XXXIV domenica T.O.
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo Anno A
Vangelo Mt 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Commento 26 novembre 2023
Eccoci qua, giunti alla conclusione di un altro anno liturgico, con domenica prossima inizieremo un nuovo percorso, un nuovo cammino verso il Signore che viene con l’avvento.
La Chiesa dedica questa 34a domenica del tempo ordinario alla solennità di Cristo Re dell’Universo: era il 1925 e mentre apparivano all’orizzonte le figure di Hitler, Stalin e Mussolini, che avrebbero condotto l’Europa ed il mondo intero alla seconda guerra mondiale; Pio XI istituì la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo. A ben vedere questa poteva apparire come la risposta della Chiesa ai totalitarismi che stavano sorgendo con la pretesa di dominare sul mondo e sui popoli in modo assoluto, ma non era forse da escludere una tentazione cesaropapista da parte dello stesso papa nell’imporre sui nascenti stati dittatoriali la superiorità di Cristo e della Chiesa.
Oggi non è più così e, nel nostro mondo occidentale dove la democrazia sembra ormai una conquista acquisita, è doveroso chiedersi quale sia il messaggio di questa festa.
Sono cresciuto prima in una parrocchia e poi in un istituto secolare per i quali questa celebrazione rappresentava un momento di festa importante e questo mi ha aiutato a cogliere il vero significato di questo titolo, liberandolo da tutte le tentazioni trionfalistiche. Gesù stesso di fronte a coloro che lo accusavano di voler essere re, rispose fermamente che il suo regno non era di questo mondo (cfr. Gv 19,36), perché non seguiva la logica di potere e di successo su cui questo mondo fondava i suoi valori.
La liturgia in questo anno A ci propone come vangelo la scena del giudizio universale, dove questo strano re siede sul suo trono glorioso come giudice della storia e dell’umanità. Ora leggere questo racconto come la descrizione del giudizio di Dio al termine della nostra vita e del mondo mi sconcerta sempre: dove sta il Vangelo, dove sta la bella notizia? Certamente non nel sapere che saremo posti di fronte al tribunale di Dio che trova difetti perfino nei suoi angeli (cfr. Gb 4,17-18); chi di noi, infatti, può dirsi certo di essere annoverato tra coloro che si sentiranno dire dal Signore: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!” Non sarà molto più probabile, come certamente succederà a me, caprone testardo, di sentirsi rivolgere parole forti ed impressionanti come “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Non posso credere in un Dio così, non voglio credere in un Dio così! Questo Dio non è il mio Dio! Non credo soprattutto che questo sia il Dio di Gesù Cristo! Piuttosto divento ateo!!! Rinuncio volentieri a quel Dio dal grande occhio, giudice inesorabile, pronto solo a punire ogni mio peccato! Voglio credere che Dio è Amore e che gratuitamente mi ama! Ama tutti noi!
Cerchiamo di capire meglio questo testo. Il racconto non è una parabola, ma una “scena di giudizio” di genere apocalittico: il Figlio dell’Uomo viene nella sua gloria per sedersi in trono. Ora sappiamo bene che l’ora della gloria, ce lo racconta Giovanni nel suo vangelo, è il momento della crocifissione ed allora quel trono è la croce. Quello strano re che oggi celebriamo sceglie come suo trono la croce e da quel pulpito d’amore con le sue braccia eternamente spalancate in un tenerissimo abbraccio egli pronuncia la sua sentenza sulla nostra vita riuscita o sbagliata che sia!
Il giudizio avviene lì: di fronte a questo uomo, che riconosco come il mio Dio, che dona la sua vita per amore io mi inginocchio perché è proprio Lui l’esemplare perfetto, l’uomo autentico; è di fronte a quest’uomo che al termine della vita, tutti noi ci dovremo presentare, è con la sua vita donata che ci dovremo confrontare, sapendo che la nostra vita sarà considerata riuscita se, anche solo in minima parte, assomiglierà alla sua: ecco il giudizio di Dio!
Un particolare ci aiuta a comprendere più pienamente questo testo: Gesù riprende un gesto quotidiano dei pastori che alla sera separavano le pecore dai capri: ora, poiché le prime, essendo coperte dalla lana potevano stare all’aperto, era ai secondi, i capri, che veniva riservata la possibilità di trovare rifugio in grotte o negli ovili per proteggersi dal freddo.
In secondo luogo mentre le pecore vengono benedette dal Padre, dei capri si dice solo che sono maledetti senza affermare chi sia a maledire, quasi a rimarcare come probabilmente si tratti di una automaledizione da parte di coloro che hanno vissuto la loro vita “separandosi” (ecco il senso biblico del termine maledire), da Gesù. Qui, pertanto, non si sta parlando di inferno, si sta dicendo che oggi chi non vive concretamente l’amore non ha nulla a che fare con Gesù, vive separato da Dio, che è amore; ciò che Gesù sta dicendo è che le conseguenze delle nostre scelte quotidiane di amore oppure di rifiuto dell’amore saranno eterne e occorre non sprecare la vita. Insomma chi non ama finisce per buttare la sua vita nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme dove ardeva un fuoco perenne. Ma, lo voglio ripetere, tutto questo non ha nulla a che fare con l’inferno!
Ne consegue qualcosa di meraviglioso: quanto sarà sottoposto al giudizio di Dio non è il male commesso, che a Dio non interessa, quanto piuttosto i semi di bene che avremo saputo spargere nei sentieri della nostra vita. Dio usa bilance truccate poiché non sono tarate sui nostri peccati, ma sulla bontà, sul bene, sulla vita che sappiamo costruire intorno a noi.
È straordinaria l’insistenza con cui Gesù ci richiama al bene e per ben quattro volte Gesù fornisce l’elenco di quelle azioni che rendono concreto e perciò eterno l’amore ed è importante sottolineare come tra queste non si parli di fede, di partecipazione all’eucaristia e tantomeno di preghiere, litanie e rosari. Egli indica sei opere rivolte all’uomo: sfamare, dissetare, accogliere, vestire, visitare gli ammalati e andare a trovare i carcerati. Sei opere che diventano eucaristia celebrata e preghiera vera perché Gesù si identifica con quel nostro fratello più piccolo che abbiamo saputo sfamare, dissetare, accogliere, visitare.
Occorre per questo convertire i nostri occhi perché possiamo riconoscere in quel nostro fratello e sorella più piccoli Gesù: se sarà così, certamente cambierà il nostro sguardo quando guarderemo all’ennesimo sbarco sulle nostre coste, o quando percorreremo le corsie di un ospedale o i corridoi di un carcere, o ancora quando guarderemo lo zingaro o il povero che chiede l’elemosina alle porte delle nostre chiese.
Infine a colpirmi è la sorpresa delle persone che hanno compiuto queste opere d’amore, quasi l’avessero fatto a loro insaputa; per vivere nell’amore non c’è bisogno di consapevolezza e non serve conoscere il vangelo per amare, colui che non crede se ama anche se non lo sa sta servendo Dio. Allora il vantaggio del discepolo di Cristo sta soltanto nel conoscere il segreto di una vita pienamente realizzata e perciò pienamente felice!
In conclusione quando saremo di fronte al trono del giudizio di Dio, la croce, come andrà a finire? “Io, speriamo che me la cavo!” scriveva un alunno del maestro D’Orta commentando questo brano. Alla fine, ne sono certo, non ci sarà nessuna pecora così bianca da riflettere interamente l’infinita luce di Dio e non ci sarà nessun capro totalmente oscuro da non aver neppure per un istante aperto la sua vita ad una scintilla d’amore; per cui non ci sarà una separazione tra buoni e cattivi, ma ci sarà solo l’apertura delle braccia del Padre che accoglierà tutti i suoi figli in una comunione eterna!
Basterà solo un piccolo gesto, un unico piccolo gesto di accoglienza verso un fratello anche se non riconosceremo in lui il volto di Gesù, perché questo per Dio sarà sufficiente. Così in quell’incontro di infinito amore, ogni pecora sarà purificata da ogni macchia scura ed ogni capro sarà rischiarato nelle sue parti oscure dalla misericordia di Dio. Gesù, re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna.
La Chiesa dedica questa 34a domenica del tempo ordinario alla solennità di Cristo Re dell’Universo: era il 1925 e mentre apparivano all’orizzonte le figure di Hitler, Stalin e Mussolini, che avrebbero condotto l’Europa ed il mondo intero alla seconda guerra mondiale; Pio XI istituì la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo. A ben vedere questa poteva apparire come la risposta della Chiesa ai totalitarismi che stavano sorgendo con la pretesa di dominare sul mondo e sui popoli in modo assoluto, ma non era forse da escludere una tentazione cesaropapista da parte dello stesso papa nell’imporre sui nascenti stati dittatoriali la superiorità di Cristo e della Chiesa.
Oggi non è più così e, nel nostro mondo occidentale dove la democrazia sembra ormai una conquista acquisita, è doveroso chiedersi quale sia il messaggio di questa festa.
Sono cresciuto prima in una parrocchia e poi in un istituto secolare per i quali questa celebrazione rappresentava un momento di festa importante e questo mi ha aiutato a cogliere il vero significato di questo titolo, liberandolo da tutte le tentazioni trionfalistiche. Gesù stesso di fronte a coloro che lo accusavano di voler essere re, rispose fermamente che il suo regno non era di questo mondo (cfr. Gv 19,36), perché non seguiva la logica di potere e di successo su cui questo mondo fondava i suoi valori.
La liturgia in questo anno A ci propone come vangelo la scena del giudizio universale, dove questo strano re siede sul suo trono glorioso come giudice della storia e dell’umanità. Ora leggere questo racconto come la descrizione del giudizio di Dio al termine della nostra vita e del mondo mi sconcerta sempre: dove sta il Vangelo, dove sta la bella notizia? Certamente non nel sapere che saremo posti di fronte al tribunale di Dio che trova difetti perfino nei suoi angeli (cfr. Gb 4,17-18); chi di noi, infatti, può dirsi certo di essere annoverato tra coloro che si sentiranno dire dal Signore: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!” Non sarà molto più probabile, come certamente succederà a me, caprone testardo, di sentirsi rivolgere parole forti ed impressionanti come “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Non posso credere in un Dio così, non voglio credere in un Dio così! Questo Dio non è il mio Dio! Non credo soprattutto che questo sia il Dio di Gesù Cristo! Piuttosto divento ateo!!! Rinuncio volentieri a quel Dio dal grande occhio, giudice inesorabile, pronto solo a punire ogni mio peccato! Voglio credere che Dio è Amore e che gratuitamente mi ama! Ama tutti noi!
Cerchiamo di capire meglio questo testo. Il racconto non è una parabola, ma una “scena di giudizio” di genere apocalittico: il Figlio dell’Uomo viene nella sua gloria per sedersi in trono. Ora sappiamo bene che l’ora della gloria, ce lo racconta Giovanni nel suo vangelo, è il momento della crocifissione ed allora quel trono è la croce. Quello strano re che oggi celebriamo sceglie come suo trono la croce e da quel pulpito d’amore con le sue braccia eternamente spalancate in un tenerissimo abbraccio egli pronuncia la sua sentenza sulla nostra vita riuscita o sbagliata che sia!
Il giudizio avviene lì: di fronte a questo uomo, che riconosco come il mio Dio, che dona la sua vita per amore io mi inginocchio perché è proprio Lui l’esemplare perfetto, l’uomo autentico; è di fronte a quest’uomo che al termine della vita, tutti noi ci dovremo presentare, è con la sua vita donata che ci dovremo confrontare, sapendo che la nostra vita sarà considerata riuscita se, anche solo in minima parte, assomiglierà alla sua: ecco il giudizio di Dio!
Un particolare ci aiuta a comprendere più pienamente questo testo: Gesù riprende un gesto quotidiano dei pastori che alla sera separavano le pecore dai capri: ora, poiché le prime, essendo coperte dalla lana potevano stare all’aperto, era ai secondi, i capri, che veniva riservata la possibilità di trovare rifugio in grotte o negli ovili per proteggersi dal freddo.
In secondo luogo mentre le pecore vengono benedette dal Padre, dei capri si dice solo che sono maledetti senza affermare chi sia a maledire, quasi a rimarcare come probabilmente si tratti di una automaledizione da parte di coloro che hanno vissuto la loro vita “separandosi” (ecco il senso biblico del termine maledire), da Gesù. Qui, pertanto, non si sta parlando di inferno, si sta dicendo che oggi chi non vive concretamente l’amore non ha nulla a che fare con Gesù, vive separato da Dio, che è amore; ciò che Gesù sta dicendo è che le conseguenze delle nostre scelte quotidiane di amore oppure di rifiuto dell’amore saranno eterne e occorre non sprecare la vita. Insomma chi non ama finisce per buttare la sua vita nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme dove ardeva un fuoco perenne. Ma, lo voglio ripetere, tutto questo non ha nulla a che fare con l’inferno!
Ne consegue qualcosa di meraviglioso: quanto sarà sottoposto al giudizio di Dio non è il male commesso, che a Dio non interessa, quanto piuttosto i semi di bene che avremo saputo spargere nei sentieri della nostra vita. Dio usa bilance truccate poiché non sono tarate sui nostri peccati, ma sulla bontà, sul bene, sulla vita che sappiamo costruire intorno a noi.
È straordinaria l’insistenza con cui Gesù ci richiama al bene e per ben quattro volte Gesù fornisce l’elenco di quelle azioni che rendono concreto e perciò eterno l’amore ed è importante sottolineare come tra queste non si parli di fede, di partecipazione all’eucaristia e tantomeno di preghiere, litanie e rosari. Egli indica sei opere rivolte all’uomo: sfamare, dissetare, accogliere, vestire, visitare gli ammalati e andare a trovare i carcerati. Sei opere che diventano eucaristia celebrata e preghiera vera perché Gesù si identifica con quel nostro fratello più piccolo che abbiamo saputo sfamare, dissetare, accogliere, visitare.
Occorre per questo convertire i nostri occhi perché possiamo riconoscere in quel nostro fratello e sorella più piccoli Gesù: se sarà così, certamente cambierà il nostro sguardo quando guarderemo all’ennesimo sbarco sulle nostre coste, o quando percorreremo le corsie di un ospedale o i corridoi di un carcere, o ancora quando guarderemo lo zingaro o il povero che chiede l’elemosina alle porte delle nostre chiese.
Infine a colpirmi è la sorpresa delle persone che hanno compiuto queste opere d’amore, quasi l’avessero fatto a loro insaputa; per vivere nell’amore non c’è bisogno di consapevolezza e non serve conoscere il vangelo per amare, colui che non crede se ama anche se non lo sa sta servendo Dio. Allora il vantaggio del discepolo di Cristo sta soltanto nel conoscere il segreto di una vita pienamente realizzata e perciò pienamente felice!
In conclusione quando saremo di fronte al trono del giudizio di Dio, la croce, come andrà a finire? “Io, speriamo che me la cavo!” scriveva un alunno del maestro D’Orta commentando questo brano. Alla fine, ne sono certo, non ci sarà nessuna pecora così bianca da riflettere interamente l’infinita luce di Dio e non ci sarà nessun capro totalmente oscuro da non aver neppure per un istante aperto la sua vita ad una scintilla d’amore; per cui non ci sarà una separazione tra buoni e cattivi, ma ci sarà solo l’apertura delle braccia del Padre che accoglierà tutti i suoi figli in una comunione eterna!
Basterà solo un piccolo gesto, un unico piccolo gesto di accoglienza verso un fratello anche se non riconosceremo in lui il volto di Gesù, perché questo per Dio sarà sufficiente. Così in quell’incontro di infinito amore, ogni pecora sarà purificata da ogni macchia scura ed ogni capro sarà rischiarato nelle sue parti oscure dalla misericordia di Dio. Gesù, re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna.
Commento 22 novembre 2020
Eccoci qua, giunti finalmente alla conclusione di un altro anno liturgico, con domenica prossima inizieremo un nuovo percorso, un nuovo cammino verso il Signore che viene con l’avvento. Eccoci, dunque qua, alla 34a domenica del tempo ordinario che la liturgia dedica un po’ pomposamente alla solennità di Cristo Re dell’Universo. Sono cresciuto prima in una parrocchia e poi in un istituto secolare che mi hanno aiutato a cogliere il vero significato di questo titolo, liberandolo innanzitutto da tutte le tentazioni trionfalistiche: Gesù è re della mia vita e dell’universo intero, ma il suo regno non è di questo mondo (cfr. Gv 19,36), non segue la logica di potere e di successo su cui questo mondo fonda i suoi valori.
In questo anno liturgico A, il vangelo ci propone la scena del giudizio universale, che si innesta perfettamente ai tempi del Covid 19, con le nostre paure già amplificate da questo nemico subdolo e pericoloso; ma leggere questo racconto come la descrizione del giudizio di Dio al termine della nostra vita e del mondo è davvero fuorviante: dove sta il Vangelo, dove sta la bella notizia nel sapere che saremo posti di fronte al tribunale di Dio che trova difetti perfino nei suoi angeli (cfr. Gb 4,17-18), chi di noi può dirsi certo di sentirsi dire dal Signore: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!” mentre a tutti gli altri, compreso me, caprone testardo, il Signore rivolgerà parole incredibilmente forti ed impressionanti: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Questo Dio non è il mio Dio! Non credo soprattutto che sia il Dio di Gesù Cristo! Piuttosto divento ateo!!! Rinuncio a quel Dio pronto solo a punire ogni mio peccato! Voglio credere che Dio mi ami! Ama tutti noi!
Il racconto presenta un “scena di giudizio” di genere apocalittico, non siamo pertanto di fronte ad una parabola come nelle settimane scorse: il Figlio dell’Uomo viene nella sua gloria per sedersi in trono, ma sappiamo bene che l’ora della gloria, ce lo racconta Giovanni nel suo vangelo, è il momento della crocifissione ed allora quel trono assume una connotazione particolare e diventa la croce.
Da quella croce con le braccia eternamente spalancate in un tenerissimo abbraccio egli pronuncia la sua sentenza sulla nostra vita riuscita o sbagliata che sia: il giudizio avviene lì, di fronte a quest’uomo, che riconosco come il mio Dio, di fronte a quest’uomo che dona la sua vita per amore divenendo esempio per ognuno di noi perché l’uomo autentico è colui che ama, che dona tutto sé stesso per amore del fratello. È di fronte a quest’uomo che al termine della vita, tutti noi ci dovremo presentare, è con la sua vita donata che ci dovremo confrontare e la nostra vita sarà considerata riuscita anche solo se in minima parte assomiglierà alla sua: ecco il giudizio di Dio! In questa scena potente e drammatica noi troviamo lo svelamento della verità ultima del vivere, la rivelazione di ciò che rimane alla fine quando non rimane più niente: l’amore.
Gesù riprende un gesto quotidiano dei pastori che alla sera separavano le pecore dai capri, poiché le prime essendo coperte dalla lana potevano stare all’aperto, mentre i secondi dovevano trovare rifugio in grotte o negli ovili per proteggersi dal freddo. Mentre le prime vengono benedette dal Padre, i secondi si dice solo che sono maledetti, una maledizione che non ha un soggetto che maledice quasi a ricordare una automaledizione da parte di coloro che hanno vissuto la loro vita “separandosi” (ecco il senso biblico del termine maledire), da Gesù, insomma tutti coloro che non hanno vissuto secondo una logica di amore e di condivisione la loro vita.
Allora diventa chiaro che qui non si sta parlando di inferno, si sta dicendo che oggi chi non vive concretamente l’amore non ha nulla a che fare con Gesù, vive separato da Dio, che è amore. Ciò che Gesù sta dicendo è che le conseguenze delle nostre scelte quotidiane di amore oppure di rifiuto dell’amore saranno eterne e occorre non sprecare la vita. Infatti, chi non ama finisce per buttare la sua vita nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme dove ardeva un fuoco perenne. Ma, lo voglio ripetere, tutto questo non ha nulla a che fare con l’inferno!
Mi pare importante sottolineare che quanto sarà sottoposto al giudizio non è il male commesso, quanto il bene; Dio usa bilance truccate poiché non sono tarate sui nostri peccati, ma sulla bontà, sul bene, sulla vita che sappiamo costruire intorno a noi. Le bilance di Dio non peseranno tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa, poiché la verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore, per cui un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo.
Per ben quattro volte Gesù fornisce l’elenco di quelle azioni che rendono concreto e perciò eterno l’amore e non ci parla di partecipazione all’eucaristia, tantomeno di preghiere, litanie e rosari; egli indica sei opere rivolte all’uomo: sfamare, dissetare, accogliere, vestire, visitare gli ammalati e andare a trovare i carcerati. Sei opere rivolte all’uomo che diventano eucaristia, preghiera perché Gesù si identifica con quel nostro fratello più piccolo. Allora, se riusciamo a vedere in quel fratello Gesù, come cambierà il nostro sguardo quando guarderemo l’ennesimo sbarco sulle nostre coste di qualche gruppo di migranti, o quando percorreremo le corsie di un ospedale o i corridoi di un carcere, o ancora con quali occhi guarderemo lo zingaro o il povero che chiede un po’ di elemosina.
A colpirmi è la sorpresa delle persone che hanno compiuto queste opere d’amore a loro insaputa; per vivere nell’amore non c’è bisogno di consapevolezza e non serve conoscere il vangelo per amare, colui che non crede se ama anche se non lo sa sta servendo Dio; il vantaggio del discepolo di Cristo sta soltanto nel conoscere il segreto di una vita pienamente realizzata e perciò pienamente felice!
Allora come andrà a finire? “Io, speriamo che me la cavo!” scriveva un alunno del maestro D’Orta. Le pecore in paradiso e le capre all’inferno? Alla fine, ne sono certo, non ci sarà nessuna pecora così bianca da riflettere interamente l’infinita luce di Dio e non ci sarà nessun capro totalmente oscuro da non aver neppure per un istante aperto la sua vita ad una scintilla d’amore; per cui non ci sarà una separazione. Il re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna tra buoni e cattivi, ma ci sarà solo l’apertura delle braccia del Padre che accoglierà tutti i suoi figli. Basterà solo un piccolo gesto, un unico piccolo gesto di accoglienza verso un fratello anche se non riconosceremo in lui il volto di Gesù perché questo per Dio sarà sufficiente. Così in quell’incontro di infinito amore, ogni pecora sarà purificata da ogni macchia scura ed ogni capro sarà rischiarato nelle sue parti oscure dalla misericordia di Dio. Gesù, re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna.
In questo anno liturgico A, il vangelo ci propone la scena del giudizio universale, che si innesta perfettamente ai tempi del Covid 19, con le nostre paure già amplificate da questo nemico subdolo e pericoloso; ma leggere questo racconto come la descrizione del giudizio di Dio al termine della nostra vita e del mondo è davvero fuorviante: dove sta il Vangelo, dove sta la bella notizia nel sapere che saremo posti di fronte al tribunale di Dio che trova difetti perfino nei suoi angeli (cfr. Gb 4,17-18), chi di noi può dirsi certo di sentirsi dire dal Signore: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!” mentre a tutti gli altri, compreso me, caprone testardo, il Signore rivolgerà parole incredibilmente forti ed impressionanti: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Questo Dio non è il mio Dio! Non credo soprattutto che sia il Dio di Gesù Cristo! Piuttosto divento ateo!!! Rinuncio a quel Dio pronto solo a punire ogni mio peccato! Voglio credere che Dio mi ami! Ama tutti noi!
Il racconto presenta un “scena di giudizio” di genere apocalittico, non siamo pertanto di fronte ad una parabola come nelle settimane scorse: il Figlio dell’Uomo viene nella sua gloria per sedersi in trono, ma sappiamo bene che l’ora della gloria, ce lo racconta Giovanni nel suo vangelo, è il momento della crocifissione ed allora quel trono assume una connotazione particolare e diventa la croce.
Da quella croce con le braccia eternamente spalancate in un tenerissimo abbraccio egli pronuncia la sua sentenza sulla nostra vita riuscita o sbagliata che sia: il giudizio avviene lì, di fronte a quest’uomo, che riconosco come il mio Dio, di fronte a quest’uomo che dona la sua vita per amore divenendo esempio per ognuno di noi perché l’uomo autentico è colui che ama, che dona tutto sé stesso per amore del fratello. È di fronte a quest’uomo che al termine della vita, tutti noi ci dovremo presentare, è con la sua vita donata che ci dovremo confrontare e la nostra vita sarà considerata riuscita anche solo se in minima parte assomiglierà alla sua: ecco il giudizio di Dio! In questa scena potente e drammatica noi troviamo lo svelamento della verità ultima del vivere, la rivelazione di ciò che rimane alla fine quando non rimane più niente: l’amore.
Gesù riprende un gesto quotidiano dei pastori che alla sera separavano le pecore dai capri, poiché le prime essendo coperte dalla lana potevano stare all’aperto, mentre i secondi dovevano trovare rifugio in grotte o negli ovili per proteggersi dal freddo. Mentre le prime vengono benedette dal Padre, i secondi si dice solo che sono maledetti, una maledizione che non ha un soggetto che maledice quasi a ricordare una automaledizione da parte di coloro che hanno vissuto la loro vita “separandosi” (ecco il senso biblico del termine maledire), da Gesù, insomma tutti coloro che non hanno vissuto secondo una logica di amore e di condivisione la loro vita.
Allora diventa chiaro che qui non si sta parlando di inferno, si sta dicendo che oggi chi non vive concretamente l’amore non ha nulla a che fare con Gesù, vive separato da Dio, che è amore. Ciò che Gesù sta dicendo è che le conseguenze delle nostre scelte quotidiane di amore oppure di rifiuto dell’amore saranno eterne e occorre non sprecare la vita. Infatti, chi non ama finisce per buttare la sua vita nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme dove ardeva un fuoco perenne. Ma, lo voglio ripetere, tutto questo non ha nulla a che fare con l’inferno!
Mi pare importante sottolineare che quanto sarà sottoposto al giudizio non è il male commesso, quanto il bene; Dio usa bilance truccate poiché non sono tarate sui nostri peccati, ma sulla bontà, sul bene, sulla vita che sappiamo costruire intorno a noi. Le bilance di Dio non peseranno tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa, poiché la verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore, per cui un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo.
Per ben quattro volte Gesù fornisce l’elenco di quelle azioni che rendono concreto e perciò eterno l’amore e non ci parla di partecipazione all’eucaristia, tantomeno di preghiere, litanie e rosari; egli indica sei opere rivolte all’uomo: sfamare, dissetare, accogliere, vestire, visitare gli ammalati e andare a trovare i carcerati. Sei opere rivolte all’uomo che diventano eucaristia, preghiera perché Gesù si identifica con quel nostro fratello più piccolo. Allora, se riusciamo a vedere in quel fratello Gesù, come cambierà il nostro sguardo quando guarderemo l’ennesimo sbarco sulle nostre coste di qualche gruppo di migranti, o quando percorreremo le corsie di un ospedale o i corridoi di un carcere, o ancora con quali occhi guarderemo lo zingaro o il povero che chiede un po’ di elemosina.
A colpirmi è la sorpresa delle persone che hanno compiuto queste opere d’amore a loro insaputa; per vivere nell’amore non c’è bisogno di consapevolezza e non serve conoscere il vangelo per amare, colui che non crede se ama anche se non lo sa sta servendo Dio; il vantaggio del discepolo di Cristo sta soltanto nel conoscere il segreto di una vita pienamente realizzata e perciò pienamente felice!
Allora come andrà a finire? “Io, speriamo che me la cavo!” scriveva un alunno del maestro D’Orta. Le pecore in paradiso e le capre all’inferno? Alla fine, ne sono certo, non ci sarà nessuna pecora così bianca da riflettere interamente l’infinita luce di Dio e non ci sarà nessun capro totalmente oscuro da non aver neppure per un istante aperto la sua vita ad una scintilla d’amore; per cui non ci sarà una separazione. Il re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna tra buoni e cattivi, ma ci sarà solo l’apertura delle braccia del Padre che accoglierà tutti i suoi figli. Basterà solo un piccolo gesto, un unico piccolo gesto di accoglienza verso un fratello anche se non riconosceremo in lui il volto di Gesù perché questo per Dio sarà sufficiente. Così in quell’incontro di infinito amore, ogni pecora sarà purificata da ogni macchia scura ed ogni capro sarà rischiarato nelle sue parti oscure dalla misericordia di Dio. Gesù, re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna.
Commento 26 novembre 2017
Se Dio ci ha lasciato il suo amore ed il suo Spirito ed oggi tocca a noi vivere secondo la sua logica d’amore per far sì che questo amore e questo spirito possa moltiplicarsi, quali sono le modalità per vivere pienamente questa nostra vita? La risposta è chiara: amando ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino, riconoscendo in lui e lei il Cristo. Gesù non ci parla di partecipazione all’eucaristia, tantomeno di preghiere, litanie e rosari; egli indica sei opere rivolte all’uomo: sfamare, dissetare, accogliere, vestire, visitare gli ammalati e andare a trovare i carcerati. Sei opere rivolte all’uomo che diventano eucaristia, preghiera perché Gesù si identifica con quel nostro fratello più piccolo. Allora, se riusciamo a vedere in quel fratello Gesù, come cambierà il nostro sguardo quando guarderemo l’ennesimo sbarco sulle nostre coste di qualche gruppo di migranti, o quando percorreremo le corsie di un ospedale o i corridoi di un carcere, o ancora con quali occhi guarderemo lo zingaro o il povero che chiede un po’ di elemosina.
In questa solennità di Cristo Re dell’universo, il vangelo ci propone la scena del giudizio universale fonte di ispirazione per ogni forma d’arte, mi basti ricordare solo l’immensa bellezza dell’affresco di Michelangelo nella cappella Sistina. Ma leggere questo racconto come la descrizione del Giudizio di Dio al termine della nostra vita e del mondo è davvero fuorviante: questo non sarebbe vangelo, o meglio lo potrebbe essere solo per coloro che posti alla destra del re si sentiranno dire: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!” ma a tutti gli altri, me compreso, caprone testardo, il Signore rivolgerà parole incredibilmente forti ed impressionanti: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Questo Dio non è il mio Dio! Non credo soprattutto che sia il Dio di Gesù Cristo! Divento ateo!!!
Voglio andare “in direzione ostinata e contraria” rispetto a tutti coloro che insistono a presentarmi e predicarmi un Dio pronto solo a punire ogni mio peccato. Rinuncio a quel Dio! Voglio credere che Dio mi ama! Ama tutti noi!
Allora c’è un’altra possibilità: e se Gesù non stesse parlando del giudizio universale? Voglio chiedermi: avrò capito bene il significato che avevano quelle espressioni? E se avessimo travisato il significato di quelle parole?
Il racconto presenta un “scena di giudizio” di genere apocalittico, non siamo pertanto di fronte ad una parabola in cui di fronte al re si presentano i servi perché egli li giudichi, separando i buoni, che riceveranno il premio, dai cattivi, destinati al castigo. Forse nel nostro immaginario pensiamo che il nostro Re si sieda su un trono regale, magari incastonato di pietre preziose; non è così il trono di Gesù è la croce. E da quella croce con le braccia eternamente spalancate in un tenerissimo abbraccio egli pronuncia la sua sentenza sulla nostra vita riuscita o sbagliata che sia: il giudizio avviene lì, di fronte a questo uomo, che in modo unico come Figlio di Dio, dona la sua vita per amore e in questo modo incarna la perfezione dell’umano, perché l’uomo autentico è colui che ama, che dona tutto sé stesso per amore del fratello. È di fronte a questo uomo che al termine della vita, tutti noi ci dovremo presentare, è con la sua vita donata che ci dovremo confrontare e la nostra vita sarà considerata vita riuscita anche solo se in minima parte assomiglierà alla sua: ecco il giudizio di Dio!
Era evento quotidiano per i pastori dell’epoca la separazione alla sera delle pecore dai capri, poiché le prime essendo coperte dalla lana potevano stare all’aperto, mentre i secondi dovevano trovare rifugio in grotte o negli ovili per proteggersi dal freddo; forse la scelta dell’esempio con pecore e capre probabilmente riguardava il colore: le pecore sono bianche ad indicare la luce di Dio che Gesù ha portato con la sua vita d’amore, mentre i capri sono scuri ad indicare le tenebre dell’egoismo ed a questi è rivolta la maledizione.
Ora la maledizione nella Bibbia indicava “separazione”, il non aver a che spartire con colui che veniva maledetto; allora il Figlio dell’uomo dal trono della sua croce dice che non ha nulla a che spartire con coloro che non hanno vissuto secondo una logica di amore e di condivisione la loro vita; chi non ha praticato opere d’amore, non gli assomiglia, poiché è oscuro, vive nel buio. Allora qui non si sta parlando di inferno, si sta dicendo che oggi chi non vive concretamente l’amore non non ha nulla a che fare con Gesù, vive separato da Dio, che è amore. Ciò che Gesù sta dicendo è che le conseguenze delle scelte quotidiane di amore oppure di rifiuto dell’amore hanno conseguenze eterne e quindi occorre non sprecare la vita. Infatti, chi non ama finisce per buttare la sua vita nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme dove ardeva un fuoco perenne. Ma, lo voglio ripetere, tutto questo non ha nulla a che fare con l’inferno!
Che giustizia divina sarebbe se coloro che nella loro vita hanno fatto scelte sbagliate, dovessero subire nel giudizio finale anche il castigo eterno di Dio? Questa è la giustizia umana, dove chi merita alla fine avrà un premio e chi ha sbagliato verrà punito, ma Dio potrà usare un metro di giudizio umano? O la giustizia di Dio è diversa da quella dei nostri tribunali? Giustizia di Dio è sempre e solo benevolenza, è il suo amore che recupera coloro che si sono disumanizzati non praticando le opere d’amore; la giustizia di Dio è salvezza!
L’inferno è solo creazione del nostro peccato quando rifiutiamo l’amore, poiché se noi non amiamo, gettiamo la nostra vita nell’immondezzaio. Da questo inferno in cui noi ci cacciamo, Dio con la sua giustizia, che è amore, ci tirerà fuori e ci condurrà alla vita vera, quella piena ed eterna. Allora come andrà a finire? Le pecore in paradiso e le capre all’inferno? Alla fine, ne sono certo, non ci sarà nessuna pecora così bianca da riflettere interamente l’infinita luce di Dio e non ci sarà nessun capro totalmente oscuro da non aver neppure per un istante aperto la sua vita ad una scintilla d’amore; per cui non ci sarà una separazione tra buoni e cattivi, ma ci sarà solo l’apertura delle braccia del Padre che accoglierà tutti i suoi figli. Basterà solo un piccolo gesto, un unico piccolo gesto di accoglienza verso un fratello anche se non riconosceremo in lui il volto di Gesù perché questo per Dio sarà sufficiente. Così in quell’incontro di infinito amore, ogni pecora sarà purificata da ogni macchia scura ed ogni capro sarà rischiarato nelle sue parti oscure dalla misericordia di Dio. Gesù, re dell’universo, ci chiede di vivere oggi facendo della nostra vita il suo regno e realizzando concretamente il suo progetto d’amore per ogni uomo e donna.