IV Domenica di Pasqua
Vangelo Gv 10, 27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Commento 8 maggio 2022
In questa quarta domenica del tempo di Pasqua ci viene proposta attraverso la lettura nei tre anni di Gv 10 la figura del Pastore bello, quello vero capace di curare e di dare la vita per le sue pecore; è la domenica nella quale siamo invitati a pregare per i nostri pastori, per le vocazioni al servizio della comunità non solo per i preti, ma anche per coloro che in qualche modo si adoperano nella pastorale: animatori, catechisti, educatori, portando il vangelo con la testimonianza nella vita che è la prima via dell’annuncio cristiano.
Il testo di oggi riprende gli ultimi versetti soffermandosi sul rapporto che lega il pastore con le sue pecore, un rapporto che appare contraddistinto da tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire.
Ascoltare è un verbo importante per la tradizione religiosa di Israele; per tre volte al giorno il pio israelita pregava con le parole di Dt 6, 4-5: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”.
Ascoltare non indica soltanto il sentire delle parole, ma implica un rapporto, significa dare fiducia a quella parola, sentirla risuonare nel cuore. Il nostro rapporto con Dio è contrassegnato dall’ascolto, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio lontano, non impone il suo volere dall’alto della sua imperturbabile perfezione, ma propone il suo messaggio: è una voce che parla al cuore per offrire risposte alle domande più profonde della vita e per invitare a vivere la nostra vita secondo una logica di amore e di dono.
Sta a noi in ogni momento della nostra vita discernere, distinguere nettamente e chiaramente la “Parola” dalle parole del mondo: le parole del mondo sono parole di morte perché chiudono il cuore dell’uomo nell’egoismo, parole che invocano violenza, creano guerra, portano offesa e pregiudizio al contrario la Parola di Dio è fonte di vita perché propone l’amore, il perdono, l’accoglienza, la gioia, la pace.
Conoscere è da leggere in senso biblico, dove indica la relazione, la comunione di vita; è il verbo che meglio di altri esprime il rapporto coniugale, intimo, anche fisico in quanto dono pieno e totale di sé all’altro, all’altra. Dio vive il suo rapporto con noi come un rapporto sponsale, di innamoramento e se da parte dell’umanità non mancano le infedeltà ciò che rimane certo è che Dio è follemente innamorato di ciascuno di noi. Non è possibile dirsi credenti in Cristo senza vivere in pienezza questo rapporto d’amore; ecco perché la celebrazione dell’eucaristia deve essere vissuta non come un obbligo per rispettare il comandamento, un impegno settimanale, ma come l’atteso appuntamento per celebrare una incredibile e meravigliosa storia d’amore!
Seguire il pastore perché ci fidiamo di lui, perché la sua proposta di vita è l’unica in grado di realizzare la nostra felicità; seguire il pastore è avere chiara la meta, essere coscienti che l’obiettivo è il dono totale della propria vita per amore, è quella croce da cui perennemente abbracciare l’umanità tutta intera. Seguire il pastore implica la scelta di non chiudere il nostro cuore all’altro, ma di aprire la nostra vita ai bisogni dell’altro, in particolare ai più poveri perché attraverso loro possiamo concretamente amare e servire il Signore (Mt 25, 31-46).
A questi tre verbi seguono tre promesse del pastore: io do loro la vita eterna, non andranno mai perdute, nessuno le rapirà dalla mia mano!
Do loro la vita eterna: qui non si parla della vita biologica, non si promette una vita dalla durata infinita e soprattutto non si tratta di un premio futuro; ciò che ci viene promesso e donato è la possibilità di condividere fin da oggi, la vita dell’Eterno, di Dio, quella che è fondata su ciò che conta, su ciò che non muore, “perché forte come la morte è l'amore” (Ct 8,6). È un dono che già oggi fiorisce in tutti coloro che accolgono la proposta di mondo nuovo di Gesù; è la vita di Dio che, seminata in me mi fa una creatura nuova, capace di realizzare “una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità” (E. Ronchi).
Ed ecco la seconda promessa: niente della mia vita, se sarà vissuta per amore andrà perduto: tutto sarà raccolto nelle forti mani di Dio!
Infine la promessa di essere eternamente amato da Dio e che nulla mi strapperà dalle Sue mani; scrive San Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35-39).
Aggrappiamoci teneramente a quelle mani, abbandoniamoci con fiducia alle mani di Dio, perché mai ci lasceranno cadere, mani nelle quali come innamorati cercare calore e conforto, mani forti che si sono lasciate forare per amore, mani da cui ogni giorno ricevere una carezza che dona coraggio, tenerezza e forza per andare incontro al Signore e ai fratelli!
Il testo di oggi riprende gli ultimi versetti soffermandosi sul rapporto che lega il pastore con le sue pecore, un rapporto che appare contraddistinto da tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire.
Ascoltare è un verbo importante per la tradizione religiosa di Israele; per tre volte al giorno il pio israelita pregava con le parole di Dt 6, 4-5: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”.
Ascoltare non indica soltanto il sentire delle parole, ma implica un rapporto, significa dare fiducia a quella parola, sentirla risuonare nel cuore. Il nostro rapporto con Dio è contrassegnato dall’ascolto, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio lontano, non impone il suo volere dall’alto della sua imperturbabile perfezione, ma propone il suo messaggio: è una voce che parla al cuore per offrire risposte alle domande più profonde della vita e per invitare a vivere la nostra vita secondo una logica di amore e di dono.
Sta a noi in ogni momento della nostra vita discernere, distinguere nettamente e chiaramente la “Parola” dalle parole del mondo: le parole del mondo sono parole di morte perché chiudono il cuore dell’uomo nell’egoismo, parole che invocano violenza, creano guerra, portano offesa e pregiudizio al contrario la Parola di Dio è fonte di vita perché propone l’amore, il perdono, l’accoglienza, la gioia, la pace.
Conoscere è da leggere in senso biblico, dove indica la relazione, la comunione di vita; è il verbo che meglio di altri esprime il rapporto coniugale, intimo, anche fisico in quanto dono pieno e totale di sé all’altro, all’altra. Dio vive il suo rapporto con noi come un rapporto sponsale, di innamoramento e se da parte dell’umanità non mancano le infedeltà ciò che rimane certo è che Dio è follemente innamorato di ciascuno di noi. Non è possibile dirsi credenti in Cristo senza vivere in pienezza questo rapporto d’amore; ecco perché la celebrazione dell’eucaristia deve essere vissuta non come un obbligo per rispettare il comandamento, un impegno settimanale, ma come l’atteso appuntamento per celebrare una incredibile e meravigliosa storia d’amore!
Seguire il pastore perché ci fidiamo di lui, perché la sua proposta di vita è l’unica in grado di realizzare la nostra felicità; seguire il pastore è avere chiara la meta, essere coscienti che l’obiettivo è il dono totale della propria vita per amore, è quella croce da cui perennemente abbracciare l’umanità tutta intera. Seguire il pastore implica la scelta di non chiudere il nostro cuore all’altro, ma di aprire la nostra vita ai bisogni dell’altro, in particolare ai più poveri perché attraverso loro possiamo concretamente amare e servire il Signore (Mt 25, 31-46).
A questi tre verbi seguono tre promesse del pastore: io do loro la vita eterna, non andranno mai perdute, nessuno le rapirà dalla mia mano!
Do loro la vita eterna: qui non si parla della vita biologica, non si promette una vita dalla durata infinita e soprattutto non si tratta di un premio futuro; ciò che ci viene promesso e donato è la possibilità di condividere fin da oggi, la vita dell’Eterno, di Dio, quella che è fondata su ciò che conta, su ciò che non muore, “perché forte come la morte è l'amore” (Ct 8,6). È un dono che già oggi fiorisce in tutti coloro che accolgono la proposta di mondo nuovo di Gesù; è la vita di Dio che, seminata in me mi fa una creatura nuova, capace di realizzare “una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità” (E. Ronchi).
Ed ecco la seconda promessa: niente della mia vita, se sarà vissuta per amore andrà perduto: tutto sarà raccolto nelle forti mani di Dio!
Infine la promessa di essere eternamente amato da Dio e che nulla mi strapperà dalle Sue mani; scrive San Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35-39).
Aggrappiamoci teneramente a quelle mani, abbandoniamoci con fiducia alle mani di Dio, perché mai ci lasceranno cadere, mani nelle quali come innamorati cercare calore e conforto, mani forti che si sono lasciate forare per amore, mani da cui ogni giorno ricevere una carezza che dona coraggio, tenerezza e forza per andare incontro al Signore e ai fratelli!
Commento 12 maggio 2019
Oggi, domenica del buon pastore è la giornata in cui siamo chiamati a pregare per i nostri pastori, per le vocazioni al servizio della comunità non solo per i preti, ma anche per coloro che in qualche modo si adoperano nella pastorale: animatori, catechisti, educatori, portando il vangelo con la testimonianza nella vita che è la prima via dell’annuncio cristiano.
In questa quarta domenica di Pasqua nel ciclo liturgico triennale si legge quasi completamente il capitolo 10 che Giovanni dedica al discorso del “Pastore bello” (questa sarebbe la traduzione migliore): il testo di oggi, gli ultimi tre versetti del capitolo, parla del rapporto che lega il pastore con le sue pecore, un rapporto che appare contraddistinto da tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire.
Ascoltare non indica soltanto il sentire delle parole, ma implica un rapporto, significa dare fiducia a quella parola, sentirla risuonare nel cuore. Il nostro rapporto con Dio è contrassegnato dall’ascolto, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio lontano, non impone il suo volere dall’alto della sua imperturbabile perfezione, ma propone il suo messaggio: è una voce che parla al cuore per offrire risposte alle domande più profonde della vita e per invitare a vivere la nostra vita secondo una logica di amore e di dono. Sta a noi in ogni momento della nostra vita distinguere nettamente e chiaramente la “Parola” dalle parole del mondo; la Parola di Dio è vita perché propone l’amore, le parole del mondo sono morte perché chiudono il cuore dell’uomo nell’egoismo e nell’interesse personale: “Prima gli ariani, prima gli italiani, prima i genovesi, prima io!”
Conoscere è da leggere in senso biblico, dove indica la relazione, la comunione di vita; è il verbo che meglio di altri esprime il rapporto coniugale, intimo, anche fisico in quanto dono pieno e totale di sé all’altro, all’altra. Dio vive il suo rapporto con noi come un rapporto sponsale, di innamoramento e se da parte dell’umanità non mancano le infedeltà ciò che rimane certo è che Dio è follemente innamorato di ciascuno. Non è possibile dirsi credenti in Cristo senza vivere in pienezza questo rapporto d’amore; ecco perché la celebrazione dell’eucaristia diventa non impegno settimanale, ma appuntamento per celebrare una incredibile e meravigliosa storia d’amore!
Seguire il pastore perché ci fidiamo di lui, perché la sua proposta di vita è davvero più umana, più bella, più completa ed in grado di realizzare la nostra felicità, seguire il pastore è avere chiara la meta; l’obiettivo è il dono totale della propria vita per amore, è quella croce da cui perennemente abbracciare l’umanità tutta intera. Seguire il pastore implica la scelta di non chiudere il nostro cuore all’altro, in particolare ai più poveri perché attraverso loro possiamo concretamente amare e servire il Signore (Mt 25, 31- 46).
Vi sono poi tre promesse del pastore: io do loro la vita eterna, non andranno mai perdute, nessuno le rapirà dalla mia mano!
Riguardo il dono della vita eterna, mi piacerebbe eliminare alcuni equivoci che impediscono di cogliere il vero significato di queste parole: qui non si parla della vita biologica, non si promette una vita dalla durata infinita, non si tratta di un premio futuro, ma ciò che ci viene dato è la possibilità di condividere fin da oggi, la vita di Dio, quella che è fondata su ciò che conta, su ciò che non muore. È un dono che già oggi fiorisce in tutti coloro che accolgono la proposta di mondo nuovo di Gesù; è la vita di Dio che, seminata in me mi fa una creatura nuova, capace di realizzare “una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità” (E. Ronchi).
Ecco la seconda promessa: niente della mia vita, se sarà vissuta per amore andrà perduto: tutto sarà raccolto nelle forti mani di Dio! Ed infine la promessa di essere eternamente amato da Dio e che nulla mi strapperà dalle sue mani; scrive San Paolo: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo?” (Rm 8,35-39)
Lasciamoci con questa stupenda immagine delle mani di Dio: mani alle quali aggrapparsi teneramente come bambini perché mai ci lasceranno cadere, mani nelle quali come innamorati cercare calore e conforto, mani forti che si sono lasciate forare per amore, mani da cui ogni giorno ricevere una carezza che dona coraggio, tenerezza e forza per andare incontro al Signore e ai fratelli!
In questa quarta domenica di Pasqua nel ciclo liturgico triennale si legge quasi completamente il capitolo 10 che Giovanni dedica al discorso del “Pastore bello” (questa sarebbe la traduzione migliore): il testo di oggi, gli ultimi tre versetti del capitolo, parla del rapporto che lega il pastore con le sue pecore, un rapporto che appare contraddistinto da tre verbi: ascoltare, conoscere, seguire.
Ascoltare non indica soltanto il sentire delle parole, ma implica un rapporto, significa dare fiducia a quella parola, sentirla risuonare nel cuore. Il nostro rapporto con Dio è contrassegnato dall’ascolto, il Dio di Gesù Cristo non è un Dio lontano, non impone il suo volere dall’alto della sua imperturbabile perfezione, ma propone il suo messaggio: è una voce che parla al cuore per offrire risposte alle domande più profonde della vita e per invitare a vivere la nostra vita secondo una logica di amore e di dono. Sta a noi in ogni momento della nostra vita distinguere nettamente e chiaramente la “Parola” dalle parole del mondo; la Parola di Dio è vita perché propone l’amore, le parole del mondo sono morte perché chiudono il cuore dell’uomo nell’egoismo e nell’interesse personale: “Prima gli ariani, prima gli italiani, prima i genovesi, prima io!”
Conoscere è da leggere in senso biblico, dove indica la relazione, la comunione di vita; è il verbo che meglio di altri esprime il rapporto coniugale, intimo, anche fisico in quanto dono pieno e totale di sé all’altro, all’altra. Dio vive il suo rapporto con noi come un rapporto sponsale, di innamoramento e se da parte dell’umanità non mancano le infedeltà ciò che rimane certo è che Dio è follemente innamorato di ciascuno. Non è possibile dirsi credenti in Cristo senza vivere in pienezza questo rapporto d’amore; ecco perché la celebrazione dell’eucaristia diventa non impegno settimanale, ma appuntamento per celebrare una incredibile e meravigliosa storia d’amore!
Seguire il pastore perché ci fidiamo di lui, perché la sua proposta di vita è davvero più umana, più bella, più completa ed in grado di realizzare la nostra felicità, seguire il pastore è avere chiara la meta; l’obiettivo è il dono totale della propria vita per amore, è quella croce da cui perennemente abbracciare l’umanità tutta intera. Seguire il pastore implica la scelta di non chiudere il nostro cuore all’altro, in particolare ai più poveri perché attraverso loro possiamo concretamente amare e servire il Signore (Mt 25, 31- 46).
Vi sono poi tre promesse del pastore: io do loro la vita eterna, non andranno mai perdute, nessuno le rapirà dalla mia mano!
Riguardo il dono della vita eterna, mi piacerebbe eliminare alcuni equivoci che impediscono di cogliere il vero significato di queste parole: qui non si parla della vita biologica, non si promette una vita dalla durata infinita, non si tratta di un premio futuro, ma ciò che ci viene dato è la possibilità di condividere fin da oggi, la vita di Dio, quella che è fondata su ciò che conta, su ciò che non muore. È un dono che già oggi fiorisce in tutti coloro che accolgono la proposta di mondo nuovo di Gesù; è la vita di Dio che, seminata in me mi fa una creatura nuova, capace di realizzare “una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l’eternità” (E. Ronchi).
Ecco la seconda promessa: niente della mia vita, se sarà vissuta per amore andrà perduto: tutto sarà raccolto nelle forti mani di Dio! Ed infine la promessa di essere eternamente amato da Dio e che nulla mi strapperà dalle sue mani; scrive San Paolo: “Chi ci separerà dall'amore di Cristo?” (Rm 8,35-39)
Lasciamoci con questa stupenda immagine delle mani di Dio: mani alle quali aggrapparsi teneramente come bambini perché mai ci lasceranno cadere, mani nelle quali come innamorati cercare calore e conforto, mani forti che si sono lasciate forare per amore, mani da cui ogni giorno ricevere una carezza che dona coraggio, tenerezza e forza per andare incontro al Signore e ai fratelli!
Commento 17 aprile 2016
IGesù si presenta come il “buon pastore”; una figura che, oggi nella società urbana, può sembrare lontana, ma che al pubblico che lo ascoltava in quei giorni raccontava molte cose. Allora, provando ad entrare nella mentalità di quel tempo proviamo a trarre alcuni spunti di riflessione:
1 Il gregge è una massa, un popolo, ma il pastore conosce ad una ad una tutte le sue pecore; siamo quindi popolo, ma ognuno di noi è amato e conosciuto da Dio con un amore unico e personale.
2 Le pecore sanno riconoscere la voce del pastore che le guida e seguiranno solo lui e non altri; nella nostra coscienza risuona continuamente la voce di Dio che ci chiama a condividere con Lui il progetto d’amore che ha verso ogni uomo e donna di questo mondo.
3 Il pastore vede nelle sue pecore tutta la sua ricchezza e la possibilità di vivere, per cui è disposto ad offrire la sua vita per difendere il gregge dai possibili attacchi di animali feroci; nonostante il nostro peccato Dio non ci ha lasciati soli ed ha offerto la sua vita per rigenerare il nostro rapporto d’amicizia con Lui.
Allora è bello riconoscersi amati da Dio, Buon Pastore, coccolati dalla sua mano potente che mai ci lascerà!
1 Il gregge è una massa, un popolo, ma il pastore conosce ad una ad una tutte le sue pecore; siamo quindi popolo, ma ognuno di noi è amato e conosciuto da Dio con un amore unico e personale.
2 Le pecore sanno riconoscere la voce del pastore che le guida e seguiranno solo lui e non altri; nella nostra coscienza risuona continuamente la voce di Dio che ci chiama a condividere con Lui il progetto d’amore che ha verso ogni uomo e donna di questo mondo.
3 Il pastore vede nelle sue pecore tutta la sua ricchezza e la possibilità di vivere, per cui è disposto ad offrire la sua vita per difendere il gregge dai possibili attacchi di animali feroci; nonostante il nostro peccato Dio non ci ha lasciati soli ed ha offerto la sua vita per rigenerare il nostro rapporto d’amicizia con Lui.
Allora è bello riconoscersi amati da Dio, Buon Pastore, coccolati dalla sua mano potente che mai ci lascerà!