XV domenica T.O. Anno C
Vangelo Lc 10, 25-37
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Commento 10 luglio 2022
Cosa si deve fare per ereditare la vita eterna o meglio quella vita dell’eterno capace di realizzare pienamente la vita di ciascuno, capace di dissetare i nostri cuori assetati di quella felicità che non finisce? Vi è un’unica strada per giungere al regno di Dio, così almeno sta scritto nella Legge, lasciarsi conquistare dall’amore di Dio e dei fratelli. Amare Dio e amare il prossimo sono le due facce dell’unica medaglia d’oro al valore della vita. S. Agostino riassumeva tutto questo nella regola “ama e fai ciò che vuoi”: colui che fa dell’amore per Dio e per i fratelli il senso profondo della sua vita appartiene già oggi, in questo mondo troppe volte segnato dal dolore, dalla sofferenza e dall’egoismo, al Regno di Dio.
Per leggere correttamente questa parabola occorre sapere che dare ad una persona del “samaritano” costituiva per l’ebreo la seconda peggior offesa possibile dopo avergli detto “cane” ovvero pagano. I samaritani non erano considerati puri come il resto degli ebrei perché si era mischiati con popolazioni pagane e dal punto di vista religioso erano considerati eretici poiché rifiutavano il culto ufficiale nel tempio di Gerusalemme per pregare Dio sul monte Garizim. Insomma la considerazione che i Samaritani avevano presso i Giudei era decisamente negativa, la stessa che possiamo avere noi ad esempio nei confronti dei migranti o degli zingari; forse un esempio più aderente alla realtà di allora essendo i samaritani Ebrei potrebbe essere la considerazione che nel nord Italia si aveva dei meridionali negli anni ’60 e ’70 quando gli veniva attribuito l’epiteto di “terroni”.
Ora proprio di un samaritano Gesù fa il modello di un vero amore per il prossimo rispetto ad altri ben più stimati personaggi come il sacerdote ed il levita.
Dello sventurato incappato nei briganti non si dice nulla, se non che, malmenato e ferito, era un uomo. Non sappiamo se fosse buono o cattivo, bello o brutto, ricco o povero, sappiamo solo ciò che conta davvero cioè che era un uomo. Sono sconvolto ogni volta che seguo i telegiornali nel verificare come si parli spesso di migranti, di clandestini, di musulmani, ma non si parli mai di uomini, donne e per lo più bambini e minori. Di fronte a questa umanità ferita, un sacerdote ed un levita, uomini di Dio, vedono, ma, cambiando strada, passano oltre perché toccare quell’uomo ferito, macchiarsi con il suo sangue li avrebbe resi impuri e quindi inabili al culto; tra il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli hanno scelto di restare puri per Dio, ma in questo modo hanno perso l’opportunità di incontrare quel Dio che è Amore!
Il cristianesimo è l’unica religione che non contrappone l’amore per Dio e l’amore per i fratelli, anzi vivere l’amore per i fratelli è incontrare, anche a volte in modo inconsapevole, Dio.
Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Così alla domanda, ingenua o forse capziosa, del dottore della Legge, Gesù ribalta il problema che non più è individuare il mio prossimo, chi mi è più vicino, ma farsi prossimo, essere vicino, di ogni donna e uomo ferito di questa umanità riconoscendo in loro, sorelle e fratelli nella comune paternità e maternità che scopriamo in Dio: il discepolo non si domanda, dunque, chi sia il suo prossimo ma come il samaritano passa accanto a questa umanità in sofferenza e si fa prossimo.
Ecco allora che nell’agire del samaritano scopriamo un vero e proprio decalogo dell’amore:
Lo vide: il discepolo è chiamato ad aprire gli occhi sulla sofferenza dell’umanità.
Venne presso di lui: il discepolo non scappa di fronte alla sofferenza, ma la assume insieme alle gioie e alle speranze dell’umanità (G.S. 1)
Ne ebbe compassione: il discepolo è chiamato a vivere gli stessi sentimenti di Dio che per amore è capace di patire insieme a chi soffre, è quel sentimento di misericordia, quell’amore uterino, materno, che ci fa somiglianti a Dio.
Gli si fece vicino: il discepolo è invitato a farsi vicino, a farsi prossimo di coloro che vivono momenti di sofferenza per condividerla con loro.
Fasciò le ferite: in un tempo in cui la dignità umana è posta sotto attacco dalla guerra e dalla povertà il discepolo è invitato alla lotta per costruire un mondo più giusto ed umano.
Versando olio e vino: l’olio della consolazione ed il vino della gioia sono le armi a disposizione del discepolo per sanare questa umanità ferita.
Lo caricò sul suo giumento: farsi carico delle sofferenze e delle difficoltà di ogni altro uomo e donna è compito del discepolo.
Lo portò in un albergo (letteralmente “in un luogo dove vengono accolti tutti”): il discepolo ostruisce luoghi di accoglienza per tutti perché possiede un cuore “cattolico”, universale.
Si prese cura di lui: ecco la rivoluzione della tenerezza che il discepolo deve portare avanti nel mondo.
Tirò fuori due denari: il discepolo deve costruire legami sociali perché tutta la società si occupi dei più deboli.
Torna per saldare il conto: due denari era il necessario per due giorni, segno che sarebbe tornato a breve. Il discepolo deve ritornare, non abbandona il malcapitato, ma ritorna per sostenerlo nel suo cammino di liberazione.
Facciamo di questo decalogo un esame di coscienza per la nostra vita per cogliere se sia o no una vita che merita di essere vissuta perché spesa per amore oppure se di fronte alla sofferenza e alla fatica di tanta umanità preferiamo cambiare strada, passare oltre dall’altra parte, sordi alle grida che invocano aiuto.
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo realizza l’amore per Dio: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Allora l’augurio è che la figura di questo samaritano sia per noi un monito perché possiamo essere sempre più solidali verso coloro che vivono nella difficoltà. Una voce d’ora in poi sussurrerà ai nostri cuori: “Va’ e anche tu fa’ così”
Per leggere correttamente questa parabola occorre sapere che dare ad una persona del “samaritano” costituiva per l’ebreo la seconda peggior offesa possibile dopo avergli detto “cane” ovvero pagano. I samaritani non erano considerati puri come il resto degli ebrei perché si era mischiati con popolazioni pagane e dal punto di vista religioso erano considerati eretici poiché rifiutavano il culto ufficiale nel tempio di Gerusalemme per pregare Dio sul monte Garizim. Insomma la considerazione che i Samaritani avevano presso i Giudei era decisamente negativa, la stessa che possiamo avere noi ad esempio nei confronti dei migranti o degli zingari; forse un esempio più aderente alla realtà di allora essendo i samaritani Ebrei potrebbe essere la considerazione che nel nord Italia si aveva dei meridionali negli anni ’60 e ’70 quando gli veniva attribuito l’epiteto di “terroni”.
Ora proprio di un samaritano Gesù fa il modello di un vero amore per il prossimo rispetto ad altri ben più stimati personaggi come il sacerdote ed il levita.
Dello sventurato incappato nei briganti non si dice nulla, se non che, malmenato e ferito, era un uomo. Non sappiamo se fosse buono o cattivo, bello o brutto, ricco o povero, sappiamo solo ciò che conta davvero cioè che era un uomo. Sono sconvolto ogni volta che seguo i telegiornali nel verificare come si parli spesso di migranti, di clandestini, di musulmani, ma non si parli mai di uomini, donne e per lo più bambini e minori. Di fronte a questa umanità ferita, un sacerdote ed un levita, uomini di Dio, vedono, ma, cambiando strada, passano oltre perché toccare quell’uomo ferito, macchiarsi con il suo sangue li avrebbe resi impuri e quindi inabili al culto; tra il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli hanno scelto di restare puri per Dio, ma in questo modo hanno perso l’opportunità di incontrare quel Dio che è Amore!
Il cristianesimo è l’unica religione che non contrappone l’amore per Dio e l’amore per i fratelli, anzi vivere l’amore per i fratelli è incontrare, anche a volte in modo inconsapevole, Dio.
Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Così alla domanda, ingenua o forse capziosa, del dottore della Legge, Gesù ribalta il problema che non più è individuare il mio prossimo, chi mi è più vicino, ma farsi prossimo, essere vicino, di ogni donna e uomo ferito di questa umanità riconoscendo in loro, sorelle e fratelli nella comune paternità e maternità che scopriamo in Dio: il discepolo non si domanda, dunque, chi sia il suo prossimo ma come il samaritano passa accanto a questa umanità in sofferenza e si fa prossimo.
Ecco allora che nell’agire del samaritano scopriamo un vero e proprio decalogo dell’amore:
Lo vide: il discepolo è chiamato ad aprire gli occhi sulla sofferenza dell’umanità.
Venne presso di lui: il discepolo non scappa di fronte alla sofferenza, ma la assume insieme alle gioie e alle speranze dell’umanità (G.S. 1)
Ne ebbe compassione: il discepolo è chiamato a vivere gli stessi sentimenti di Dio che per amore è capace di patire insieme a chi soffre, è quel sentimento di misericordia, quell’amore uterino, materno, che ci fa somiglianti a Dio.
Gli si fece vicino: il discepolo è invitato a farsi vicino, a farsi prossimo di coloro che vivono momenti di sofferenza per condividerla con loro.
Fasciò le ferite: in un tempo in cui la dignità umana è posta sotto attacco dalla guerra e dalla povertà il discepolo è invitato alla lotta per costruire un mondo più giusto ed umano.
Versando olio e vino: l’olio della consolazione ed il vino della gioia sono le armi a disposizione del discepolo per sanare questa umanità ferita.
Lo caricò sul suo giumento: farsi carico delle sofferenze e delle difficoltà di ogni altro uomo e donna è compito del discepolo.
Lo portò in un albergo (letteralmente “in un luogo dove vengono accolti tutti”): il discepolo ostruisce luoghi di accoglienza per tutti perché possiede un cuore “cattolico”, universale.
Si prese cura di lui: ecco la rivoluzione della tenerezza che il discepolo deve portare avanti nel mondo.
Tirò fuori due denari: il discepolo deve costruire legami sociali perché tutta la società si occupi dei più deboli.
Torna per saldare il conto: due denari era il necessario per due giorni, segno che sarebbe tornato a breve. Il discepolo deve ritornare, non abbandona il malcapitato, ma ritorna per sostenerlo nel suo cammino di liberazione.
Facciamo di questo decalogo un esame di coscienza per la nostra vita per cogliere se sia o no una vita che merita di essere vissuta perché spesa per amore oppure se di fronte alla sofferenza e alla fatica di tanta umanità preferiamo cambiare strada, passare oltre dall’altra parte, sordi alle grida che invocano aiuto.
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo realizza l’amore per Dio: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Allora l’augurio è che la figura di questo samaritano sia per noi un monito perché possiamo essere sempre più solidali verso coloro che vivono nella difficoltà. Una voce d’ora in poi sussurrerà ai nostri cuori: “Va’ e anche tu fa’ così”
Commento 14 luglio 2019
Il vangelo di oggi ci propone la classica parabola del “buon samaritano” inserita in uno stupendo trattato di pedagogia divina, pedagogia che non si fonda sull’imposizione di comandamenti, ma sulla comune ricerca nella libertà di una risposta che Dio stesso ha già messo nel cuore dell’uomo. Il tema riguarda cosa occorra fare per ottenere la vita eterna, intesa non come la prosecuzione infinita della nostra vita biologica, ma come la realizzazione piena della vita. Vi è un’unica strada per giungere al regno di Dio, così almeno sta scritto nella Legge, lasciarsi conquistare dall’amore di Dio e dei fratelli. S. Agostino riassumeva tutto questo nella regola “ama e fai ciò che vuoi”: colui che fa dell’amore per Dio e per i fratelli il senso profondo della sua vita appartiene già oggi, in questo mondo troppe volte segnato dal dolore, dalla sofferenza e dall’egoismo, al Regno di Dio. La domanda del dottore della Legge riguardo a chi sia da considerarsi come mio prossimo introduce alla parabola del “buon samaritano”. Permettetemi una prima riflessione che nasce dal testo e dal momento storico che stiamo vivendo: in nessun modo in questo testo si parla di un “buon” samaritano, ma solo si indica l’appartenenza a questo gruppo di quell’uomo che vedendo un malcapitato sul ciglio della strada si ferma e gli presta soccorso. La considerazione che i Samaritani avevano presso i Giudei era decisamente negativa, la stessa che possiamo avere noi ad esempio nei confronti dei migranti o degli zingari; forse un esempio più aderente alla realtà di allora essendo i Samaritani degli Ebrei potrebbe essere la considerazione che nel nord Italia si aveva dei meridionali negli anni ’60 e ’70 quando gli veniva attribuito l’epiteto di “terroni”. Ebbene questo samaritano diventa l’esempio di un vero amore per il prossimo rispetto ad altri ben più stimati personaggi come il sacerdote ed il levita.
In secondo luogo mi viene da porre alla mia e vostra attenzione quanto oggi la bontà, la solidarietà umana siano negativamente considerate: la bontà è oggi derisa e denigrata con il termine buonismo, per cui io mi dovrei sentire colpevole se sono buono e solidale con qualcuno; addirittura il nostro parlamento sta convertendo in legge un decreto del governo che intende criminalizzare, multare, porre in stato di accusa chi in qualche modo tenta di salvare vite umane. Vogliamo in coscienza chiederci dove stiamo andando? Proprio per questo la parabola del Samaritano in questo momento non può non diventare una sorta di accusa alle nostre coscienze addormentate.
Anche dello sventurato incappato nei briganti non si dice nulla, se non che, malmenato e ferito, era un uomo. Non sappiamo se fosse buono o cattivo, bello o brutto, ricco o povero, sappiamo solo ciò che conta davvero cioè che era un uomo. Sono sconvolto ogni volta che seguo i telegiornali nel verificare come si parli spesso di migranti, di clandestini, di musulmani, ma non si parli mai di uomini, donne e per lo più bambini e minori. Di fronte a questa umanità ferita, un sacerdote ed un levita, uomini di Dio, vedono, ma cambiando strada passano oltre perché toccare quell’uomo ferito, macchiarsi con il suo sangue li avrebbe resi impuri e quindi inabili al culto; così per difendere la loro purezza hanno perso un’occasione e tra il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli hanno scelto di restare puri per Dio, ma in questo modo hanno perso anche il loro rapporto con Dio e non saputo incontrare quel Dio che è Amore!
Il cristianesimo è l’unica religione che non contrappone l’amore per Dio e l’amore per i fratelli, anzi vivere l’amore per i fratelli è incontrare, anche a volte in modo inconsapevole, Dio. Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo supera l’amore per Dio infatti “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Allora l’augurio è che la figura di questo samaritano sia per noi un monito perché possiamo essere sempre più solidali verso coloro che vivono nella difficoltà, buoni… vorrei dire umani: sentiamo indirizzato anche a noi l’invito che Gesù rivolge al dottore della Legge: “Va' e anche tu fa' così”
In secondo luogo mi viene da porre alla mia e vostra attenzione quanto oggi la bontà, la solidarietà umana siano negativamente considerate: la bontà è oggi derisa e denigrata con il termine buonismo, per cui io mi dovrei sentire colpevole se sono buono e solidale con qualcuno; addirittura il nostro parlamento sta convertendo in legge un decreto del governo che intende criminalizzare, multare, porre in stato di accusa chi in qualche modo tenta di salvare vite umane. Vogliamo in coscienza chiederci dove stiamo andando? Proprio per questo la parabola del Samaritano in questo momento non può non diventare una sorta di accusa alle nostre coscienze addormentate.
Anche dello sventurato incappato nei briganti non si dice nulla, se non che, malmenato e ferito, era un uomo. Non sappiamo se fosse buono o cattivo, bello o brutto, ricco o povero, sappiamo solo ciò che conta davvero cioè che era un uomo. Sono sconvolto ogni volta che seguo i telegiornali nel verificare come si parli spesso di migranti, di clandestini, di musulmani, ma non si parli mai di uomini, donne e per lo più bambini e minori. Di fronte a questa umanità ferita, un sacerdote ed un levita, uomini di Dio, vedono, ma cambiando strada passano oltre perché toccare quell’uomo ferito, macchiarsi con il suo sangue li avrebbe resi impuri e quindi inabili al culto; così per difendere la loro purezza hanno perso un’occasione e tra il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli hanno scelto di restare puri per Dio, ma in questo modo hanno perso anche il loro rapporto con Dio e non saputo incontrare quel Dio che è Amore!
Il cristianesimo è l’unica religione che non contrappone l’amore per Dio e l’amore per i fratelli, anzi vivere l’amore per i fratelli è incontrare, anche a volte in modo inconsapevole, Dio. Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Gesù Cristo nel suo vangelo è chiaro: è degno della vita eterna solo colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere ed al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato Dio.
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo supera l’amore per Dio infatti “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). Allora l’augurio è che la figura di questo samaritano sia per noi un monito perché possiamo essere sempre più solidali verso coloro che vivono nella difficoltà, buoni… vorrei dire umani: sentiamo indirizzato anche a noi l’invito che Gesù rivolge al dottore della Legge: “Va' e anche tu fa' così”
Commento 10 luglio 2016
Al dottore della Legge che lo stava interrogando su come ottenere la vita eterna, Gesù risponde proponendogli ciò che da sempre Dio aveva chiesto al suo popolo attraverso la Legge: vi è un’unica strada per giungere al regno di Dio, lasciarsi conquistare dall’amore di Dio e dei fratelli. S. Agostino riassumeva tutto questo nella regola “ama e fai ciò che vuoi”: colui che fa dell’amore per Dio e per i fratelli il senso profondo della sua vita è già oggi, in questo mondo troppe volte segnato dal dolore, dalla sofferenza e dall’egoismo, appartenente al Regno di Dio.
Nasce però una nuova questione: riconoscere il mio prossimo. Gesù risponde con il racconto del “buon samaritano”, ma vorrei sottolineare che Gesù propone al dottore della legge un passo in avanti del quale forse potremmo ad una prima lettura non accorgercene. In questo racconto sono molto importanti il sacerdote ed il levita che passarono per quella strada, pur vedendo lo sventurato malmenato dai briganti, non si sono fermati ad aiutarlo. Perché questo comportamento verso chi era stato vittima di quel fattaccio? Probabilmente il sacerdote ed il levita erano diretti a Gerusalemme per esercitare il culto; ma ecco il problema il contatto con il sangue rendeva impuri e quindi inabili al culto. Con tristezza quindi hanno preferito rimanere puri per poter esercitare il culto, lasciando che qualcun altro si occupasse dello sventurato. Tra l’amore per Dio e l’amore per i fratelli hanno scelto l’amore per Dio; hanno scelto di rispettare la legge di purità, chi avrebbe fatto diversamente? Eppure Gesù è chiaro chi è degno della vita eterna è colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere. Sarà proprio Gesù a ricordare che al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato anche lui presente in quei nostri fratelli (cfr. Mt 25, 31-46)
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo supera l’amore per Dio infatti “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. Pertanto a questo punto risuoni in noi l’invito di Gesù: “Va' e anche tu fa' così!”
Nasce però una nuova questione: riconoscere il mio prossimo. Gesù risponde con il racconto del “buon samaritano”, ma vorrei sottolineare che Gesù propone al dottore della legge un passo in avanti del quale forse potremmo ad una prima lettura non accorgercene. In questo racconto sono molto importanti il sacerdote ed il levita che passarono per quella strada, pur vedendo lo sventurato malmenato dai briganti, non si sono fermati ad aiutarlo. Perché questo comportamento verso chi era stato vittima di quel fattaccio? Probabilmente il sacerdote ed il levita erano diretti a Gerusalemme per esercitare il culto; ma ecco il problema il contatto con il sangue rendeva impuri e quindi inabili al culto. Con tristezza quindi hanno preferito rimanere puri per poter esercitare il culto, lasciando che qualcun altro si occupasse dello sventurato. Tra l’amore per Dio e l’amore per i fratelli hanno scelto l’amore per Dio; hanno scelto di rispettare la legge di purità, chi avrebbe fatto diversamente? Eppure Gesù è chiaro chi è degno della vita eterna è colui che amando il prossimo ha vissuto in quell’amore che Dio ogni giorno ci chiede di vivere. Sarà proprio Gesù a ricordare che al termine dei nostri giorni saremo giudicati sull’amore verso i nostri fratelli più piccoli, perché in quel modo avremo concretamente amato anche lui presente in quei nostri fratelli (cfr. Mt 25, 31-46)
Ora sappiamo che l’amore per il prossimo supera l’amore per Dio infatti “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. Pertanto a questo punto risuoni in noi l’invito di Gesù: “Va' e anche tu fa' così!”