XXIX domenica T.O. Anno A
Vangelo Mt 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Commento 22 ottobre 2023
“Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!”: quante volte abbiamo sentito citare questo versetto del vangelo; eh sì, è questa una delle frasi di Gesù più usate ed abusate nella storia, quasi sempre utilizzata a proprio uso e consumo. È sulla bocca di chi detiene il potere politico ed economico per invitare le gerarchie ecclesiali a non immischiarsi in faccende politiche, ma anche viene ricordata ai governanti dalle strutture gerarchiche ecclesiali che affermano il proprio diritto a difendere e proclamare i valori che scaturiscono dal vangelo; ancora è stata usata sia da chi sognava una sudditanza del potere politico e statale al potere religioso, sia da chi sacralizzava le istituzioni politiche oppure da chi giustificava il potere temporale della Chiesa; infine è spesso citata da chi difende la laicità dello stato oppure, banalmente, da chi invita a dare a ciascuno ciò che gli spetta. Insomma si è fatto dire a queste parole ciò che ognuno vuole, anche a volte affermando idee contrastanti a seconda delle diverse circostanze, ma innanzitutto occorre notare come questo detto popolare così come viene citato non corrisponda ad una traduzione corretta; infatti il verbo impiegato da Gesù implica il concetto di una restituzione di qualcosa che è dovuto, che appartiene già ad un legittimo proprietario.
Siamo giunti all’ultima settimana di vita di Gesù, sono gli ultimi giorni della sua vita e Gesù per diverse volte si trova in un conflitto dialettico con le diverse autorità e i diversi partiti politici presenti nella società ebraica del I secolo, autorità e soggetti che cercavano il modo di cogliere Gesù in fallo per poterlo accusare e togliere di mezzo. Si assiste in questa occasione ad una strana alleanza tra i farisei, che schierati per la purezza del popolo si opponevano al potere oppressivo romano, e gli erodiani, che sostenitori della dinastia di Erode Antipa si appoggiavano al potere romano per mantenere i propri privilegi; insomma il potere politico e quello religioso si alleano nell’intento di eliminare Gesù.
La domanda trabocchetto sulla liceità di pagare il tributo a Cesare (un denaro all’anno per ogni donna dai 12 anni ed ogni uomo dai 14 anni in su) non lasciava a Gesù nessuna possibilità di scampo: se avesse risposto che quel tributo era giusto sarebbe stato accusato di essere un collaborazionista del potere romano diventando inviso al popolo, se, al contrario, avesse dichiarato quella tassa illecita sarebbe stato accusato di essere un ribelle con la conseguente condanna da parte del procuratore romano.
Ancora oggi una domanda del genere rimane equivoca e dalla risposta incerta: ci si può richiamare al dovere di pagare le tasse verso uno stato chiamato poi ad utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini; d’altra parte visti gli esiti non sempre corrispondenti ai propri sogni di come questi soldi vengono utilizzati e ai vari balzelli e agli oneri gravosi diventa fastidioso dover corrispondere a questo dovere. Non è in discussione che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale e occorre ribadire che è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato, però il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Qui si tratta di altro, di fronte al tranello di quella domanda Gesù opera un completo cambio di prospettiva e non rispondendo alla liceità o meno del “pagare” impone la doverosità del “restituire”. Restituite è un imperativo forte come un comandamento, che coinvolge ben più di qualche moneta e che deve diventare stile dell'intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto; insomma con quelle parole Gesù afferma qualcosa di più grande e propone un nuovo modo di concepire la vita per riportarci ai valori veri e fondamentali. In secondo luogo pone l’accento sulla restituzione a Dio piuttosto che a Cesare e di conseguenza toglie a Cesare e ad ogni potere e autorità umana la pretesa di essere Dio.
Lo snodo della questione sta in quella domanda posta da Gesù a chi lo stava interrogando quasi a chiarimento della questione e guardando la moneta del tributo: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”
Così facendo riferimento all’immagine, Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’idea che l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso. Il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26), eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade! Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo. “Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini che lo portano a sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire la mia vita a Dio, ecco il punto! Restituire il mio tempo, ponendo la mia vita a servizio di tutti coloro, miei fratelli, che sono nel bisogno, restituire i miei sentimenti in una meravigliosa gara ad amare ogni giorno di più, restituire le mie capacità lottando ed impegnandomi a fondo per costruire “già oggi e qui” quel mondo, il regno di Dio, che il Signore ha sognato per tutta l’umanità fin dalle origini, restituendo ogni uomo e donna alla sua particolare dignità di figlio di Dio e lottando contro ogni forma di razzismo e di emarginazione.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!
“Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!”: quante volte abbiamo sentito citare questo versetto del vangelo; eh sì, è questa una delle frasi di Gesù più usate ed abusate nella storia, quasi sempre utilizzata a proprio uso e consumo. È sulla bocca di chi detiene il potere politico ed economico per invitare le gerarchie ecclesiali a non immischiarsi in faccende politiche, ma anche viene ricordata ai governanti dalle strutture gerarchiche ecclesiali che affermano il proprio diritto a difendere e proclamare i valori che scaturiscono dal vangelo; ancora è stata usata sia da chi sognava una sudditanza del potere politico e statale al potere religioso, sia da chi sacralizzava le istituzioni politiche oppure da chi giustificava il potere temporale della Chiesa; infine è spesso citata da chi difende la laicità dello stato oppure, banalmente, da chi invita a dare a ciascuno ciò che gli spetta. Insomma si è fatto dire a queste parole ciò che ognuno vuole, anche a volte affermando idee contrastanti a seconda delle diverse circostanze, ma innanzitutto occorre notare come questo detto popolare così come viene citato non corrisponda ad una traduzione corretta; infatti il verbo impiegato da Gesù implica il concetto di una restituzione di qualcosa che è dovuto, che appartiene già ad un legittimo proprietario.
Siamo giunti all’ultima settimana di vita di Gesù, sono gli ultimi giorni della sua vita e Gesù per diverse volte si trova in un conflitto dialettico con le diverse autorità e i diversi partiti politici presenti nella società ebraica del I secolo, autorità e soggetti che cercavano il modo di cogliere Gesù in fallo per poterlo accusare e togliere di mezzo. Si assiste in questa occasione ad una strana alleanza tra i farisei, che schierati per la purezza del popolo si opponevano al potere oppressivo romano, e gli erodiani, che sostenitori della dinastia di Erode Antipa si appoggiavano al potere romano per mantenere i propri privilegi; insomma il potere politico e quello religioso si alleano nell’intento di eliminare Gesù.
La domanda trabocchetto sulla liceità di pagare il tributo a Cesare (un denaro all’anno per ogni donna dai 12 anni ed ogni uomo dai 14 anni in su) non lasciava a Gesù nessuna possibilità di scampo: se avesse risposto che quel tributo era giusto sarebbe stato accusato di essere un collaborazionista del potere romano diventando inviso al popolo, se, al contrario, avesse dichiarato quella tassa illecita sarebbe stato accusato di essere un ribelle con la conseguente condanna da parte del procuratore romano.
Ancora oggi una domanda del genere rimane equivoca e dalla risposta incerta: ci si può richiamare al dovere di pagare le tasse verso uno stato chiamato poi ad utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini; d’altra parte visti gli esiti non sempre corrispondenti ai propri sogni di come questi soldi vengono utilizzati e ai vari balzelli e agli oneri gravosi diventa fastidioso dover corrispondere a questo dovere. Non è in discussione che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale e occorre ribadire che è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato, però il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Qui si tratta di altro, di fronte al tranello di quella domanda Gesù opera un completo cambio di prospettiva e non rispondendo alla liceità o meno del “pagare” impone la doverosità del “restituire”. Restituite è un imperativo forte come un comandamento, che coinvolge ben più di qualche moneta e che deve diventare stile dell'intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto; insomma con quelle parole Gesù afferma qualcosa di più grande e propone un nuovo modo di concepire la vita per riportarci ai valori veri e fondamentali. In secondo luogo pone l’accento sulla restituzione a Dio piuttosto che a Cesare e di conseguenza toglie a Cesare e ad ogni potere e autorità umana la pretesa di essere Dio.
Lo snodo della questione sta in quella domanda posta da Gesù a chi lo stava interrogando quasi a chiarimento della questione e guardando la moneta del tributo: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”
Così facendo riferimento all’immagine, Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’idea che l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso. Il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26), eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade! Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo. “Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini che lo portano a sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire la mia vita a Dio, ecco il punto! Restituire il mio tempo, ponendo la mia vita a servizio di tutti coloro, miei fratelli, che sono nel bisogno, restituire i miei sentimenti in una meravigliosa gara ad amare ogni giorno di più, restituire le mie capacità lottando ed impegnandomi a fondo per costruire “già oggi e qui” quel mondo, il regno di Dio, che il Signore ha sognato per tutta l’umanità fin dalle origini, restituendo ogni uomo e donna alla sua particolare dignità di figlio di Dio e lottando contro ogni forma di razzismo e di emarginazione.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!
Commento 18 ottobre 2020
Quante volte abbiamo sentito la citazione “Date dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio!”: è questa infatti una delle frasi di Gesù più usate ed abusate nella storia, generalmente utilizzata sempre e soltanto a proprio uso e consumo. Viene letta da chi detiene il potere politico ed economico per invitare le gerarchie ecclesiali a non immischiarsi in faccende politiche, altre volte è richiamata ai governanti dalle strutture gerarchiche ecclesiali che affermano il proprio diritto a difendere e proclamare i valori che scaturiscono dal vangelo, ed ancora è stata usata da chi sognava una sudditanza del potere politico e statale al potere religioso, da chi sacralizzava le istituzioni politiche e da chi giustificava il potere temporale della Chiesa, infine viene citata da chi difende la laicità dello stato oppure, banalmente, da chi invita a dare a ciascuno ciò che gli spetta. Insomma si è fatto dire a queste parole ciò che ognuno vuole, ma innanzitutto occorre notare come questo detto popolare non corrisponda ad una traduzione corretta; infatti il verbo impiegato da Gesù implica il concetto di restituzione di qualcosa che è dovuto, che appartiene già ad un legittimo proprietario.
Siamo nel contesto dell’ultima settimana di vita di Gesù in cui per diverse volte si trova in un conflitto dialettico con le diverse autorità e i diversi partiti politici presenti nella società ebraica del I secolo, autorità e soggetti che cercavano il modo di cogliere Gesù in fallo per poterlo accusare e togliere di mezzo. Si assiste in questa occasione ad una strana alleanza tra i farisei, che schierati per la purezza del popolo si opponevano al potere oppressivo romano, e gli erodiani, che sostenitori della dinastia di Erode Antipa si appoggiavano al potere romano per mantenere i propri privilegi; potere politico e religioso uniti nell’intento di eliminare Gesù. La domanda trabocchetto sulla liceità di pagare il tributo a Cesare (un denaro all’anno per ogni donna dai 12 anni ed ogni uomo dai 14 anni in su) non lasciava a Gesù nessuna possibilità di scampo: se avesse risposto che quel tributo era giusto sarebbe stato accusato di essere un collaborazionista del potere romano diventando inviso al popolo, se, al contrario, avesse dichiarato quella tassa illecita sarebbe stato accusato di essere un elemento sedizioso con la conseguente condanna da parte del procuratore romano. Ancora oggi una domanda del genere rimane equivoca e dalla risposta incerta: ci si può richiamare al dovere di pagare le tasse verso uno stato chiamato poi ad utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini; d’altra parte visti gli esiti non sempre corrispondenti ai propri sogni di come questi soldi vengono utilizzati e ai vari balzelli e agli oneri gravosi diventa fastidioso dover corrispondere a questo dovere. Non è in discussione che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale e occorre ribadire che è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato, però il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Ma qui si tratta di altro, di fronte al tranello di quella domanda Gesù opera un completo cambio di prospettiva e non rispondendo alla liceità o meno del “pagare” impone la doverosità del “restituire”. Restituite è un imperativo forte come un comandamento, che coinvolge ben più di qualche moneta e che deve diventare stile dell'intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto; insomma con quelle parole Gesù afferma qualcosa di più grande e propone un nuovo modo di concepire la vita per riportarci ai valori veri e fondamentali. In secondo luogo pone l’accento sulla restituzione a Dio piuttosto che a Cesare e di conseguenza toglie a Cesare e ad ogni potere e autorità umana la pretesa di essere Dio.
Lo snodo della questione sta in quella domanda posta quasi a chiarimento guardando la moneta del tributo: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”
Facendo riferimento all’immagine, Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’idea che l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso.
Il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26), eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade! Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo. “Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini che lo portano a sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire la mia vita a Dio, ecco il punto! Restituire il mio tempo, ponendo la mia vita a servizio di tutti coloro, miei fratelli, che sono nel bisogno, restituire i miei sentimenti in una meravigliosa gara ad amare di più, restituire le mie capacità lottando ed impegnandomi a fondo per costruire “già oggi e qui” quel mondo, il regno di Dio, che il Signore ha sognato per tutta l’umanità fin dalle origini, restituire ogni uomo e donna alla sua particolare dignità di figlio di Dio, lottando contro ogni forma di razzismo e di emarginazione.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!
Siamo nel contesto dell’ultima settimana di vita di Gesù in cui per diverse volte si trova in un conflitto dialettico con le diverse autorità e i diversi partiti politici presenti nella società ebraica del I secolo, autorità e soggetti che cercavano il modo di cogliere Gesù in fallo per poterlo accusare e togliere di mezzo. Si assiste in questa occasione ad una strana alleanza tra i farisei, che schierati per la purezza del popolo si opponevano al potere oppressivo romano, e gli erodiani, che sostenitori della dinastia di Erode Antipa si appoggiavano al potere romano per mantenere i propri privilegi; potere politico e religioso uniti nell’intento di eliminare Gesù. La domanda trabocchetto sulla liceità di pagare il tributo a Cesare (un denaro all’anno per ogni donna dai 12 anni ed ogni uomo dai 14 anni in su) non lasciava a Gesù nessuna possibilità di scampo: se avesse risposto che quel tributo era giusto sarebbe stato accusato di essere un collaborazionista del potere romano diventando inviso al popolo, se, al contrario, avesse dichiarato quella tassa illecita sarebbe stato accusato di essere un elemento sedizioso con la conseguente condanna da parte del procuratore romano. Ancora oggi una domanda del genere rimane equivoca e dalla risposta incerta: ci si può richiamare al dovere di pagare le tasse verso uno stato chiamato poi ad utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini; d’altra parte visti gli esiti non sempre corrispondenti ai propri sogni di come questi soldi vengono utilizzati e ai vari balzelli e agli oneri gravosi diventa fastidioso dover corrispondere a questo dovere. Non è in discussione che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale e occorre ribadire che è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato, però il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Ma qui si tratta di altro, di fronte al tranello di quella domanda Gesù opera un completo cambio di prospettiva e non rispondendo alla liceità o meno del “pagare” impone la doverosità del “restituire”. Restituite è un imperativo forte come un comandamento, che coinvolge ben più di qualche moneta e che deve diventare stile dell'intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto; insomma con quelle parole Gesù afferma qualcosa di più grande e propone un nuovo modo di concepire la vita per riportarci ai valori veri e fondamentali. In secondo luogo pone l’accento sulla restituzione a Dio piuttosto che a Cesare e di conseguenza toglie a Cesare e ad ogni potere e autorità umana la pretesa di essere Dio.
Lo snodo della questione sta in quella domanda posta quasi a chiarimento guardando la moneta del tributo: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”
Facendo riferimento all’immagine, Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’idea che l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso.
Il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26), eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade! Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo. “Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini che lo portano a sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire la mia vita a Dio, ecco il punto! Restituire il mio tempo, ponendo la mia vita a servizio di tutti coloro, miei fratelli, che sono nel bisogno, restituire i miei sentimenti in una meravigliosa gara ad amare di più, restituire le mie capacità lottando ed impegnandomi a fondo per costruire “già oggi e qui” quel mondo, il regno di Dio, che il Signore ha sognato per tutta l’umanità fin dalle origini, restituire ogni uomo e donna alla sua particolare dignità di figlio di Dio, lottando contro ogni forma di razzismo e di emarginazione.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!
Commento 22 ottobre 2017
“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” è sicuramente tra le frasi più commentate, o, per meglio dire, travisate di tutta la storia, poiché molto spesso è stata commentata a proprio uso e consumo: viene letta da chi detiene il potere per invitare le gerarchie ecclesiali a non immischiarsi in faccende politiche, altre volte è richiamata ai governanti dalle strutture ecclesiali che affermano il proprio diritto a difendere e proclamare i valori che scaturiscono dal vangelo, infine è stata usata da chi difendeva la laicità dello stato e da chi sognava una sudditanza del potere politico e statale al potere religioso, da chi sacralizzava le istituzioni politiche e da chi giustificava il potere temporale della Chiesa oppure banalmente è usata da chi invita a dare a ciascuno ciò che gli spetta.
Innanzitutto occorre notare come il detto popolare “date a Cesare...” non corrisponda ad una traduzione corretta; infatti il verbo impiegato da Gesù non indica il dare, ma la restituzione di qualcosa che è dovuto, che appartiene già ad un legittimo proprietario.
Ci si può, quindi, richiamare al dovere di pagare le tasse come risposta positiva a chi, lo stato, dovrebbe utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini. Ma che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale discende dal suo essere naturalmente socievole (Aristotele) ed è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non è in discussione questo e non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato. Il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Ma Gesù, secondo me, stava parlando d’altro e, facendo riferimento all’immagine, intende riportarci ai valori veri e fondamentali. Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso. Eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade!
Dio, il Dio di Israele, il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26. Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo.
“Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini, anche sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire a Dio ciò che è di Dio si riferisce quindi all’immagine che Dio ha impresso di sé sull’uomo e quest’uomo che è oppresso a causa di chi adora il denaro deve essere restituito al suo vero Signore, Dio.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!
Innanzitutto occorre notare come il detto popolare “date a Cesare...” non corrisponda ad una traduzione corretta; infatti il verbo impiegato da Gesù non indica il dare, ma la restituzione di qualcosa che è dovuto, che appartiene già ad un legittimo proprietario.
Ci si può, quindi, richiamare al dovere di pagare le tasse come risposta positiva a chi, lo stato, dovrebbe utilizzare questo denaro per garantire una vita dignitosa, fornendo servizi, ai suoi cittadini. Ma che le tasse debbano essere pagate, che l’uomo debba impegnarsi nella costruzione della vita sociale discende dal suo essere naturalmente socievole (Aristotele) ed è un dovere il contribuire, anche con le tasse al bene comune: è una questione morale che è evidente in sé e non c’è bisogno che ce lo dica Gesù. Non è in discussione questo e non c’è ragione che giustifichi l’evasione fiscale o il furto dei beni dello stato. Il discepolo di Cristo non solo è chiamato ad essere un cittadino onesto ed esemplare ma anche a partecipare nell’ambito politico alla costruzione di una società giusta, schierandosi a favore di coloro che sono i più deboli e contro quelle forme politiche che salvaguardano solo gli interessi di pochi.
Ma Gesù, secondo me, stava parlando d’altro e, facendo riferimento all’immagine, intende riportarci ai valori veri e fondamentali. Gesù rifiuta la concezione del mondo e la logica del potere in cui tutto è al servizio del denaro e l’uomo vale se e, solo se, produce e chiede a noi di fare lo stesso. Eppure quanti cristiani, adoratori del PIL, ancora oggi percorrono le nostre strade!
Dio, il Dio di Israele, il Dio di Gesù Cristo non ha posto la sua immagine sul denaro, ma sull’uomo (Gn 1,26. Gesù chiede di restituire a Cesare il mondo del denaro, del potere, del successo e al contempo riportare a Dio il mondo dell’uomo.
“Non si può servire Dio e Mammonà (il denaro)”, perché questi due padroni danno ordini opposti: colui che si inchina di fronte al denaro deve eseguire i suoi ordini, anche sfruttare, opprimere, strumentalizzare l’uomo per ottenere i suoi scopi.
Restituire a Dio ciò che è di Dio si riferisce quindi all’immagine che Dio ha impresso di sé sull’uomo e quest’uomo che è oppresso a causa di chi adora il denaro deve essere restituito al suo vero Signore, Dio.
Dio ha bisogno dell’uomo, Dio ha bisogno di qualcuno da amare e da accudire con l’infinita tenerezza delle sue mani; a quelle mani grandi e accoglienti siamo chiamati a restituire non solo la nostra vita, ma anche la vita di ogni singolo uomo, nostro fratello!