XIX domenica T.O. Anno A
Vangelo Mt 14, 22-33
Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Commento 13 agosto 2023
L'episodio della tempesta sedata rappresenta una sorta di parabola sulla vita: sogniamo, desideriamo, una vita felice, ce la immaginiamo come un cammino privo di scossoni, con qualche sussulto di gioia ogni tanto senza momenti di stallo ed invece scopriamo di giorno in giorno che la vita è la meravigliosa avventura di chi lotta, soffre, spera. Purtroppo non è così! La vita troppo spesso ci sembra essere soltanto un mare in tempesta dove la misera barca di questa umanità affaticata e sfiduciata è “sottoposta alla prova delle onde” come scriveva Matteo alla sua comunità.
Ne veniamo da anni bui, abbiamo vissuto l'incubo di una pandemia che ha strappato tanti amici e parenti al nostro affetto; è ancora in corso nel cuore della nostra Europa una guerra alla quale ci stiamo abituando; quel meraviglioso mare che circonda il nostro paese diventato per tanti disperati una via di salvezza verso il mondo ricco dell'Europa, continua ad essere per molti, troppi di loro un cimitero.
È un mare particolarmente agitato quello in cui stiamo navigando in questo momento storico ed allora questo testo diventa particolarmente parlante alle nostre vite che costantemente sembrano scorrere tra la fatica e le difficoltà del quotidiano e l'ansia e lo scoraggiamento quando penso al futuro.
Ebbene di fronte a questo mare, che poi non è altro che la vita, il Signore ci spinge, ci costringe a salire sulla barca per passare all’altra sponda, anche se troppe volte questa è una traversata che non vogliamo fare. Ma il Signore ci chiama a vivere pienamente la meravigliosa avventura della vita come singoli e a maggior ragione come comunità cristiana.
Gesù invita la sua comunità, la Chiesa, a non rimanere chiusa nel suo piccolo orticello, a non rivolgere lo sguardo soltanto verso il proprio ombelico, ma a spingersi oltre; infatti la comunità dei discepoli di Cristo o è missionaria, o annuncia senza sosta la buona notizia dell’amore infinito di Dio per tutti e per ciascuno o non è la comunità voluta dal suo Signore.
Una seconda riflessione nasce dal senso di solitudine dei discepoli sulla barca sul lago in tempesta: nei momenti complicati della nostra vita difficilmente riusciamo a scorgere la presenza del Signore; a volte Dio è come un fantasma e sentiamo la sua presenza impalpabile e lontana dai problemi della vita. Nel mare agitato delle nostre vite Elia (prima lettura) e Gesù ci indicano la strada giusta: salire sul monte in disparte per avere momenti di intimità con Dio, per sentirsi abbracciati dall’immenso amore di un Padre, che come una Madre non può dimenticarsi dei suoi figli (Is 49,15); la vicinanza del Signore è una presenza amorevole, semplice come quella di una brezza leggera. Non è un Dio che si lascia andare ad effetti speciali, ma parla nel silenzio di un amore infinito, ma discreto. Allora nasce la necessità di ritagliarsi un tempo di silenzio, anche e soprattutto, in questi giorni di vacanze in cui scoprire Qualcuno che mi abita dentro, come Gesù ed Elia sul monte in quelle notti.
La buona notizia di oggi è che anche nel mare in tempesta delle nostre vite personali, sociali e come comunità dei discepoli di Cristo, ecco anche nella notte il Signore ci viene incontro; Gesù cammina sulle nostre acque agitate, su ciò che ci spaventa, si fa solidale, ci raggiunge là dove siamo, guarda ai nostri limiti, alle nostre incoerenze con misericordia.
Questo è il nostro Dio!
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle che bisogna saper leggere nel significato simbolico del racconto: Pietro desidera seguire Gesù, ha capito la bellezza del suo progetto d’amore: “comandami di venire verso di te sulle acque”, ma il suo cuore rimane ancora chiuso nel dubbio con la conseguente paura perché vivere il vangelo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto (“se sei tu”), entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio, il potere di camminare sulle acque, di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente, fin dalle origini già è cioè un figlio di Dio, creato ad immagine e somiglianza del Padre. Per questo solo una cosa è necessaria: ascoltare la voce di Cristo ed andargli incontro con gli occhi fissi su di lui. Fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi, ma appena il nostro sguardo si stacca dal volto misericordioso di Dio ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola della nostra relazione con Dio perché proprio nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “Signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati sulla barca, la Chiesa, la comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere Gesù, esclamando di gioia “davvero tu sei Figlio di Dio!”
Ne veniamo da anni bui, abbiamo vissuto l'incubo di una pandemia che ha strappato tanti amici e parenti al nostro affetto; è ancora in corso nel cuore della nostra Europa una guerra alla quale ci stiamo abituando; quel meraviglioso mare che circonda il nostro paese diventato per tanti disperati una via di salvezza verso il mondo ricco dell'Europa, continua ad essere per molti, troppi di loro un cimitero.
È un mare particolarmente agitato quello in cui stiamo navigando in questo momento storico ed allora questo testo diventa particolarmente parlante alle nostre vite che costantemente sembrano scorrere tra la fatica e le difficoltà del quotidiano e l'ansia e lo scoraggiamento quando penso al futuro.
Ebbene di fronte a questo mare, che poi non è altro che la vita, il Signore ci spinge, ci costringe a salire sulla barca per passare all’altra sponda, anche se troppe volte questa è una traversata che non vogliamo fare. Ma il Signore ci chiama a vivere pienamente la meravigliosa avventura della vita come singoli e a maggior ragione come comunità cristiana.
Gesù invita la sua comunità, la Chiesa, a non rimanere chiusa nel suo piccolo orticello, a non rivolgere lo sguardo soltanto verso il proprio ombelico, ma a spingersi oltre; infatti la comunità dei discepoli di Cristo o è missionaria, o annuncia senza sosta la buona notizia dell’amore infinito di Dio per tutti e per ciascuno o non è la comunità voluta dal suo Signore.
Una seconda riflessione nasce dal senso di solitudine dei discepoli sulla barca sul lago in tempesta: nei momenti complicati della nostra vita difficilmente riusciamo a scorgere la presenza del Signore; a volte Dio è come un fantasma e sentiamo la sua presenza impalpabile e lontana dai problemi della vita. Nel mare agitato delle nostre vite Elia (prima lettura) e Gesù ci indicano la strada giusta: salire sul monte in disparte per avere momenti di intimità con Dio, per sentirsi abbracciati dall’immenso amore di un Padre, che come una Madre non può dimenticarsi dei suoi figli (Is 49,15); la vicinanza del Signore è una presenza amorevole, semplice come quella di una brezza leggera. Non è un Dio che si lascia andare ad effetti speciali, ma parla nel silenzio di un amore infinito, ma discreto. Allora nasce la necessità di ritagliarsi un tempo di silenzio, anche e soprattutto, in questi giorni di vacanze in cui scoprire Qualcuno che mi abita dentro, come Gesù ed Elia sul monte in quelle notti.
La buona notizia di oggi è che anche nel mare in tempesta delle nostre vite personali, sociali e come comunità dei discepoli di Cristo, ecco anche nella notte il Signore ci viene incontro; Gesù cammina sulle nostre acque agitate, su ciò che ci spaventa, si fa solidale, ci raggiunge là dove siamo, guarda ai nostri limiti, alle nostre incoerenze con misericordia.
Questo è il nostro Dio!
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle che bisogna saper leggere nel significato simbolico del racconto: Pietro desidera seguire Gesù, ha capito la bellezza del suo progetto d’amore: “comandami di venire verso di te sulle acque”, ma il suo cuore rimane ancora chiuso nel dubbio con la conseguente paura perché vivere il vangelo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto (“se sei tu”), entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio, il potere di camminare sulle acque, di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente, fin dalle origini già è cioè un figlio di Dio, creato ad immagine e somiglianza del Padre. Per questo solo una cosa è necessaria: ascoltare la voce di Cristo ed andargli incontro con gli occhi fissi su di lui. Fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi, ma appena il nostro sguardo si stacca dal volto misericordioso di Dio ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola della nostra relazione con Dio perché proprio nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “Signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati sulla barca, la Chiesa, la comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere Gesù, esclamando di gioia “davvero tu sei Figlio di Dio!”
Commento 9 agosto 2020
Il vangelo di oggi, l’episodio della tempesta sedata, è una sorta di parabola sulla vita; forse troppo spesso sogniamo, desideriamo, una vita felice e ce la immaginiamo come una vita tranquilla, un cammino privo di scossoni, con qualche sussulto di gioia ogni tanto senza momenti di stallo ed invece scopriamo di giorno in giorno che la vita è la meravigliosa avventura di chi lotta, soffre, spera, e come diciamo qui a Genova “si arrabatta”. Si la vita troppo spesso ci sembra essere soltanto un mare in tempesta dove la misera barca di questa umanità affaticata e sfiduciata è “sottoposta alla prova delle onde” come scriveva Matteo alla sua comunità. Il pensiero corre subito alla pandemia e al travagliato momento che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo: questa malattia ci ha costretto a cambiare molti aspetti della nostra vita dal distanziamento sociale, espressione già di per sé contradditoria perché non c’è più nulla di asociale che il distanziamento, l’isolamento, fino all’uso delle mascherine e alla necessità di rinunciare a parte della nostra libertà personale in nome della difesa della salute di tutti. È un mare particolarmente agitato quello in cui stiamo navigando in questo momento storico ed allora questo testo diventa particolarmente parlante alle nostre vite che oggi trascorrono nello scoraggiamento e nelle difficoltà.
Vorrei pertanto leggere questo vangelo sia sotto l’aspetto sociale che sotto l’aspetto spirituale, aspetti che per il discepolo di Cristo mai devono essere disgiunti.
Una prima riflessione nasce dall’invito pressante di Gesù ad imbarcarsi, scrive Matteo “costrinse i discepoli a salire sulla barca”, per passare all’altra sponda: troppe volte la nostra vita può apparire una traversata che non vogliamo fare, ma il Signore ci spinge in questo mare misterioso; vivere pienamente la meravigliosa avventura della vita è ciò che siamo chiamati a fare innanzitutto come uomini, ma soprattutto come cristiani. A livello di comunità cristiana questo è l’invito a non rimanere chiusi nei nostri piccoli orticelli, a non guardare esclusivamente alle nostre vicende, la comunità dei discepoli di Cristo o è missionaria, o annuncia senza sosta la buona notizia dell’amore infinito di Dio per ciascuno o non è la comunità voluta dal suo Signore.
Una seconda riflessione nasce dal senso di solitudine dei discepoli sulla barca sul lago in tempesta: nei momenti complicati della nostra vita difficilmente riusciamo a scorgere la presenza del Signore; a volte Dio è come un fantasma e sentiamo la presenza del Signore impalpabile e lontana dai problemi della vita. Nel mare agitato delle nostre vite Elia (prima lettura) e Gesù ci indicano la strada giusta: salire sul monte in disparte per avere momenti di intimità con Dio, per sentirsi abbracciati dall’immenso amore di un Padre, che come una Madre non può dimenticarsi dei suoi figli (Is 49,15); la vicinanza del Signore è una presenza amorevole, semplice come quella di una brezza leggera. Non è un Dio che si lascia andare ad effetti speciali, ma parla nel silenzio di un amore infinito, ma discreto. Allora nasce la necessità di ritagliarsi un tempo di silenzio, anche e soprattutto, in questi giorni di vacanze in cui scoprire Qualcuno che mi abita dentro, come Gesù ed Elia sul monte in quelle notti.
La buona notizia di oggi è che anche nel mare in tempesta delle nostre vite personali, sociali e come comunità dei discepoli di Cristo, ecco anche nella notte il Signore ci viene incontro; Gesù cammina sulle nostre acque agitate, su ciò che ci spaventa, si fa solidale, ci raggiunge là dove siamo, guarda ai nostri limiti, alle nostre incoerenze con misericordia. Così nei momenti difficili e complicati della mia vita rileggo spesso la preghiera di un Anonimo Brasiliano per scoprire qualora me lo fossi dimenticato l’amorevole abbraccio di Dio: questo è il nostro Dio, questo è il Dio di Gesù Cristo!
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle che bisogna saper leggere nel significato simbolico del racconto. Pietro desidera seguire Gesù, ha capito la bellezza del suo progetto d’amore: “comandami di venire verso di te sulle acque”, ma il suo cuore rimane ancora chiuso nel dubbio con la conseguente paura perché vivere il vangelo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto (“se sei tu”), entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio di camminare sulle acque, ovvero di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente e fin dalle origini già è cioè un figlio di Dio, creato ad immagine e somiglianza del Padre; basta seguire l’invito di Gesù e andargli incontro con gli occhi fissi su di lui, fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi. Ma appena il nostro sguardo si stacca dal volto misericordioso di Dio ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola della nostra relazione con Dio perché ecco nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “Signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati nella comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere nella gioia Gesù, “davvero tu sei Figlio di Dio!”
Vorrei pertanto leggere questo vangelo sia sotto l’aspetto sociale che sotto l’aspetto spirituale, aspetti che per il discepolo di Cristo mai devono essere disgiunti.
Una prima riflessione nasce dall’invito pressante di Gesù ad imbarcarsi, scrive Matteo “costrinse i discepoli a salire sulla barca”, per passare all’altra sponda: troppe volte la nostra vita può apparire una traversata che non vogliamo fare, ma il Signore ci spinge in questo mare misterioso; vivere pienamente la meravigliosa avventura della vita è ciò che siamo chiamati a fare innanzitutto come uomini, ma soprattutto come cristiani. A livello di comunità cristiana questo è l’invito a non rimanere chiusi nei nostri piccoli orticelli, a non guardare esclusivamente alle nostre vicende, la comunità dei discepoli di Cristo o è missionaria, o annuncia senza sosta la buona notizia dell’amore infinito di Dio per ciascuno o non è la comunità voluta dal suo Signore.
Una seconda riflessione nasce dal senso di solitudine dei discepoli sulla barca sul lago in tempesta: nei momenti complicati della nostra vita difficilmente riusciamo a scorgere la presenza del Signore; a volte Dio è come un fantasma e sentiamo la presenza del Signore impalpabile e lontana dai problemi della vita. Nel mare agitato delle nostre vite Elia (prima lettura) e Gesù ci indicano la strada giusta: salire sul monte in disparte per avere momenti di intimità con Dio, per sentirsi abbracciati dall’immenso amore di un Padre, che come una Madre non può dimenticarsi dei suoi figli (Is 49,15); la vicinanza del Signore è una presenza amorevole, semplice come quella di una brezza leggera. Non è un Dio che si lascia andare ad effetti speciali, ma parla nel silenzio di un amore infinito, ma discreto. Allora nasce la necessità di ritagliarsi un tempo di silenzio, anche e soprattutto, in questi giorni di vacanze in cui scoprire Qualcuno che mi abita dentro, come Gesù ed Elia sul monte in quelle notti.
La buona notizia di oggi è che anche nel mare in tempesta delle nostre vite personali, sociali e come comunità dei discepoli di Cristo, ecco anche nella notte il Signore ci viene incontro; Gesù cammina sulle nostre acque agitate, su ciò che ci spaventa, si fa solidale, ci raggiunge là dove siamo, guarda ai nostri limiti, alle nostre incoerenze con misericordia. Così nei momenti difficili e complicati della mia vita rileggo spesso la preghiera di un Anonimo Brasiliano per scoprire qualora me lo fossi dimenticato l’amorevole abbraccio di Dio: questo è il nostro Dio, questo è il Dio di Gesù Cristo!
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle che bisogna saper leggere nel significato simbolico del racconto. Pietro desidera seguire Gesù, ha capito la bellezza del suo progetto d’amore: “comandami di venire verso di te sulle acque”, ma il suo cuore rimane ancora chiuso nel dubbio con la conseguente paura perché vivere il vangelo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto (“se sei tu”), entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio di camminare sulle acque, ovvero di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente e fin dalle origini già è cioè un figlio di Dio, creato ad immagine e somiglianza del Padre; basta seguire l’invito di Gesù e andargli incontro con gli occhi fissi su di lui, fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi. Ma appena il nostro sguardo si stacca dal volto misericordioso di Dio ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola della nostra relazione con Dio perché ecco nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “Signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati nella comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere nella gioia Gesù, “davvero tu sei Figlio di Dio!”
Commento 13 agosto 2017
L’episodio segue immediatamente la moltiplicazione, o meglio la condivisione, dei pani; brano che la liturgia ha saltato per fare spazio alla festa della Trasfigurazione. Serve però contestualizzare il vangelo in quel momento per capirne alcuni aspetti: Gesù ha mostrato che è davvero possibile costruire un mondo nuovo più giusto e solidale. Ha chiesto all’uomo, ad ogni uomo e donna di collaborare a questa realtà nuova con ciò che hanno, pochi pani e qualche pesce, insomma con quel poco che ciascuno di noi ha, ma la folla non ha capito nulla volevano farlo re e i discepoli neanche perché non credendo fosse possibile realizzare quanto Gesù predicava volevano rimandare la folla a casa senza sfamarla. Gesù congeda la folla per evitare i facili entusiasmi politico-sociali e “costringe” i discepoli a salire sulla barca per mostrare loro che la missione continua e che anche ai pagani, ai lontani è destinato il suo messaggio per la costruzione di un mondo nuovo.
Questo “costringere” già ci indica come i discepoli probabilmente non solo non avevano ancora capito nulla, ma se qualcosa avevano colto del messaggio di Gesù erano turbati di fronte all’idea che questo fosse valido per tutti e non solo per gli ebrei; così come allora Gesù “costringe” la sua Chiesa ad andare verso i lontani; infatti la comunità dei discepoli o è missionaria o non è la comunità voluta da Cristo. Diversi particolari (ad esempio: è sera quando la folla viene congedata e continua ad essere sera dopo diverse ore quando la barca è agitata dal mare in tempesta) difficili da spiegare ci dimostrano come questo brano non sia la cronaca di un episodio, ma sia un racconto teologico, dove il tempo si ferma alla sera ovvero il momento in cui l’uomo si allontana da Dio, mentre la luce tornerà a brillare solo nel momento in cui i discepoli riconosceranno il Signore che viene loro incontro.
È il racconto della nostra vita, il racconto della storia della Chiesa che vive nel mondo, dove forti sono i venti contrari che rendono difficile la sua missione di annunciare e realizzare il Regno di Dio. Questo ci sia di monito: ogni qual volta la Chiesa è lodata dal mondo o si appoggia alle strutture politico-sociali del mondo sta seguendo progetti che non provengono da Dio, ma che sono puramente umani.
Nelle tempeste che la vita propone, travolti dai venti contrari di chi propone la logica umana del potere e del successo, la comunità dei discepoli si sente in balia di questo mare, simbolo nel mondo ebraico delle forze del male. In questa situazione negativa, Gesù viene incontro alla sua comunità e ad ogni uomo e donna per dire loro “Non abbiate paura!”. Queste parole risuonino ancora dolcemente nei nostri cuori: Gesù ci invita a non avere paura, perché Dio è con noi al nostro fianco non per operare con la sua forza, ma per condividere il nostro cammino nell’amore.
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle: Pietro si rende conto di essere chiamato a seguire quel progetto d’amore che Gesù propone, ma ha paura perché questo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
“Se sei tu…”, Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto, entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio di camminare sulle acque, ovvero di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente e fin dalle origini egli è cioè un figlio di Dio creato ad immagine e somiglianza del Padre. Superare la tentazione è seguire l’invito di Gesù a venirgli incontro con gli occhi fissi su di lui, fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi. Poi altri idoli distolgono il nostro sguardo dal Signore ed ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola perché ecco nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati nella comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere nella gioia Gesù, davvero tu sei Figlio di Dio!
Questo “costringere” già ci indica come i discepoli probabilmente non solo non avevano ancora capito nulla, ma se qualcosa avevano colto del messaggio di Gesù erano turbati di fronte all’idea che questo fosse valido per tutti e non solo per gli ebrei; così come allora Gesù “costringe” la sua Chiesa ad andare verso i lontani; infatti la comunità dei discepoli o è missionaria o non è la comunità voluta da Cristo. Diversi particolari (ad esempio: è sera quando la folla viene congedata e continua ad essere sera dopo diverse ore quando la barca è agitata dal mare in tempesta) difficili da spiegare ci dimostrano come questo brano non sia la cronaca di un episodio, ma sia un racconto teologico, dove il tempo si ferma alla sera ovvero il momento in cui l’uomo si allontana da Dio, mentre la luce tornerà a brillare solo nel momento in cui i discepoli riconosceranno il Signore che viene loro incontro.
È il racconto della nostra vita, il racconto della storia della Chiesa che vive nel mondo, dove forti sono i venti contrari che rendono difficile la sua missione di annunciare e realizzare il Regno di Dio. Questo ci sia di monito: ogni qual volta la Chiesa è lodata dal mondo o si appoggia alle strutture politico-sociali del mondo sta seguendo progetti che non provengono da Dio, ma che sono puramente umani.
Nelle tempeste che la vita propone, travolti dai venti contrari di chi propone la logica umana del potere e del successo, la comunità dei discepoli si sente in balia di questo mare, simbolo nel mondo ebraico delle forze del male. In questa situazione negativa, Gesù viene incontro alla sua comunità e ad ogni uomo e donna per dire loro “Non abbiate paura!”. Queste parole risuonino ancora dolcemente nei nostri cuori: Gesù ci invita a non avere paura, perché Dio è con noi al nostro fianco non per operare con la sua forza, ma per condividere il nostro cammino nell’amore.
Il dialogo tra Gesù e Pietro credo che sia una delle pagine più belle: Pietro si rende conto di essere chiamato a seguire quel progetto d’amore che Gesù propone, ma ha paura perché questo lo porterà probabilmente a dover donare la propria vita, perché per costruire un mondo di amore bisogna rinunciare alla propria vita, rinunciare a pensare a sé stessi.
“Se sei tu…”, Pietro fa sue le parole che Satana rivolse a Gesù nel deserto, entra nella logica dell’egoismo e cerca di ottenere il potere di Dio di camminare sulle acque, ovvero di dominare sulle forze del male; ciò che Pietro non ha capito è che questa forza è già in noi, infatti ogni uomo se farà dell’amore il senso della propria vita avrà la capacità di diventare quello che realmente e fin dalle origini egli è cioè un figlio di Dio creato ad immagine e somiglianza del Padre. Superare la tentazione è seguire l’invito di Gesù a venirgli incontro con gli occhi fissi su di lui, fatto questo Pietro, così come ciascuno di noi può compiere i propri passi. Poi altri idoli distolgono il nostro sguardo dal Signore ed ecco la paura, il dubbio e la caduta, l’affondare, l’essere travolti dalle situazioni negative. Tutto sembra finito, ma questa non è l’ultima parola perché ecco nel momento in cui tutto sembra perduto basta un grido d’amore “signore salvami!” perché Dio si inginocchi verso la nostra vita, ci porga la sua mano e teneramente ci risollevi per poter tornare ad essere abbracciati dalla sua infinita tenerezza. Circondati dall’abbraccio di Dio, rientrati nella comunità dei discepoli di Cristo possiamo riconoscere nella gioia Gesù, davvero tu sei Figlio di Dio!