valori per trasformare con l’amore il mondo, rendendolo il posto più stupendo in cui vivere.