II Domenica di Pasqua Anno A
Vangelo Gv 20, 19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Commento 16 aprile 2023
Il tempo sembra essersi fermato ed il vangelo ci riporta a quella domenica 9 aprile del 30 d.C., quell’incredibile giorno in cui le donne, andate al sepolcro per completare i riti funebri che il sopraggiungere del sabato aveva bruscamente interrotto, avevano trovato solo una tomba vuota; torniamo a quella piccola comunità ancora incredula dopo la testimonianza di Maria Maddalena che aveva saputo riconoscere in quel giardiniere il suo Maestro e Signore, torniamo a quegli uomini perplessi e sconvolti dalle parole di quella coppia di discepoli che aveva raccontato loro quanto era accaduto lungo la strada verso il villaggio di Emmaus e come avevano riconosciuto Gesù "allo spezzare del pane".
Torniamo perché è proprio lì, in quella piccola Chiesa, chiusa nel cenacolo per la grande paura ad uscire nel mondo, che il Signore viene e tornerà “otto giorni dopo” per stare in mezzo a loro. Il Signore ci dà un appuntamento d’amore che non possiamo mancare, poiché Egli desidera stare in mezzo a noi, poiché chi ama non può stare a lungo lontano dall’amato! Da quel momento ogni domenica, giorno del Signore, la comunità dei discepoli si ritrova per incontrare il Risorto, per celebrare la Pasqua del suo Signore, l’incredibile mistero dell’amore di Dio che supera la morte per avvolgerci della sua tenerezza infinita.
Ma quella domenica di Pasqua la comunità non è al completo, manca Tommaso, è fuori! È davvero splendida la figura di Tommaso ed è a lui che oggi vorrei rivolgermi con una lettera aperta che condivido con tutti voi.
Carissimo Tommaso, fratello nella fede, permettimi di chiamarti familiarmente “Didimo” (gemello, doppio), non era questo poi il nome che i tuoi amici apostoli erano soliti darti? Ti ricordo come un personaggio a me molto caro tra impressionanti slanci di entusiasmo, pronto a dirsi capace di seguire Gesù fino ad andare incontro alla morte, ma anche pieno di dubbi e incoerenze. Voglio fermarmi con te, caro Tommaso, che riesci a dire ciò che io spesso ho vergogna di ammettere; voglio stare accanto a te perché in te vedo quella parte di me che è viva e vera e che non si convince mai del tutto di cedere all’incredibile bellezza della fede, che non si pacifica di fronte all’infinito amore di Dio per me. Sì, Tommaso, voglio fermarmi con te perché tu sei il mio “Doppio”, quello che mi porto dentro, che crede e non crede, che è insieme agli apostoli nella comunità, ma che a volte si allontana per fare di testa propria, ma che comunque capisce che la fede è una cosa seria perché la vita è una cosa seria. Grazie Tommaso per il tuo coraggio che in quel giorno così pieno di emozioni ti ha portato ad andare in giro per Gerusalemme rischiando di essere arrestato per cercare il tuo Signore.
Carissimo Tommaso, è vero, hai sbagliato! Lasciare la comunità dei discepoli per fare di testa tua non è stata una grande idea e, così facendo, hai perso l’occasione di incontrare subito il tuo Signore; grazie perché così io ho capito che solo nella Chiesa, nella comunità riunita dei discepoli io posso incontrare il Risorto! Se la fede è scelta personale, essa nasce, cresce, si rinforza nella comunità: è solo all’interno della Chiesa che ciascuno di noi ha ricevuto la chiamata ad essere cristiano; è nella comunità cristiana che io ricevo l’annuncio del Vangelo e da lì sono chiamato a testimoniarlo per condividere la gioia dell’incontro con il Risorto con gli altri. Possiamo esprimere tutti i nostri dubbi sulla Chiesa che, nel suo aspetto umano, è segnata dal peccato, ma sappiamo con certezza che solo attraverso lei, come acquedotto, giunge a noi l’acqua benefica della salvezza. È la Chiesa, la comunità dei discepoli la vera protagonista di questo vangelo! È la Chiesa, che chiusa nelle sue paure umane, deve imparare ad aprirsi ogni giorno per lasciare spazio al Signore che viene per stare in mezzo a lei! È la comunità dei discepoli che deve accogliere il dono della pace che il Signore Risorto con il suo Spirito le porge, una pace che è perdono per i nostri peccati e forza per tornare ad annunciare l’amore di Dio!
Grazie ancora Tommaso perché mi insegni con il tuo desiderio di voler toccare le piaghe di Gesù che per credere bisogna passare dalle ferite della vita senza dimenticarle e Gesù che sa bene che quello è passaggio obbligato si mostra a te e a tutti noi con le ferite bene evidenti mentre fa germogliare nei nostri cuori inquieti la pace del suo amore. Grazie Tommaso perché così anche io posso comprendere che credere non è l’utopica illusione di una vita messa al riparo dalle sofferenze e dalle intemperie del tempo che scorre ma è, al contrario, il lasciarsi toccare profondamente dalle ferite, credere è lasciar parlare le ferite, credere è una ferita aperta.
Grazie Tommaso perché il tuo tornare al segno dei chiodi, il tuo voler mettere la mano nel costato di Cristo ci può salvare dalla tentazione di una fede rassicurante perché tutto può essere messo in discussione ma le ferite rimangono. Le ferite ci strappano dal sogno e ci spingono a fare i conti con la realtà, a chiederci se la fede regge il peso del reale. Grazie Tommaso, perché la tua figura continuamente mi provoca ad amare la vita anche se la vita ferisce.
Grazie Tommaso perché con te ho capito che credere mi ha aiutato ad attraversare anche il dolore con la consapevolezza di non essere solo e di avere accanto a me non solo il Signore, ma anche tanti fratelli e sorelle che per me hanno pregato e sono stati vicini in ogni modo possibile a me e alla mia famiglia. Caro Tommaso nel momento in cui ho potuto sperimentare l’amore dentro le ferite e la malattia, nel momento in cui ho fatto esperienza della pace dentro il dolore e la sofferenza, ho colto il senso vero della mia vita e per tutto questo posso affermare vale la pena di essere nati e da quel momento ho scoperto che la pietra che sbarrava il mio sepolcro è già rotolata via!
Grazie Tommaso perché guardando alle ferite e alle piaghe del crocifisso hai ritrovato il perdono, così anch'io quando mi sento sopraffatto dal peccato so di avere una via d’uscita: guardare a Gesù crocifisso, segno dell’infinito amore di Dio che, per me piccola, ma preziosissima creatura, ha voluto dare tutto!
Grazie Tommaso, perché guardando a quelle piaghe sei rientrato nella logica del dono e dell’amore, ora anche io posso insieme a te chiudere gli occhi per cadere in ginocchio, sentendomi abbracciato dall’immensa tenerezza del Padre, ed esprimere tutta la mia fede ancora vacillante: “Mio Signore e mio Dio!”.
Torniamo perché è proprio lì, in quella piccola Chiesa, chiusa nel cenacolo per la grande paura ad uscire nel mondo, che il Signore viene e tornerà “otto giorni dopo” per stare in mezzo a loro. Il Signore ci dà un appuntamento d’amore che non possiamo mancare, poiché Egli desidera stare in mezzo a noi, poiché chi ama non può stare a lungo lontano dall’amato! Da quel momento ogni domenica, giorno del Signore, la comunità dei discepoli si ritrova per incontrare il Risorto, per celebrare la Pasqua del suo Signore, l’incredibile mistero dell’amore di Dio che supera la morte per avvolgerci della sua tenerezza infinita.
Ma quella domenica di Pasqua la comunità non è al completo, manca Tommaso, è fuori! È davvero splendida la figura di Tommaso ed è a lui che oggi vorrei rivolgermi con una lettera aperta che condivido con tutti voi.
Carissimo Tommaso, fratello nella fede, permettimi di chiamarti familiarmente “Didimo” (gemello, doppio), non era questo poi il nome che i tuoi amici apostoli erano soliti darti? Ti ricordo come un personaggio a me molto caro tra impressionanti slanci di entusiasmo, pronto a dirsi capace di seguire Gesù fino ad andare incontro alla morte, ma anche pieno di dubbi e incoerenze. Voglio fermarmi con te, caro Tommaso, che riesci a dire ciò che io spesso ho vergogna di ammettere; voglio stare accanto a te perché in te vedo quella parte di me che è viva e vera e che non si convince mai del tutto di cedere all’incredibile bellezza della fede, che non si pacifica di fronte all’infinito amore di Dio per me. Sì, Tommaso, voglio fermarmi con te perché tu sei il mio “Doppio”, quello che mi porto dentro, che crede e non crede, che è insieme agli apostoli nella comunità, ma che a volte si allontana per fare di testa propria, ma che comunque capisce che la fede è una cosa seria perché la vita è una cosa seria. Grazie Tommaso per il tuo coraggio che in quel giorno così pieno di emozioni ti ha portato ad andare in giro per Gerusalemme rischiando di essere arrestato per cercare il tuo Signore.
Carissimo Tommaso, è vero, hai sbagliato! Lasciare la comunità dei discepoli per fare di testa tua non è stata una grande idea e, così facendo, hai perso l’occasione di incontrare subito il tuo Signore; grazie perché così io ho capito che solo nella Chiesa, nella comunità riunita dei discepoli io posso incontrare il Risorto! Se la fede è scelta personale, essa nasce, cresce, si rinforza nella comunità: è solo all’interno della Chiesa che ciascuno di noi ha ricevuto la chiamata ad essere cristiano; è nella comunità cristiana che io ricevo l’annuncio del Vangelo e da lì sono chiamato a testimoniarlo per condividere la gioia dell’incontro con il Risorto con gli altri. Possiamo esprimere tutti i nostri dubbi sulla Chiesa che, nel suo aspetto umano, è segnata dal peccato, ma sappiamo con certezza che solo attraverso lei, come acquedotto, giunge a noi l’acqua benefica della salvezza. È la Chiesa, la comunità dei discepoli la vera protagonista di questo vangelo! È la Chiesa, che chiusa nelle sue paure umane, deve imparare ad aprirsi ogni giorno per lasciare spazio al Signore che viene per stare in mezzo a lei! È la comunità dei discepoli che deve accogliere il dono della pace che il Signore Risorto con il suo Spirito le porge, una pace che è perdono per i nostri peccati e forza per tornare ad annunciare l’amore di Dio!
Grazie ancora Tommaso perché mi insegni con il tuo desiderio di voler toccare le piaghe di Gesù che per credere bisogna passare dalle ferite della vita senza dimenticarle e Gesù che sa bene che quello è passaggio obbligato si mostra a te e a tutti noi con le ferite bene evidenti mentre fa germogliare nei nostri cuori inquieti la pace del suo amore. Grazie Tommaso perché così anche io posso comprendere che credere non è l’utopica illusione di una vita messa al riparo dalle sofferenze e dalle intemperie del tempo che scorre ma è, al contrario, il lasciarsi toccare profondamente dalle ferite, credere è lasciar parlare le ferite, credere è una ferita aperta.
Grazie Tommaso perché il tuo tornare al segno dei chiodi, il tuo voler mettere la mano nel costato di Cristo ci può salvare dalla tentazione di una fede rassicurante perché tutto può essere messo in discussione ma le ferite rimangono. Le ferite ci strappano dal sogno e ci spingono a fare i conti con la realtà, a chiederci se la fede regge il peso del reale. Grazie Tommaso, perché la tua figura continuamente mi provoca ad amare la vita anche se la vita ferisce.
Grazie Tommaso perché con te ho capito che credere mi ha aiutato ad attraversare anche il dolore con la consapevolezza di non essere solo e di avere accanto a me non solo il Signore, ma anche tanti fratelli e sorelle che per me hanno pregato e sono stati vicini in ogni modo possibile a me e alla mia famiglia. Caro Tommaso nel momento in cui ho potuto sperimentare l’amore dentro le ferite e la malattia, nel momento in cui ho fatto esperienza della pace dentro il dolore e la sofferenza, ho colto il senso vero della mia vita e per tutto questo posso affermare vale la pena di essere nati e da quel momento ho scoperto che la pietra che sbarrava il mio sepolcro è già rotolata via!
Grazie Tommaso perché guardando alle ferite e alle piaghe del crocifisso hai ritrovato il perdono, così anch'io quando mi sento sopraffatto dal peccato so di avere una via d’uscita: guardare a Gesù crocifisso, segno dell’infinito amore di Dio che, per me piccola, ma preziosissima creatura, ha voluto dare tutto!
Grazie Tommaso, perché guardando a quelle piaghe sei rientrato nella logica del dono e dell’amore, ora anche io posso insieme a te chiudere gli occhi per cadere in ginocchio, sentendomi abbracciato dall’immensa tenerezza del Padre, ed esprimere tutta la mia fede ancora vacillante: “Mio Signore e mio Dio!”.
Commento 19 aprile 2020
Come ogni anno eccoci qua di fronte alla splendida figura di Tommaso detto Didimo, il gemello o doppio; è questo un personaggio a me molto caro, volubile, tra impressionanti slanci di entusiasmo, pronto a dirsi capace di seguire Gesù fino ad andare incontro alla morte, ma anche pieno di dubbi e incoerenze. Credo che tutti possiamo affermare senza timore di essere smentiti di essere molto simili a Tommaso nei nostri momenti di entusiasmo e nelle nostre cadute, ma questo discepolo è anche l’esempio di colui che è capace di una fede che vuol prendersi sul serio, che vuole capire. Egli è l’unico che in quella sera di Pasqua coraggiosamente esce, mentre tutti gli altri rimangono chiusi pieni di paura nel cenacolo. Tommaso esce perché vuole capire, vuole conoscere la verità su quell’uomo morto crocifisso alcuni giorni prima; egli ha ascoltato seriamente le donne che, andate al sepolcro per onorare quel corpo, hanno trovato la pietra rotolata via e la tomba vuota; ma di fronte ad una tale notizia non riusciva a crederci, sapeva che era impossibile sconfiggere la morte. Tommaso commette solo un errore, quello di lasciare il gruppo degli apostoli; egli non capisce che se la fede è scelta personale, essa nasce, cresce, si rinforza nella comunità: è solo all’interno della Chiesa che ciascuno di noi ha ricevuto la chiamata ad essere cristiano. In questo momento in cui la pandemia ci costringe a vivere la nostra fede lontano dall’eucaristia e dalla comunità sento con maggior forza questo digiuno di pane come corpo di Cristo e di fratelli e sorelle riuniti nella comune preghiera come corpo di Cristo. Anche Francesco in questi giorni ha lamentato questa mancanza affermando con forza durante la messa quotidiana in Santa Marta: “Questa non è Chiesa!” poiché ha proseguito, scusate la citazione a memoria: una fede, una familiarità con il Signore senza comunità, senza il pane spezzato e condiviso, senza la chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa, può diventare una familiarità, una fede soltanto per me, staccata dal popolo di Dio. Anche se in questo momento siamo costretti per combattere il virus al distanziamento sociale questo strumento rimane diabolico nel senso letterale del termine ovvero divisivo: “la Chiesa come popolo di Dio è concreta non è virtuale” ha concluso Francesco. Possiamo esprimere tutti i nostri dubbi sulla Chiesa che nel suo aspetto umano è segnata dal peccato, ma sappiamo con certezza che solo attraverso i suoi canali giunge a noi l’acqua benefica della salvezza.
La Chiesa è la vera protagonista di questo vangelo, una comunità, che si presenta chiusa nelle sue paure, nelle sue incoerenze, nei suoi tradimenti, una comunità morta, crocifissa con il suo Signore!
Il Risorto viene incontro alla sua comunità “quello stesso giorno” e “otto giorni dopo” con un saluto di pace e con il dono dello Spirito e attraverso quel dono, gli apostoli, rinnovati dal perdono, sapranno diventare uomini capaci di donare a loro volta il perdono di Dio. Il Signore ci dà un appuntamento d’amore che non possiamo mancare, poiché Egli desidera stare in mezzo a noi, infatti chi ama non può stare a lungo lontano dall’amato! Da quel momento ogni domenica, giorno del Signore, la comunità dei discepoli si ritrova per incontrare il Risorto, per celebrare la Pasqua del suo Signore, l’incredibile mistero dell’amore di Dio che supera la morte.
Ecco l’errore di Tommaso: aver mancato a quel primo appuntamento d’amore ha come prima conseguenza il perdere la strada della fede; tornato all’interno del gruppo, Tommaso non riesce a credere alla testimonianza dei suoi amici e vuole lui stesso avere le prove concrete della resurrezione di Cristo. Egli si è allontanato, ha peccato contro la comunità perché ha voluto fare di testa sua ed ora ha bisogno di ritrovare il perdono di Dio. Ancora una volta di fronte al nostro peccato senza richiedere una conversione, è il Signore che si muove per venirci incontro, ci mostra le sue ferite, le sue piaghe, quasi a dirci: “Ecco il prezzo dell’amore, non allontanarti più da me!” Ora Tommaso che voleva una prova dell’amore, che voleva toccare e vedere, di fronte al mistero che gli si rivela, sa chiudere gli occhi per cadere in ginocchio ed esprimere la sua fede: “Mio Signore e mio Dio”.
Facci, Signore tuoi discepoli come Tommaso! Come Tommaso, chiamati ad una fede che sa confrontarsi con i propri dubbi, senza averne paura. Come Tommaso pronti a rientrare nella comunità dei discepoli per tornare a dissetarci dall’unica fonte dell’acqua viva della fede. Come Tommaso, invitati di fronte al mistero che ci si rivela a cadere in ginocchio, a chiudere gli occhi per lasciarci abbracciare dall’immensa tenerezza di Dio.
La Chiesa è la vera protagonista di questo vangelo, una comunità, che si presenta chiusa nelle sue paure, nelle sue incoerenze, nei suoi tradimenti, una comunità morta, crocifissa con il suo Signore!
Il Risorto viene incontro alla sua comunità “quello stesso giorno” e “otto giorni dopo” con un saluto di pace e con il dono dello Spirito e attraverso quel dono, gli apostoli, rinnovati dal perdono, sapranno diventare uomini capaci di donare a loro volta il perdono di Dio. Il Signore ci dà un appuntamento d’amore che non possiamo mancare, poiché Egli desidera stare in mezzo a noi, infatti chi ama non può stare a lungo lontano dall’amato! Da quel momento ogni domenica, giorno del Signore, la comunità dei discepoli si ritrova per incontrare il Risorto, per celebrare la Pasqua del suo Signore, l’incredibile mistero dell’amore di Dio che supera la morte.
Ecco l’errore di Tommaso: aver mancato a quel primo appuntamento d’amore ha come prima conseguenza il perdere la strada della fede; tornato all’interno del gruppo, Tommaso non riesce a credere alla testimonianza dei suoi amici e vuole lui stesso avere le prove concrete della resurrezione di Cristo. Egli si è allontanato, ha peccato contro la comunità perché ha voluto fare di testa sua ed ora ha bisogno di ritrovare il perdono di Dio. Ancora una volta di fronte al nostro peccato senza richiedere una conversione, è il Signore che si muove per venirci incontro, ci mostra le sue ferite, le sue piaghe, quasi a dirci: “Ecco il prezzo dell’amore, non allontanarti più da me!” Ora Tommaso che voleva una prova dell’amore, che voleva toccare e vedere, di fronte al mistero che gli si rivela, sa chiudere gli occhi per cadere in ginocchio ed esprimere la sua fede: “Mio Signore e mio Dio”.
Facci, Signore tuoi discepoli come Tommaso! Come Tommaso, chiamati ad una fede che sa confrontarsi con i propri dubbi, senza averne paura. Come Tommaso pronti a rientrare nella comunità dei discepoli per tornare a dissetarci dall’unica fonte dell’acqua viva della fede. Come Tommaso, invitati di fronte al mistero che ci si rivela a cadere in ginocchio, a chiudere gli occhi per lasciarci abbracciare dall’immensa tenerezza di Dio.
Commento 23 aprile 2017
Ogni anno la liturgia di questa seconda domenica di Pasqua ci presenta la figura di Tommaso, una figura a me molto cara perché Tommaso è l’esempio di colui che è capace di una fede che vuol prendersi sul serio, che vuole capire. Mentre tutti rimangono chiusi pieni di paura nel cenacolo, Tommaso è l’unico che coraggiosamente esce ed esce perché vuole capire, vuole conoscere la verità su quell’uomo morto crocifisso alcuni giorni prima; egli ha ascoltato seriamente le donne che, andate al sepolcro per onorare quel corpo, hanno trovato la pietra rotolata via e la tomba vuota; ma di fronte ad una tale notizia non riusciva a crederci, sapeva che era impossibile sconfiggere la morte. Tommaso commette solo un errore, quello di lasciare il gruppo degli apostoli; egli non capisce che se la fede è scelta personale, essa nasce, cresce, si rinforza nella comunità: è solo all’interno della Chiesa che ciascuno di noi ha ricevuto la chiamata ad essere cristiano. Possiamo esprimere tutti i nostri dubbi sulla Chiesa che nel suo aspetto umano è segnata dal peccato, ma sappiamo con certezza che solo attraverso i suoi canali giunge a noi l’acqua benefica della salvezza.
Pertanto a me pare di poter dire che la vera protagonista di questo vangelo sia la comunità degli apostoli, dei discepoli: questa comunità si presenta come chiusa nelle sue paure, nelle sue incoerenze, nei suoi tradimenti: è una comunità morta, crocifissa con il suo Signore! A quella comunità il Risorto viene incontro con un saluto di pace e con il dono dello Spirito; e attraverso quel dono, gli apostoli, rinnovati dal perdono, sapranno diventare uomini capaci di donare a loro volta il perdono di Dio.
Tommaso, tornato all’interno del gruppo, non riesce a credere alla testimonianza dei suoi amici e vuole lui stesso avere le prove concrete della resurrezione di Cristo. Egli si è allontanato, ha peccato contro la comunità perché ha voluto fare di testa sua ed ora ha bisogno di ritrovare il perdono di Dio e a questo punto è Gesù che si muove e viene incontro a lui, mostrando le piaghe, le sue ferite. Ecco il gesto del Signore è il segno della riammissione di Tommaso all’interno del gruppo. Ora Tommaso, che voleva toccare e vedere, di fronte al mistero che gli si rivela, sa chiudere gli occhi per cadere in ginocchio ed esprimere la sua fede: “Mio Signore e mio Dio”.
Quanto vorrei come Tommaso essere capace di una fede che sa confrontarsi con i propri dubbi, senza averne paura, ma quanto vorrei anche, come Tommaso, riuscire di fronte al mistero che mi si rivela cadere in ginocchio, chiudere gli occhi per lasciarmi abbracciare dall’immensa tenerezza di Dio.
Pertanto a me pare di poter dire che la vera protagonista di questo vangelo sia la comunità degli apostoli, dei discepoli: questa comunità si presenta come chiusa nelle sue paure, nelle sue incoerenze, nei suoi tradimenti: è una comunità morta, crocifissa con il suo Signore! A quella comunità il Risorto viene incontro con un saluto di pace e con il dono dello Spirito; e attraverso quel dono, gli apostoli, rinnovati dal perdono, sapranno diventare uomini capaci di donare a loro volta il perdono di Dio.
Tommaso, tornato all’interno del gruppo, non riesce a credere alla testimonianza dei suoi amici e vuole lui stesso avere le prove concrete della resurrezione di Cristo. Egli si è allontanato, ha peccato contro la comunità perché ha voluto fare di testa sua ed ora ha bisogno di ritrovare il perdono di Dio e a questo punto è Gesù che si muove e viene incontro a lui, mostrando le piaghe, le sue ferite. Ecco il gesto del Signore è il segno della riammissione di Tommaso all’interno del gruppo. Ora Tommaso, che voleva toccare e vedere, di fronte al mistero che gli si rivela, sa chiudere gli occhi per cadere in ginocchio ed esprimere la sua fede: “Mio Signore e mio Dio”.
Quanto vorrei come Tommaso essere capace di una fede che sa confrontarsi con i propri dubbi, senza averne paura, ma quanto vorrei anche, come Tommaso, riuscire di fronte al mistero che mi si rivela cadere in ginocchio, chiudere gli occhi per lasciarmi abbracciare dall’immensa tenerezza di Dio.