XXIII domenica T.O. Anno C
Vangelo Lc 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Vangelo Lc 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Commento 4 settembre 2022
“Vieni a giocare a pallone sabato? Ci vediamo davanti alla parrocchia!”, con queste parole il Signore attraverso la voce di un ragazzo che si era presentato a casa mia, mi ha chiamato; era un giovedì, il 4 Ottobre 1979, ed io che amavo giocare a pallone, ma che proprio in quell’estate mi ero fatto male ad un ginocchio e non potevo più giocare in una vera squadra, non ho saputo resistere a quell’invito e sono andato in parrocchia: quel sabato pioveva e non abbiamo potuto giocare, ma da quel giorno il Signore si è fatto compagno di strada nella mia vita, prima nei gruppi di Azione Cattolica e poi nella comunità che ancora oggi è custode della mia fede e delle mie scelte.
Mi sono sempre chiesto che cosa volesse dire essere discepoli di Cristo, forse nel loro cuore se lo chiedevano coloro che quel giorno seguivano Gesù, erano una folla numerosa e chissà quanti di quelli avranno continuato a seguire Gesù, dopo che volgendosi verso di loro li avvertì riguardo alle impellenti richieste che la sua sequela esigeva.
Il linguaggio di Gesù può apparire duro e severo, ma è il linguaggio di chi chiede se quel rapporto che li lega è vero amore al di là di facili entusiasmi momentanei o di interessi effimeri. Gesù propone un Dio che non vuole sacrifici, ma misericordia (cfr. Os 6,6; Mt 9,13), un Dio che ama e che chiede amore e come un innamorato vuole coinvolgere la persona amata in un progetto di vita comune proprio come nel matrimonio, che deve fondarsi su un rapporto d’amore che sia esclusivo, fecondo e fedele. Allora come nella vita matrimoniale ognuno è invitato a rinunciare a qualcosa per vivere nella condivisione con l’altro così queste parole non sono da interpretare come richieste di sacrifici o di rinunce. Per troppo tempo il vangelo è stato presentato come una serie di proibizioni, nascondendo la sua vera proposta, quella di una beatitudine completa, di una gioia eterna, di una vita pienamente realizzata.
Gesù pone tre condizioni radicali per essere suoi discepoli e la prima appare particolarmente tranciante, direi quasi scioccante: se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore e lo fa con parole forti, che sembrano voler distruggere i nostri affetti più belli e grandi, ma il punto centrale è quel “mi ama di più”. Insomma la richiesta di Gesù è un “di più”, una sovrabbondanza d’amore: insomma quando si incontra Cristo diventa Lui il punto di riferimento di tutte le scelte, riferimento che supera anche te stesso, le tue scelte, i tuoi progetti, ciò che ti piace, la tua stessa vita. Il discepolo è colui che illumina i suoi amori, gli affetti, i rapporti con una luce più grande e Gesù diventa la garanzia che quegli amori saranno più vivi e più luminosi e soprattutto saranno eterni, capaci di superare la morte perché Lui, che possiede la chiave dell’arte di amare, ha vinto la morte.
La seconda richiesta riguarda il prendere la propria croce ed a questo proposito bisogna fare una precisazione poiché con croce una certa catechesi ha sempre indicato le sofferenze che inevitabilmente possiamo incontrare nella vita. Non riduciamo la croce di Cristo al solo suo aspetto di dolore e di sofferenza seppure molto importante, nel Vangelo la croce è la buona notizia dell’infinito amore di Dio, la croce è il vertice ed il riassunto di un amore senza misura, di un amore che io non ho meritato se non per il fatto che Dio mi considera suo figlio!
Portare la croce significa innanzitutto vivere pienamente il proprio modo di amare fino alla fine, gratuitamente ed eternamente e di conseguenza accettare anche la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte per rimanere fedeli a Cristo. Portare la croce significa fare la scelta del perdono quando il mondo intende la giustizia come vendetta, fare la scelta dell’amore verso il nemico anche se questo può farti apparire come un debole; portare la croce significa accettare il disprezzo della società perché puoi essere considerato un fallito, un perdente; significa accettare di essere deriso, quando difendi la dignità ed il diritto alla vita. Insomma la croce è ciò che inevitabilmente accompagna la vita di chi vuol essere fedele a Cristo. Ed insieme alla croce la resurrezione!
Due parabole introducono l’ultima condizione, forse la più dura, due parabole per dire a noi che seguire Gesù è una cosa seria, non è banale, sono un invito a “sedersi” per riflettere bene sulle conseguenze del nostro essere cristiano, su tutto ciò che comporta seguire Gesù.
La terza richiesta è la rinuncia a tutti i propri averi perché una persona è ciò che è e non ciò che ha, perché la nostra vita non dipende dai nostri beni, ma dal bene, dall’amore che avremo saputo costruire intorno a noi; “Un uomo vale quanto vale il suo cuore!” disse un giorno Gandhi.
Se voglio essere discepolo di Cristo devo imparare non ad avere di più, ma ad amare di più, per vivere come figlio di un Dio che è Amore!
Mi sono sempre chiesto che cosa volesse dire essere discepoli di Cristo, forse nel loro cuore se lo chiedevano coloro che quel giorno seguivano Gesù, erano una folla numerosa e chissà quanti di quelli avranno continuato a seguire Gesù, dopo che volgendosi verso di loro li avvertì riguardo alle impellenti richieste che la sua sequela esigeva.
Il linguaggio di Gesù può apparire duro e severo, ma è il linguaggio di chi chiede se quel rapporto che li lega è vero amore al di là di facili entusiasmi momentanei o di interessi effimeri. Gesù propone un Dio che non vuole sacrifici, ma misericordia (cfr. Os 6,6; Mt 9,13), un Dio che ama e che chiede amore e come un innamorato vuole coinvolgere la persona amata in un progetto di vita comune proprio come nel matrimonio, che deve fondarsi su un rapporto d’amore che sia esclusivo, fecondo e fedele. Allora come nella vita matrimoniale ognuno è invitato a rinunciare a qualcosa per vivere nella condivisione con l’altro così queste parole non sono da interpretare come richieste di sacrifici o di rinunce. Per troppo tempo il vangelo è stato presentato come una serie di proibizioni, nascondendo la sua vera proposta, quella di una beatitudine completa, di una gioia eterna, di una vita pienamente realizzata.
Gesù pone tre condizioni radicali per essere suoi discepoli e la prima appare particolarmente tranciante, direi quasi scioccante: se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore e lo fa con parole forti, che sembrano voler distruggere i nostri affetti più belli e grandi, ma il punto centrale è quel “mi ama di più”. Insomma la richiesta di Gesù è un “di più”, una sovrabbondanza d’amore: insomma quando si incontra Cristo diventa Lui il punto di riferimento di tutte le scelte, riferimento che supera anche te stesso, le tue scelte, i tuoi progetti, ciò che ti piace, la tua stessa vita. Il discepolo è colui che illumina i suoi amori, gli affetti, i rapporti con una luce più grande e Gesù diventa la garanzia che quegli amori saranno più vivi e più luminosi e soprattutto saranno eterni, capaci di superare la morte perché Lui, che possiede la chiave dell’arte di amare, ha vinto la morte.
La seconda richiesta riguarda il prendere la propria croce ed a questo proposito bisogna fare una precisazione poiché con croce una certa catechesi ha sempre indicato le sofferenze che inevitabilmente possiamo incontrare nella vita. Non riduciamo la croce di Cristo al solo suo aspetto di dolore e di sofferenza seppure molto importante, nel Vangelo la croce è la buona notizia dell’infinito amore di Dio, la croce è il vertice ed il riassunto di un amore senza misura, di un amore che io non ho meritato se non per il fatto che Dio mi considera suo figlio!
Portare la croce significa innanzitutto vivere pienamente il proprio modo di amare fino alla fine, gratuitamente ed eternamente e di conseguenza accettare anche la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte per rimanere fedeli a Cristo. Portare la croce significa fare la scelta del perdono quando il mondo intende la giustizia come vendetta, fare la scelta dell’amore verso il nemico anche se questo può farti apparire come un debole; portare la croce significa accettare il disprezzo della società perché puoi essere considerato un fallito, un perdente; significa accettare di essere deriso, quando difendi la dignità ed il diritto alla vita. Insomma la croce è ciò che inevitabilmente accompagna la vita di chi vuol essere fedele a Cristo. Ed insieme alla croce la resurrezione!
Due parabole introducono l’ultima condizione, forse la più dura, due parabole per dire a noi che seguire Gesù è una cosa seria, non è banale, sono un invito a “sedersi” per riflettere bene sulle conseguenze del nostro essere cristiano, su tutto ciò che comporta seguire Gesù.
La terza richiesta è la rinuncia a tutti i propri averi perché una persona è ciò che è e non ciò che ha, perché la nostra vita non dipende dai nostri beni, ma dal bene, dall’amore che avremo saputo costruire intorno a noi; “Un uomo vale quanto vale il suo cuore!” disse un giorno Gandhi.
Se voglio essere discepolo di Cristo devo imparare non ad avere di più, ma ad amare di più, per vivere come figlio di un Dio che è Amore!
Commento 8 settembre 2019
Era un giovedì, il 4 Ottobre 1979, quando un ragazzo si presenta alla porta di casa mia: “Vieni a giocare a pallone sabato? Ci vediamo davanti alla parrocchia!” Con queste parole il Signore allora mi ha chiamato ed io che amavo il calcio non ho saputo resistere a quell’invito, sono andato e anche se non abbiamo potuto giocare, quel sabato pioveva, il Signore si è fatto compagno di strada nella mia vita, prima nei gruppi di Azione Cattolica e poi nella comunità che ancora oggi è custode della mia fede e delle mie scelte. Mi sono sempre chiesto che cosa volesse dire essere discepoli di Cristo, forse nel loro cuore se lo chiedevano anche alcuni o tutti coloro che quel giorno seguivano Gesù, anche se forse non avevano ancora capito quale era la sua proposta.
Gesù propone un Dio che non vuole sacrifici, ma misericordia (cfr. Os 6,6; Mt 9,13), un Dio che ama e che chiede amore e come un innamorato vuole coinvolgere la persona amata in un progetto di vita comune. Il linguaggio può apparire duro e severo, ma è il linguaggio di chi chiede se quel rapporto che li lega è vero amore al di là di facili entusiasmi momentanei o di interessi effimeri. Come nel matrimonio i coniugi tra loro, così Gesù chiede un rapporto d’amore che sia esclusivo, fecondo e fedele. Queste parole non sono da interpretare come richieste di sacrifici o di rinunce; per troppo tempo il vangelo è stato presentato come una serie di proibizioni, nascondendo la sua vera proposta, quella di una beatitudine completa, di una gioia eterna, di una vita pienamente realizzata.
Gesù pone tre condizioni radicali per essere suoi discepoli e la prima appare particolarmente tranciante, direi quasi scioccante: se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore e lo fa con parole forti, che sembrano voler distruggere i nostri affetti più belli e grandi, ma il punto centrale è quel “mi ama di più”. Scrive Ronchi “allora non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un di più”
Insomma quando si incontra Cristo diventa Lui il punto di riferimento di tutte le scelte, riferimento che supera anche te stesso, le tue scelte, i tuoi progetti, ciò che ti piace, la tua stessa vita. Il discepolo è colui che illumina i suoi amori, gli affetti, i rapporti con una luce più grande: Gesù è la garanzia che i nostri amori saranno più vivi e più luminosi e soprattutto saranno eterni, capaci di superare la morte perché Lui, che possiede la chiave dell’arte di amare, ha vinto la morte.
La seconda richiesta riguarda il prendere la propria croce ed a questo proposito bisogna fare una precisazione poiché con croce noi abbiamo inteso le sofferenze che inevitabilmente possiamo incontrare o incontriamo nella vita. Non riduciamo la croce di Cristo al solo suo aspetto di dolore e di sofferenza seppure molto importante. Nel Vangelo la croce è la buona notizia dell’infinito amore di Dio, è il vertice ed il riassunto di un amore senza misura, di un amore che io non ho meritato se non per il fatto che Dio mi considera suo figlio! Portare la croce significa accettare la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte per rimanere fedeli a Cristo; significa fare la scelta del perdono quando il mondo intende la giustizia come vendetta, fare la scelta dell’amore verso il nemico anche se questo può farti apparire come un debole; portare la croce significa accettare il disprezzo della società perché puoi essere considerato un fallito, un perdente; significa accettare di essere deriso, quando difendi la dignità ed il diritto alla vita. Insomma la croce è ciò che inevitabilmente accompagna la vita di chi vuol essere fedele a Cristo. Ed insieme alla croce la resurrezione!
Due parabole introducono l’ultima condizione, forse la più dura, due parabole per dire a noi che seguire Gesù è una cosa seria, non è banale, sono un invito a “sedersi” per riflettere bene sulle conseguenze del nostro essere cristiano, su tutto ciò che comporta seguire Gesù.
La terza richiesta è la rinuncia a tutti i propri averi perché una persona è ciò che è e non ciò che ha, perché la nostra vita non dipende dai nostri beni, ma dal bene, dall’amore che avremo saputo costruire intorno a noi; “Un uomo vale quanto vale il suo cuore!” disse un giorno Gandhi.
Se voglio essere discepolo di Cristo devo imparare non ad avere di più, ma ad amare di più, per vivere come figlio di un Dio che è Amore!
Gesù propone un Dio che non vuole sacrifici, ma misericordia (cfr. Os 6,6; Mt 9,13), un Dio che ama e che chiede amore e come un innamorato vuole coinvolgere la persona amata in un progetto di vita comune. Il linguaggio può apparire duro e severo, ma è il linguaggio di chi chiede se quel rapporto che li lega è vero amore al di là di facili entusiasmi momentanei o di interessi effimeri. Come nel matrimonio i coniugi tra loro, così Gesù chiede un rapporto d’amore che sia esclusivo, fecondo e fedele. Queste parole non sono da interpretare come richieste di sacrifici o di rinunce; per troppo tempo il vangelo è stato presentato come una serie di proibizioni, nascondendo la sua vera proposta, quella di una beatitudine completa, di una gioia eterna, di una vita pienamente realizzata.
Gesù pone tre condizioni radicali per essere suoi discepoli e la prima appare particolarmente tranciante, direi quasi scioccante: se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull’amore e lo fa con parole forti, che sembrano voler distruggere i nostri affetti più belli e grandi, ma il punto centrale è quel “mi ama di più”. Scrive Ronchi “allora non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un di più”
Insomma quando si incontra Cristo diventa Lui il punto di riferimento di tutte le scelte, riferimento che supera anche te stesso, le tue scelte, i tuoi progetti, ciò che ti piace, la tua stessa vita. Il discepolo è colui che illumina i suoi amori, gli affetti, i rapporti con una luce più grande: Gesù è la garanzia che i nostri amori saranno più vivi e più luminosi e soprattutto saranno eterni, capaci di superare la morte perché Lui, che possiede la chiave dell’arte di amare, ha vinto la morte.
La seconda richiesta riguarda il prendere la propria croce ed a questo proposito bisogna fare una precisazione poiché con croce noi abbiamo inteso le sofferenze che inevitabilmente possiamo incontrare o incontriamo nella vita. Non riduciamo la croce di Cristo al solo suo aspetto di dolore e di sofferenza seppure molto importante. Nel Vangelo la croce è la buona notizia dell’infinito amore di Dio, è il vertice ed il riassunto di un amore senza misura, di un amore che io non ho meritato se non per il fatto che Dio mi considera suo figlio! Portare la croce significa accettare la sofferenza, la persecuzione, l’emarginazione, la morte per rimanere fedeli a Cristo; significa fare la scelta del perdono quando il mondo intende la giustizia come vendetta, fare la scelta dell’amore verso il nemico anche se questo può farti apparire come un debole; portare la croce significa accettare il disprezzo della società perché puoi essere considerato un fallito, un perdente; significa accettare di essere deriso, quando difendi la dignità ed il diritto alla vita. Insomma la croce è ciò che inevitabilmente accompagna la vita di chi vuol essere fedele a Cristo. Ed insieme alla croce la resurrezione!
Due parabole introducono l’ultima condizione, forse la più dura, due parabole per dire a noi che seguire Gesù è una cosa seria, non è banale, sono un invito a “sedersi” per riflettere bene sulle conseguenze del nostro essere cristiano, su tutto ciò che comporta seguire Gesù.
La terza richiesta è la rinuncia a tutti i propri averi perché una persona è ciò che è e non ciò che ha, perché la nostra vita non dipende dai nostri beni, ma dal bene, dall’amore che avremo saputo costruire intorno a noi; “Un uomo vale quanto vale il suo cuore!” disse un giorno Gandhi.
Se voglio essere discepolo di Cristo devo imparare non ad avere di più, ma ad amare di più, per vivere come figlio di un Dio che è Amore!
Commento 4 settembre 2016
Quanto sono dure le parole che il vangelo di oggi ci propone; credo, però, che per coglierne il vero significato sia necessario contestualizzarle, ovvero ricordando a tutti noi a chi erano rivolte. Luca scrive una cinquantina di anni dopo la morte di Gesù, la comunità cristiana ha già subito diverse persecuzioni dalle prime dei Giudei a quelle dei Romani e molti cristiani erano chiamati a scegliere tra la loro appartenenza alla comunità e gli affetti più cari; in ogni momento potevi essere tradito dal coniuge, dai figli, dai genitori o dagli amici più cari. Nessuno poteva esimersi dallo scegliere tra la sequela di Cristo e gli affetti: “se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami …non può essere mio discepolo”.
Nessuno può prendere alla leggera la chiamata di Dio; occorre riflettere bene sulla scelta che si sta per intraprendere così come riflette bene chi volendo costruire qualcosa si chiede innanzitutto se avrà la possibilità di portare a termine i lavori o come il re che prima di dichiarare guerra cerca di capire se riuscirà a vincere la battaglia. Prendere sul serio la propria chiamata vuol dire vivere responsabilmente il proprio ruolo all’interno del progetto d’amore di Dio ed è quello che oggi ci viene chiesto; solo chi si pone in questa logica saprà essere testimone coerente dell’amore di Dio.
Nessuno può prendere alla leggera la chiamata di Dio; occorre riflettere bene sulla scelta che si sta per intraprendere così come riflette bene chi volendo costruire qualcosa si chiede innanzitutto se avrà la possibilità di portare a termine i lavori o come il re che prima di dichiarare guerra cerca di capire se riuscirà a vincere la battaglia. Prendere sul serio la propria chiamata vuol dire vivere responsabilmente il proprio ruolo all’interno del progetto d’amore di Dio ed è quello che oggi ci viene chiesto; solo chi si pone in questa logica saprà essere testimone coerente dell’amore di Dio.