VI Domenica T.O. Anno B
Vangelo Mc 1, 40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Commento 11 febbraio 2024
Nel primo capitolo del vangelo di Marco, di cui oggi completiamo la lettura, Gesù compie tre segni: liberando prima l’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, guarendo poi la suocera di Pietro bloccata a letto dalla febbre ed ora sanando un lebbroso.
La malattia di Hansen, ancora oggi nonostante la scienza ci abbia rassicurato sulla possibilità di cura, provoca al solo parlarne un senso di difficoltà, direi quasi di ribrezzo, forse perché questa malattia deturpa, sfigura le persone rendendole ripugnanti alla vista. Ora proprio per questo motivo nei tempi antichi, ma forse anche oggi, la lebbra non era solo una malattia della povertà e della poca igiene, ma diventava una malattia sociale perché escludeva completamente chi ne era colpito dai rapporti con gli altri: il lebbroso era abbandonato prima dai familiari e dagli amici ed infine era condannato a vivere da solo o in compagnia di altri lebbrosi. La lebbra era ritenuta l’immagine del peccato e della morte; insomma era comune l’idea di una impurità che i lebbrosi trasmettevano, non solo a livello sociale e sanitario, ma anche religioso e spirituale. L’Antico Testamento vi dedicava parole durissime: nel Levitico il lebbroso era dichiarato impuro (Lv 13) e in Numeri egli veniva assimilato a un uomo a cui il padre aveva sputato in faccia (Cfr. Nm 12,14 lo sputare è il massimo gesto di disprezzo di un ebreo nei confronti di un’altra persona).
Il protagonista del vangelo di oggi è un malato di lebbra, un uomo disperato che ha perso tutto: famiglia, casa, lavoro, amici, abbracci, dignità e perfino Dio. Proprio così, al lebbroso era negata la possibilità di incontrare Dio, che quella teologia blasfema descriveva come il Santo, Colui che potevi incontrare solo se eri perfettamente puro.
Sapendo tutto questo, si coglie meglio il coraggio di quest’uomo, che sfidando la Legge che gli vietava di avvicinarsi alle persone, si inginocchia di fronte a Gesù, non per ottenere la guarigione, ma chiedendo di essere purificato; infatti ciò che gli premeva non era tanto la salute fisica, quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso e forse, ancor di più, riprendere il suo rapporto con Dio.
La fede di quell’uomo era piena di contraddizioni, vacillava tra l’affidarsi a quel maestro nuovo che mostrava un volto diverso di Dio e la tradizione ebraica: egli appariva ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina, ma non è forse così ancora oggi?
Nonostante nello stesso Antico Testamento troviamo la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, quante persone sono ancora imprigionate in questa visione blasfema di un Dio presentato come Colui che punisce con malattie e disavventure chi sbaglia e cade nel peccato? Quanti cristiani nonostante abbiano conosciuto il Vangelo di Gesù, continuano a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio?
“Invidio chi ha la fede, ma io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”: sono parole di Rita Levi Montalcini che ci interrogano poiché temo siano molti coloro che si allontanano dalla fede perché scandalizzati da chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile.
Di fronte a Gesù che non scappa, non si scansa, non lo manda via, ma sta in piedi davanti a lui e lo ascolta, il lebbroso nella sua estrema disperazione quasi sussurra parole stupende: “Se vuoi, puoi purificarmi!”
L’uomo malato di lebbra chiede a Gesù che cosa voglia veramente Dio: se sia proprio Dio a volere la lebbra, la recente pandemia, la malattia, le guerre, la fame, la povertà, la morte.
Sono parole che colpiscono al cuore Gesù e il testo dice che Gesù fu mosso a compassione, ma a proposito di questo versetto vi è un problema testuale: secondo una diversa versione il verbo greco utilizzato dall’evangelista sarebbe diverso e significherebbe “indignarsi”, arrabbiarsi. Ora i biblisti ci insegnano che tra due versioni contrastanti dove ritroviamo una versione più semplice ed in linea con il nostro sentire ed una più complicata e difficile, sarebbe da preferirsi quella che più si allontana dal nostro sentire, poiché certamente sarebbe più probabile che la prima possa essere stata edulcorata da qualche monaco copista troppo zelante.
A questo punto occorre capire da dove nasca questo moto d’ira di Gesù: egli non si arrabbia con il lebbroso, ma con quella certa tradizione religiosa che aveva inculcato nel cuore di quest’uomo questa immagine eretica di Dio.
Gesù, stende la sua mano e tocca il lebbroso, tocca colui che nessuno poteva toccare, contro ogni legge e ogni prudenza e con una carezza prima ancora che con le parole compie il miracolo, mostrando a tutti il vero volto di Dio: un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora un altro miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori. Qualche lacrima scende dai miei occhi perché quelle stesse parole mi vengono rivolte ogni giorno da Dio e risuonano più forte quando maggiore è in me la fatica del vivere.
Gesù ammonisce severamente l’uomo perché non divulghi la notizia della sua guarigione: che bello il nostro Dio non è un influencer, non vive di marketing, non mette il suo post su facebook per avere dei like; è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Ma il lebbroso stavolta non segue ciò che quell’uomo che lo ha salvato gli ha detto: ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo, proprio perché ha fatto esperienza del vero volto di Dio, diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto perché la sua immagine in me è deturpata dal mio peccato; Dio mi ama perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!
La malattia di Hansen, ancora oggi nonostante la scienza ci abbia rassicurato sulla possibilità di cura, provoca al solo parlarne un senso di difficoltà, direi quasi di ribrezzo, forse perché questa malattia deturpa, sfigura le persone rendendole ripugnanti alla vista. Ora proprio per questo motivo nei tempi antichi, ma forse anche oggi, la lebbra non era solo una malattia della povertà e della poca igiene, ma diventava una malattia sociale perché escludeva completamente chi ne era colpito dai rapporti con gli altri: il lebbroso era abbandonato prima dai familiari e dagli amici ed infine era condannato a vivere da solo o in compagnia di altri lebbrosi. La lebbra era ritenuta l’immagine del peccato e della morte; insomma era comune l’idea di una impurità che i lebbrosi trasmettevano, non solo a livello sociale e sanitario, ma anche religioso e spirituale. L’Antico Testamento vi dedicava parole durissime: nel Levitico il lebbroso era dichiarato impuro (Lv 13) e in Numeri egli veniva assimilato a un uomo a cui il padre aveva sputato in faccia (Cfr. Nm 12,14 lo sputare è il massimo gesto di disprezzo di un ebreo nei confronti di un’altra persona).
Il protagonista del vangelo di oggi è un malato di lebbra, un uomo disperato che ha perso tutto: famiglia, casa, lavoro, amici, abbracci, dignità e perfino Dio. Proprio così, al lebbroso era negata la possibilità di incontrare Dio, che quella teologia blasfema descriveva come il Santo, Colui che potevi incontrare solo se eri perfettamente puro.
Sapendo tutto questo, si coglie meglio il coraggio di quest’uomo, che sfidando la Legge che gli vietava di avvicinarsi alle persone, si inginocchia di fronte a Gesù, non per ottenere la guarigione, ma chiedendo di essere purificato; infatti ciò che gli premeva non era tanto la salute fisica, quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso e forse, ancor di più, riprendere il suo rapporto con Dio.
La fede di quell’uomo era piena di contraddizioni, vacillava tra l’affidarsi a quel maestro nuovo che mostrava un volto diverso di Dio e la tradizione ebraica: egli appariva ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina, ma non è forse così ancora oggi?
Nonostante nello stesso Antico Testamento troviamo la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, quante persone sono ancora imprigionate in questa visione blasfema di un Dio presentato come Colui che punisce con malattie e disavventure chi sbaglia e cade nel peccato? Quanti cristiani nonostante abbiano conosciuto il Vangelo di Gesù, continuano a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio?
“Invidio chi ha la fede, ma io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”: sono parole di Rita Levi Montalcini che ci interrogano poiché temo siano molti coloro che si allontanano dalla fede perché scandalizzati da chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile.
Di fronte a Gesù che non scappa, non si scansa, non lo manda via, ma sta in piedi davanti a lui e lo ascolta, il lebbroso nella sua estrema disperazione quasi sussurra parole stupende: “Se vuoi, puoi purificarmi!”
L’uomo malato di lebbra chiede a Gesù che cosa voglia veramente Dio: se sia proprio Dio a volere la lebbra, la recente pandemia, la malattia, le guerre, la fame, la povertà, la morte.
Sono parole che colpiscono al cuore Gesù e il testo dice che Gesù fu mosso a compassione, ma a proposito di questo versetto vi è un problema testuale: secondo una diversa versione il verbo greco utilizzato dall’evangelista sarebbe diverso e significherebbe “indignarsi”, arrabbiarsi. Ora i biblisti ci insegnano che tra due versioni contrastanti dove ritroviamo una versione più semplice ed in linea con il nostro sentire ed una più complicata e difficile, sarebbe da preferirsi quella che più si allontana dal nostro sentire, poiché certamente sarebbe più probabile che la prima possa essere stata edulcorata da qualche monaco copista troppo zelante.
A questo punto occorre capire da dove nasca questo moto d’ira di Gesù: egli non si arrabbia con il lebbroso, ma con quella certa tradizione religiosa che aveva inculcato nel cuore di quest’uomo questa immagine eretica di Dio.
Gesù, stende la sua mano e tocca il lebbroso, tocca colui che nessuno poteva toccare, contro ogni legge e ogni prudenza e con una carezza prima ancora che con le parole compie il miracolo, mostrando a tutti il vero volto di Dio: un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora un altro miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori. Qualche lacrima scende dai miei occhi perché quelle stesse parole mi vengono rivolte ogni giorno da Dio e risuonano più forte quando maggiore è in me la fatica del vivere.
Gesù ammonisce severamente l’uomo perché non divulghi la notizia della sua guarigione: che bello il nostro Dio non è un influencer, non vive di marketing, non mette il suo post su facebook per avere dei like; è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Ma il lebbroso stavolta non segue ciò che quell’uomo che lo ha salvato gli ha detto: ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo, proprio perché ha fatto esperienza del vero volto di Dio, diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto perché la sua immagine in me è deturpata dal mio peccato; Dio mi ama perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!
Commento 14 febbraio 2021
Al termine di questo primo periodo del Tempo Ordinario, prima di prepararci con la quaresima al grande mistero di un Dio che ama “da morire” l’umanità, concludiamo oggi la lettura del primo capitolo del vangelo di Marco con un terzo racconto di guarigione: prima un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, poi la suocera di Pietro bloccata a letto dalla febbre ed ora un lebbroso.
Ancora oggi, nonostante la scienza ci abbia rassicurato sulla possibilità di guarire da questa malattia, il solo parlarne ci provoca un senso di difficoltà, direi quasi di ribrezzo, perché questa malattia deturpa, sfigura le persone rendendole ripugnanti alla vista. In questo modo nei tempi antichi, ma forse anche oggi, non era solo una malattia della povertà e della poca igiene, ma diventava una malattia sociale perché escludeva completamente chi ne era colpito dai rapporti con gli altri: il lebbroso era abbandonato prima dai familiari e dagli amici ed infine era condannato a vivere da solo o in compagnia di altri lebbrosi. Addirittura nel Levitico il lebbroso era dichiarato impuro (Lv 13) e in Numeri egli veniva assimilato a un uomo a cui il padre aveva sputato in faccia (Cfr. Nm 12,14 lo sputare è il massimo gesto di disprezzo di un ebreo nei confronti di un’altra persona) e in questo senso la lebbra era ritenuta l’immagine del peccato e della morte; insomma era comune l’idea di una impurità che i lebbrosi trasmettevano, non solo a livello sociale e sanitario, ma anche religioso e spirituale.
Il protagonista di oggi è un malato di lebbra, un uomo disperato che ha perso tutto: famiglia, casa, lavoro, amici, abbracci, dignità e perfino Dio in quella teologia blasfema che lo descriveva come il Santo, Colui che non potevi incontrare se non eri perfettamente puro; infatti, quell'uomo che si stava decomponendo da vivo, per la società era un peccatore, rifiutato da Dio e dagli uomini.
Forse si coglie meglio così il coraggio di quest’uomo, che sfidando la Legge che gli vietava di avvicinarsi alle persone, si inginocchia di fronte a Gesù, non per chiedere la guarigione, ma di essere purificato; infatti ciò che gli premeva, che gli interessava non era tanto la salute fisica, quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso e forse, in quella sua fede ancora piena di contraddizioni, riprendere il suo rapporto con Dio.
Sì, la sua fede vacillava tra l’affidarsi a quel maestro nuovo che mostrava un volto diverso di Dio e la tradizione ebraica. Quell’uomo appariva ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina, ma domandiamoci ancora oggi, nonostante nello stesso Antico Testamento troviamo la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, quante persone sono ancora imprigionate in questa visione blasfema di un Dio presentato come Colui che punisce chi sbaglia e cade nel peccato, quanti cristiani nonostante abbiano conosciuto il Vangelo di Gesù, continuano a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio; domandiamoci allora se l’allontanamento di uomini e donne, in particolare giovani, dalla fede non sia colpa di chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile. Disse Rita Levi Montalcini: “Invidio chi ha la fede. Io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”.
Di fronte a Gesù che non scappa, non si scansa, non lo manda via, ma sta in piedi davanti a lui e lo ascolta, il lebbroso nella sua estrema disperazione quasi sussurra parole stupende: “Se vuoi, puoi purificarmi!
L’uomo malato di lebbra chiede a Gesù che cosa voglia veramente Dio: è lui che vuole la lebbra, la malattia, il Corona virus e la pandemia?
Sono parole che colpiscono al cuore Gesù e il testo dice che Gesù fu mosso a compassione, ma a proposito di questo versetto vi è un problema testuale perché pare che questo non sia stato il verbo realmente usato dall’evangelista Marco perché in una seconda versione si trova il verbo greco che significava “indignarsi” ed arrabbiarsi. Ora i biblisti ci insegnano che tra due versioni contrastanti è da preferirsi quella più complicata e difficile pensando che la prima possa essere stata edulcorata da qualche monaco copista troppo zelante. Occorre allora capire da dove nasca questo moto d’ira di Gesù che non si arrabbia con il lebbroso che aveva bisogno del suo aiuto, ma con quella certa tradizione religiosa che aveva inculcato nel cuore di quest’uomo questa immagine eretica di Dio.
Gesù, stende la sua mano e tocca il lebbroso, tocca colui che nessuno poteva toccare, contro ogni legge e ogni prudenza e con una carezza prima ancora che con le parole compie il miracolo, mostrando a tutti il vero volto di Dio: un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora un altro miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori.
Gesù ammonisce severamente l’uomo perché non divulghi la notizia della sua guarigione: che bello il nostro Dio che non vive di marketing, che non mette il suo post su facebook per avere dei like. Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dagli effetti speciali, è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Il finale ci presenta il lebbroso, che non sembra obbedire al comando di Gesù: quell’uomo ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante che aveva di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo dopo aver fatto esperienza del vero volto di Dio diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini e da Dio, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto e la sua immagine in me è deturpata dal mio peccato perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!
Ancora oggi, nonostante la scienza ci abbia rassicurato sulla possibilità di guarire da questa malattia, il solo parlarne ci provoca un senso di difficoltà, direi quasi di ribrezzo, perché questa malattia deturpa, sfigura le persone rendendole ripugnanti alla vista. In questo modo nei tempi antichi, ma forse anche oggi, non era solo una malattia della povertà e della poca igiene, ma diventava una malattia sociale perché escludeva completamente chi ne era colpito dai rapporti con gli altri: il lebbroso era abbandonato prima dai familiari e dagli amici ed infine era condannato a vivere da solo o in compagnia di altri lebbrosi. Addirittura nel Levitico il lebbroso era dichiarato impuro (Lv 13) e in Numeri egli veniva assimilato a un uomo a cui il padre aveva sputato in faccia (Cfr. Nm 12,14 lo sputare è il massimo gesto di disprezzo di un ebreo nei confronti di un’altra persona) e in questo senso la lebbra era ritenuta l’immagine del peccato e della morte; insomma era comune l’idea di una impurità che i lebbrosi trasmettevano, non solo a livello sociale e sanitario, ma anche religioso e spirituale.
Il protagonista di oggi è un malato di lebbra, un uomo disperato che ha perso tutto: famiglia, casa, lavoro, amici, abbracci, dignità e perfino Dio in quella teologia blasfema che lo descriveva come il Santo, Colui che non potevi incontrare se non eri perfettamente puro; infatti, quell'uomo che si stava decomponendo da vivo, per la società era un peccatore, rifiutato da Dio e dagli uomini.
Forse si coglie meglio così il coraggio di quest’uomo, che sfidando la Legge che gli vietava di avvicinarsi alle persone, si inginocchia di fronte a Gesù, non per chiedere la guarigione, ma di essere purificato; infatti ciò che gli premeva, che gli interessava non era tanto la salute fisica, quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso e forse, in quella sua fede ancora piena di contraddizioni, riprendere il suo rapporto con Dio.
Sì, la sua fede vacillava tra l’affidarsi a quel maestro nuovo che mostrava un volto diverso di Dio e la tradizione ebraica. Quell’uomo appariva ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina, ma domandiamoci ancora oggi, nonostante nello stesso Antico Testamento troviamo la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, quante persone sono ancora imprigionate in questa visione blasfema di un Dio presentato come Colui che punisce chi sbaglia e cade nel peccato, quanti cristiani nonostante abbiano conosciuto il Vangelo di Gesù, continuano a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio; domandiamoci allora se l’allontanamento di uomini e donne, in particolare giovani, dalla fede non sia colpa di chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile. Disse Rita Levi Montalcini: “Invidio chi ha la fede. Io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”.
Di fronte a Gesù che non scappa, non si scansa, non lo manda via, ma sta in piedi davanti a lui e lo ascolta, il lebbroso nella sua estrema disperazione quasi sussurra parole stupende: “Se vuoi, puoi purificarmi!
L’uomo malato di lebbra chiede a Gesù che cosa voglia veramente Dio: è lui che vuole la lebbra, la malattia, il Corona virus e la pandemia?
Sono parole che colpiscono al cuore Gesù e il testo dice che Gesù fu mosso a compassione, ma a proposito di questo versetto vi è un problema testuale perché pare che questo non sia stato il verbo realmente usato dall’evangelista Marco perché in una seconda versione si trova il verbo greco che significava “indignarsi” ed arrabbiarsi. Ora i biblisti ci insegnano che tra due versioni contrastanti è da preferirsi quella più complicata e difficile pensando che la prima possa essere stata edulcorata da qualche monaco copista troppo zelante. Occorre allora capire da dove nasca questo moto d’ira di Gesù che non si arrabbia con il lebbroso che aveva bisogno del suo aiuto, ma con quella certa tradizione religiosa che aveva inculcato nel cuore di quest’uomo questa immagine eretica di Dio.
Gesù, stende la sua mano e tocca il lebbroso, tocca colui che nessuno poteva toccare, contro ogni legge e ogni prudenza e con una carezza prima ancora che con le parole compie il miracolo, mostrando a tutti il vero volto di Dio: un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora un altro miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori.
Gesù ammonisce severamente l’uomo perché non divulghi la notizia della sua guarigione: che bello il nostro Dio che non vive di marketing, che non mette il suo post su facebook per avere dei like. Il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dagli effetti speciali, è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Il finale ci presenta il lebbroso, che non sembra obbedire al comando di Gesù: quell’uomo ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante che aveva di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo dopo aver fatto esperienza del vero volto di Dio diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini e da Dio, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto e la sua immagine in me è deturpata dal mio peccato perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!
Commento 11 febbraio 2018
Nel vangelo di oggi Gesù incontra un uomo malato di lebbra; credo sia necessario fare una riflessione su questa malattia che deturpava, sfigurava le persone rendendole ripugnanti alla vista; in tal modo la lebbra non era solo una malattia della povertà e della poca igiene, ma diventava una malattia sociale perché escludeva completamente chi ne era colpito dai rapporti con gli altri: il lebbroso era abbandonato prima dai familiari e dagli amici ed infine era condannato a vivere da solo o in compagnia di altri lebbrosi. Anche la Torah, la Legge, contribuiva a questi sentimenti di esclusione: nel Levitico il lebbroso era dichiarato impuro (Lv 13) e in Numeri egli veniva assimilato a un uomo a cui il padre aveva sputato in faccia (Cfr. Nm 12,14 lo sputare è il massimo gesto di disprezzo di un ebreo nei confronti di un’altra persona). Infine in Israele la lebbra da sempre era ritenuta l’immagine del peccato e della morte: era comune l’idea di una impurità che i lebbrosi trasmettevano, non solo a livello sociale e sanitario, ma anche religioso e spirituale.
Forse si coglie meglio così il senso della richiesta di quest’uomo che, inginocchiatosi di fronte a Gesù, non chiede la guarigione, ma di essere purificato; ciò che gli premeva, che gli interessava non era tanto la salute fisica quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso.
Quell’uomo era ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina; sì, nonostante la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, l’insegnamento dei maestri della fede, sacerdoti e rabbini, insisteva ancora nel presentare Dio come colui che punisce chi sbaglia e cade nel peccato.
Anche noi, forse, continuiamo a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio. Siano di monito a me e a chi si ritiene cristiano le parole di Rita Levi Montalcini: “Invidio chi ha la fede. Io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”. Forse l’allontanamento di uomini e donne, in particolare giovani, dalla fede è colpa di chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile.
Il vero volto di Dio è quello che ci mostra Gesù, che ha compassione del lebbroso, stende la sua mano, lo tocca: ecco il vero volto di Dio. Un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora il miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori.
Nella seconda parte di questo vangelo si ha un cambiamento di tono che sembra quasi incomprensibile e Gesù ammonisce severamente il lebbroso perché non divulghi ciò che gli era accaduto. Se fossi stato io l’autore di un tale miracolo, avrei quantomeno organizzato una conferenza stampa, provate ad immaginare quale pubblicità! Ma il nostro Dio non vive di marketing, non mette il suo post su facebook per avere dei like, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dagli effetti speciali, è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Il finale ci presenta il lebbroso, che non sembra obbedire al comando di Gesù, ma il versetto merita una traduzione che rispetti meglio il testo greco: “Egli uscito fuori, cominciò a proclamare e a divulgare la parola, il messaggio”.
Ecco allora la conclusione: quell’uomo ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante che aveva di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo dopo aver fatto esperienza del vero volto di Dio diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini e da Dio, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto chiuso nel mio peccato perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!
Forse si coglie meglio così il senso della richiesta di quest’uomo che, inginocchiatosi di fronte a Gesù, non chiede la guarigione, ma di essere purificato; ciò che gli premeva, che gli interessava non era tanto la salute fisica quanto la possibilità di rientrare a pieno titolo in quella società che lo aveva escluso.
Quell’uomo era ancora chiuso in quella mentalità dominante che vedeva nella malattia una punizione divina; sì, nonostante la grande riflessione di Giobbe sul limite e la sofferenza umana, l’insegnamento dei maestri della fede, sacerdoti e rabbini, insisteva ancora nel presentare Dio come colui che punisce chi sbaglia e cade nel peccato.
Anche noi, forse, continuiamo a vivere pensando a un Dio che ama il bello e il buono ed esclude il brutto e cattivo, mostrando così un volto assolutamente deturpato di Dio. Siano di monito a me e a chi si ritiene cristiano le parole di Rita Levi Montalcini: “Invidio chi ha la fede. Io non credo in Dio. Non posso credere in un Dio che ci premia e ci punisce, in un Dio che ci vuole tenere nelle sue mani”. Forse l’allontanamento di uomini e donne, in particolare giovani, dalla fede è colpa di chi con la propria parola e con la propria vita presenta un volto di Dio orribile e perciò inavvicinabile.
Il vero volto di Dio è quello che ci mostra Gesù, che ha compassione del lebbroso, stende la sua mano, lo tocca: ecco il vero volto di Dio. Un Dio che non cessa di amare ogni sua creatura, un Dio che non smette di sperare, di credere nella conversione dei nostri cuori ostinati, un Dio che alla domanda provocatoria di chi gli chiede se ha voglia di guarirlo, purificarlo, perdonarlo, risponde immediatamente: “certo, lo voglio, sei perdonato!”. Ora il miracolo può compiersi, perché Dio vuole, la nostra purificazione, desidera che finalmente siamo guariti dalla lebbra che intorpidisce i nostri cuori.
Nella seconda parte di questo vangelo si ha un cambiamento di tono che sembra quasi incomprensibile e Gesù ammonisce severamente il lebbroso perché non divulghi ciò che gli era accaduto. Se fossi stato io l’autore di un tale miracolo, avrei quantomeno organizzato una conferenza stampa, provate ad immaginare quale pubblicità! Ma il nostro Dio non vive di marketing, non mette il suo post su facebook per avere dei like, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio dagli effetti speciali, è un Dio che vive e vede nel segreto (Mt 6), che non impone la sua presenza, ma rispetta la libertà dell’uomo; è un Dio che si ferma alla porta dei nostri cuori, sta lì e bussa, aspettando che il nostro cuore si apra al suo desiderio di entrare in comunione con noi (Ap 3,20).
Il finale ci presenta il lebbroso, che non sembra obbedire al comando di Gesù, ma il versetto merita una traduzione che rispetti meglio il testo greco: “Egli uscito fuori, cominciò a proclamare e a divulgare la parola, il messaggio”.
Ecco allora la conclusione: quell’uomo ormai uscito fuori e risanato dalla lebbra, da quella concezione distorta e fuorviante che aveva di Dio, non va per le strade annunciando il miracolo di cui era stato oggetto, ma proclamando a tutti il messaggio nuovo che ci svela il nuovo volto di Dio, non un Dio che discrimina gli uomini, ma che offre a tutti la sua misericordia. Quell’uomo dopo aver fatto esperienza del vero volto di Dio diventa il primo evangelizzatore, il primo missionario, il primo catechista; egli, che era stato escluso e rifiutato dagli uomini e da Dio, annuncia ora che Dio ama tutti di un amore infinito.
Ecco il Vangelo di oggi, la buona notizia che deve riempire di gioia i nostri cuori: Dio mi ama anche quando sono ancora brutto chiuso nel mio peccato perché sa che posso diventare bello e splendere della sua luce!