Domenica delle Palme
Vangelo Mc 14, 1 – 15, 47
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
“Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi a? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva a. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei? ». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi a? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più a, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto:
“Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”.
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi a? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva a. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei? ». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi a? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più a, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
Commento 24 marzo 2024
Ogni volta che si avvicina la Pasqua e torno a rileggere i vangeli della Passione di Cristo rimango sempre più esterrefatto, senza che escano da me parole, anzi mi sembra che ogni parola vada ad inquinare quell’incredibile bella notizia di un Dio che mi ama infinitamente. Sì, proprio così, mi ritrovo silente di fronte all’ineffabile mistero di un Dio follemente innamorato delle sue creature, soprattutto di me che non merito nulla, che non riesco nemmeno a ricambiare come vorrei quell’amore gratuito ed incondizionato di cui sento di essere circondato.
Finalmente è giunta l’ora, come Gesù stesso aveva annunciato ad alcuni suoi discepoli che gli avevano riferito del desiderio di alcuni greci di poterlo incontrare. È arrivato il momento di mostrare fino a che punto Dio ci ha tanto amato, così da mandare il suo Figlio Unigenito perché il mondo creda e credendo in Lui si salvi, trovi il senso vero ed unico della vita che è l’amore.
Celebriamo oggi l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, un ingresso segnato dalla gioia e dall’entusiasmo dei suoi discepoli che vedevano in quel gesto la proclamazione della regalità di Gesù, il Messia tanto atteso. Ma fin da subito c’è qualcosa che non funziona: Gesù entra in Gerusalemme, ma lo fa a dorso di un asino; un vero re avrebbe scelto di entrare in città su un cavallo, segno di potenza, di forza e di bellezza e non certamente su una cavalcatura così umile. Una scelta del genere avrebbe dovuto già far capire come il regno preannunciato da Gesù non fosse legato ai valori di questo mondo.
La gente che lo riconosce comincia ad esultare e a salutarlo: è un piccolo momento di umana gloria ed entusiasmo e chissà cosa avrà provato in cuor suo Gesù ben sapendo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato e che avrebbe vissuto la sua ultima tremenda settimana.
Allora anche noi che conosciamo quanto accadrà di lì a pochi giorni possiamo esultanti anche se con un velo di tristezza gridare il nostro “Osanna!”. Osanna a Te, mio Signore e mio Dio, che stai andando a consegnarti alla morte per salvare me, che non merito nulla! Osanna a Te, Figlio dell’Uomo e maestro, che mi insegni ciò che davvero conta nella vita! Osanna a Te, Gesù, Figlio di Dio che mi hai fatto scoprire amato e prezioso e che mi rendi capace di amare.
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia.
Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me, che Gesù abbia assunto la condizione di servo e si sia reso obbediente fino alla morte di croce (Fil 2): chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi, ma ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
Non ascoltiamo il racconto della passione di Gesù come qualcosa di scontato capace soltanto di generare qualche dolce emozione nei nostri cuori induriti, soprattutto in questo anno liturgico B dove si legge la versione di Marco, forse il testo evangelico più vicino a quel primo racconto che i primi cristiani ricordavano nel celebrare l’eucaristia. Per questo è bello unirci a loro raccogliendo tutta la storia della Chiesa nel celebrare l’amore di Dio!
Viviamo quei momenti, provando ad inserirci dentro quel racconto, perché io sono dentro questa storia di salvezza per ogni uomo e donna!
Io sono come la folla, pochi giorni prima ho accolto quell’uomo con esultanza ed ora, dopo aver gridato il mio “Crocifiggilo!”, passo di fronte a quella croce indifferente, scuotendo il capo senza capire nulla di quanto ho davanti ai miei occhi.
Io sono come i discepoli, sono stato accanto a Gesù nel suo lungo cammino dalla Galilea fino alla santa città di Gerusalemme, ma ora timoroso, codardo, debole ed esitante nella mia incapacità l’ho tradito, l’ho rinnegato, l’ho abbandonato; eppure mi sento amato, scelto, sedotto per fare con lui nuovamente l’esperienza della resurrezione dopo la morte. Mi sento chiamato, seppur fragile ed inadeguato per essere testimone di quell’incredibile amore di cui sono circondato!
Sono come Pilato, preferisco nella mia vita non avere problemi e me ne lavo le mani di tutti i poveri Cristi che quotidianamente muoiono lungo le nostre strade e nei nostri mari nella loro disperazione tra la mia indifferenza colpevole.
Sono come Simone di Cirene, costretto ad aiutare quell’uomo a portare la sua croce così pesante, ma forse capace in quel momento di con-passione di scoprire che nella vita esiste qualcosa di più importante dei miei campi e, questo lo spero, capace di insegnare ai miei figli che ciò che conta nella vita è l’Amore!
Sono come quei soldati, forse gaudenti per la sofferenza inflitta a quell’uomo che gettano la sorte sulle sue vesti, cechi di fronte a quanto stava veramente accadendo a pochi passi da loro.
Sono come quei due terroristi o partigiani (la storia è come una medaglia, ha sempre due facce), condannato alla stessa pena di Gesù, potendo vivere quel mio ultimo momento della vita per pensare solo a me stesso o per capire finalmente che si può vivere per amore e convertirmi!
Sono come le donne, distrutto dal dolore e dalla fatica della vita che guarda da lontano senza speranza quanto sta accadendo o come Giuseppe d’Arimatea capace di offrire all’autore della vita (At 3,15) solo quel luogo che ho preparato per essere la mia tomba.
Non so se lo sono, ma vorrei essere, Signore, come quel centurione romano, che forse non conosceva nulla di quel Dio, tuo Padre, ma che è stato capace in quell’ultimo istante della Tua vita per riconoscerTi, è stato capace di alzare lo sguardo “a colui che è stato innalzato”, a Te che ci sveli chi è davvero Dio e l’Uomo, donando tutto te stesso per amore e che chiedi di fare altrettanto!
Così quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi!
Alla fine di questo lungo racconto, potremo chiederci cosa ci rimane nel cuore se la delusione di un Dio perdente, sconfitto, abbandonato, deriso e insultato o lo stupore di un centurione romano, pagano che vedendo Gesù morire in quel modo, proclama per la prima volta senza temere di essere zittito "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”
Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!
Finalmente è giunta l’ora, come Gesù stesso aveva annunciato ad alcuni suoi discepoli che gli avevano riferito del desiderio di alcuni greci di poterlo incontrare. È arrivato il momento di mostrare fino a che punto Dio ci ha tanto amato, così da mandare il suo Figlio Unigenito perché il mondo creda e credendo in Lui si salvi, trovi il senso vero ed unico della vita che è l’amore.
Celebriamo oggi l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, un ingresso segnato dalla gioia e dall’entusiasmo dei suoi discepoli che vedevano in quel gesto la proclamazione della regalità di Gesù, il Messia tanto atteso. Ma fin da subito c’è qualcosa che non funziona: Gesù entra in Gerusalemme, ma lo fa a dorso di un asino; un vero re avrebbe scelto di entrare in città su un cavallo, segno di potenza, di forza e di bellezza e non certamente su una cavalcatura così umile. Una scelta del genere avrebbe dovuto già far capire come il regno preannunciato da Gesù non fosse legato ai valori di questo mondo.
La gente che lo riconosce comincia ad esultare e a salutarlo: è un piccolo momento di umana gloria ed entusiasmo e chissà cosa avrà provato in cuor suo Gesù ben sapendo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato e che avrebbe vissuto la sua ultima tremenda settimana.
Allora anche noi che conosciamo quanto accadrà di lì a pochi giorni possiamo esultanti anche se con un velo di tristezza gridare il nostro “Osanna!”. Osanna a Te, mio Signore e mio Dio, che stai andando a consegnarti alla morte per salvare me, che non merito nulla! Osanna a Te, Figlio dell’Uomo e maestro, che mi insegni ciò che davvero conta nella vita! Osanna a Te, Gesù, Figlio di Dio che mi hai fatto scoprire amato e prezioso e che mi rendi capace di amare.
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia.
Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me, che Gesù abbia assunto la condizione di servo e si sia reso obbediente fino alla morte di croce (Fil 2): chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi, ma ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
Non ascoltiamo il racconto della passione di Gesù come qualcosa di scontato capace soltanto di generare qualche dolce emozione nei nostri cuori induriti, soprattutto in questo anno liturgico B dove si legge la versione di Marco, forse il testo evangelico più vicino a quel primo racconto che i primi cristiani ricordavano nel celebrare l’eucaristia. Per questo è bello unirci a loro raccogliendo tutta la storia della Chiesa nel celebrare l’amore di Dio!
Viviamo quei momenti, provando ad inserirci dentro quel racconto, perché io sono dentro questa storia di salvezza per ogni uomo e donna!
Io sono come la folla, pochi giorni prima ho accolto quell’uomo con esultanza ed ora, dopo aver gridato il mio “Crocifiggilo!”, passo di fronte a quella croce indifferente, scuotendo il capo senza capire nulla di quanto ho davanti ai miei occhi.
Io sono come i discepoli, sono stato accanto a Gesù nel suo lungo cammino dalla Galilea fino alla santa città di Gerusalemme, ma ora timoroso, codardo, debole ed esitante nella mia incapacità l’ho tradito, l’ho rinnegato, l’ho abbandonato; eppure mi sento amato, scelto, sedotto per fare con lui nuovamente l’esperienza della resurrezione dopo la morte. Mi sento chiamato, seppur fragile ed inadeguato per essere testimone di quell’incredibile amore di cui sono circondato!
Sono come Pilato, preferisco nella mia vita non avere problemi e me ne lavo le mani di tutti i poveri Cristi che quotidianamente muoiono lungo le nostre strade e nei nostri mari nella loro disperazione tra la mia indifferenza colpevole.
Sono come Simone di Cirene, costretto ad aiutare quell’uomo a portare la sua croce così pesante, ma forse capace in quel momento di con-passione di scoprire che nella vita esiste qualcosa di più importante dei miei campi e, questo lo spero, capace di insegnare ai miei figli che ciò che conta nella vita è l’Amore!
Sono come quei soldati, forse gaudenti per la sofferenza inflitta a quell’uomo che gettano la sorte sulle sue vesti, cechi di fronte a quanto stava veramente accadendo a pochi passi da loro.
Sono come quei due terroristi o partigiani (la storia è come una medaglia, ha sempre due facce), condannato alla stessa pena di Gesù, potendo vivere quel mio ultimo momento della vita per pensare solo a me stesso o per capire finalmente che si può vivere per amore e convertirmi!
Sono come le donne, distrutto dal dolore e dalla fatica della vita che guarda da lontano senza speranza quanto sta accadendo o come Giuseppe d’Arimatea capace di offrire all’autore della vita (At 3,15) solo quel luogo che ho preparato per essere la mia tomba.
Non so se lo sono, ma vorrei essere, Signore, come quel centurione romano, che forse non conosceva nulla di quel Dio, tuo Padre, ma che è stato capace in quell’ultimo istante della Tua vita per riconoscerTi, è stato capace di alzare lo sguardo “a colui che è stato innalzato”, a Te che ci sveli chi è davvero Dio e l’Uomo, donando tutto te stesso per amore e che chiedi di fare altrettanto!
Così quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi!
Alla fine di questo lungo racconto, potremo chiederci cosa ci rimane nel cuore se la delusione di un Dio perdente, sconfitto, abbandonato, deriso e insultato o lo stupore di un centurione romano, pagano che vedendo Gesù morire in quel modo, proclama per la prima volta senza temere di essere zittito "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”
Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!
Commento 28 marzo 2021
Eccoci qua di fronte a Gerusalemme, la città santa, abbiamo attraversato e stiamo ancora attraversando il deserto della nostra vita fatto di momenti difficili e complicati; la pandemia ci costringe ancora una volta a chiuderci in casa in questi giorni di festa per evitare che il contagio si propaghi ulteriormente, ma ci sono stati anche momenti di luce in cui abbiamo intravisto l’incredibile bellezza del volto di un Dio che è amore; abbiamo ancora nel cuore quel desiderio insaziabile che ci spinge ogni giorno a pregare come quei greci che abbiamo incontrato domenica scorsa: “Vogliamo vedere il Signore!”. Eh sì, caro Gesù, è arrivata l’ora di mostrare al mondo fino a che punto Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio unigenito perché il mondo creda e credendo in Lui si salvi, trovi il senso vero ed unico della vita che è l’amore.
Celebriamo oggi l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme, un ingresso contrassegnato dalla gioia e dall’entusiasmo dei suoi discepoli che vedevano in quel gesto la proclamazione della regalità di Gesù, il Messia tanto atteso.
Gesù entra in Gerusalemme e lo fa a dorso di un asino, che probabilmente non era l’animale migliore per presentarsi, un vero re avrebbe scelto di entrare in città su un cavallo, segno di potenza, di forza e di bellezza. Ma la gente che lo riconosce comincia ad esultare e a salutarlo “Osanna al Figlio di Davide!”. È un piccolo momento di umana gloria ed entusiasmo, chissà cosa avrà provato in cuor suo Gesù ben sapendo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato e che avrebbe vissuto la sua ultima tremenda settimana.
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia. Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me, che Gesù abbia assunto la condizione di servo e si sia reso obbediente fino alla morte di croce (Fil 2): chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi, ma ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
Ascolteremo poi il racconto della passione di Gesù secondo l’evangelista Marco, forse il testo evangelico più vicino a quel primo racconto che i primi cristiani ricordavano nel celebrare l’eucaristia: è bello unirci a loro raccogliendo tutta la storia della Chiesa nel celebrare l’amore di Dio!
E quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi! Alla fine di questo lungo racconto, potremo chiederci cosa ci rimane nel cuore se la delusione di un Dio perdente, sconfitto, abbandonato, deriso e insultato o lo stupore di un centurione romano, pagano che vedendo Gesù morire in quel modo, proclama per la prima volta senza temere di essere zittito "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”
Inizia oggi la settimana santa, la settimana più importante e densa della liturgia, viviamola pienamente con gioia e con impegno, con da un lato il timore di lasciar solo il Signore e dall’altro con la meraviglia di un amore infinito che ci avvolge. Proviamo ad esserci in questa settimana nella quale siamo chiamati a sincronizzare la nostra vita giorno dopo giorno, ora dopo ora sulla vita di Gesù; prendiamoci del tempo per stare con Gesù, non abbandoniamolo in queste sue ultime ore.
Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!
Celebriamo oggi l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme, un ingresso contrassegnato dalla gioia e dall’entusiasmo dei suoi discepoli che vedevano in quel gesto la proclamazione della regalità di Gesù, il Messia tanto atteso.
Gesù entra in Gerusalemme e lo fa a dorso di un asino, che probabilmente non era l’animale migliore per presentarsi, un vero re avrebbe scelto di entrare in città su un cavallo, segno di potenza, di forza e di bellezza. Ma la gente che lo riconosce comincia ad esultare e a salutarlo “Osanna al Figlio di Davide!”. È un piccolo momento di umana gloria ed entusiasmo, chissà cosa avrà provato in cuor suo Gesù ben sapendo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato e che avrebbe vissuto la sua ultima tremenda settimana.
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia. Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me, che Gesù abbia assunto la condizione di servo e si sia reso obbediente fino alla morte di croce (Fil 2): chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi, ma ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
Ascolteremo poi il racconto della passione di Gesù secondo l’evangelista Marco, forse il testo evangelico più vicino a quel primo racconto che i primi cristiani ricordavano nel celebrare l’eucaristia: è bello unirci a loro raccogliendo tutta la storia della Chiesa nel celebrare l’amore di Dio!
E quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi! Alla fine di questo lungo racconto, potremo chiederci cosa ci rimane nel cuore se la delusione di un Dio perdente, sconfitto, abbandonato, deriso e insultato o lo stupore di un centurione romano, pagano che vedendo Gesù morire in quel modo, proclama per la prima volta senza temere di essere zittito "Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”
Inizia oggi la settimana santa, la settimana più importante e densa della liturgia, viviamola pienamente con gioia e con impegno, con da un lato il timore di lasciar solo il Signore e dall’altro con la meraviglia di un amore infinito che ci avvolge. Proviamo ad esserci in questa settimana nella quale siamo chiamati a sincronizzare la nostra vita giorno dopo giorno, ora dopo ora sulla vita di Gesù; prendiamoci del tempo per stare con Gesù, non abbandoniamolo in queste sue ultime ore.
Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!
Commento 25 marzo 2018
Celebriamo oggi l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme, un ingresso contrassegnato dalla gioia e dall’entusiasmo dei suoi discepoli che vedevano in quel gesto la proclamazione della regalità di Gesù, il Messia tanto atteso. Gesù entra in Gerusalemme e lo fa a dorso di un asino. L’asino non era certo l’animale migliore per presentarsi, un vero re avrebbe scelto di entrare in città su un cavallo, segno di potenza, di forza e di bellezza. Gesù sceglie un asino secondo quanto annunciava un’antica profezia (Zac 9,9-10) ed in questo modo manifesta inequivocabilmente il modo in cui egli intende essere re, un modo che scandalizzerà quella folla festante ed i suoi discepoli, che di lì a poco passeranno dall’entusiasmo alla condanna e alla delusione. L’asino è il simbolo dell’animale mite, umile, laborioso e a differenza del cavallo, non è mai usato in battaglia, divenendo così simbolo di pace. L’asinello è simbolo del servizio, questo sarà lo stile, il modo di presentarsi del nuovo regno che Gesù è venuto ad inaugurare.
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia. Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale e forse nemmeno straordinario, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me: chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi. Ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
E quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi! Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!
Gesù entra in Gerusalemme per vivere la sua passione; amici carissimi, troppe volte leggiamo questo termine per indicare il patire, il soffrire di Gesù a causa dei nostri peccati, ma voglio ricordare che si può usare il termine passione anche per indicare un amore travolgente, quasi irrazionale, al limite della follia. Bene, Gesù entra in Gerusalemme per vivere fino al dono completo della sua vita la grande passione di Dio per l’umanità. Non è normale e forse nemmeno straordinario, anzi è proprio assurdo ed illogico pensare che Dio doni la sua vita per uno come me: chi sono io per meritare tutto questo? Non posso, non possiamo vivere questo mistero grande come qualcosa che ci è dovuto: Dio non ci doveva niente, tantomeno doveva morire per noi. Ciò che spinge Dio è l’amore travolgente e per amore nulla è impossibile.
E quando la liturgia alle parole del vangelo “Gesù, dando un forte grido, spirò” ci chiederà di metterci in ginocchio, non potrò, forse non potremo che cadere a terra, colpiti da una notizia incredibile: Dio muore per me, per ciascuno di noi! Vi auguro di vivere questa settimana santa in ginocchio non perché ci sentiamo servi, ma perché colpiti e sopraffatti dall’amore: è troppo bello pensare di essere amati così e non da uno qualunque, ma da Dio!