Domenica di Pentecoste Anno A
Vangelo Gv 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Vangelo Gv 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Commento 28 maggio 2023
Si conclude oggi il tempo pasquale e siamo qua Signore ancora chiusi nelle nostre paure, nel nostro sentirci inadeguati, siamo qua con il cuore da un lato ancora incredulo, ma dall’altro pieno di gioia di fronte al mistero dell’infinito amore di Dio per noi, per ciascuno di noi.
Prima di ascendere al cielo Gesù ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di annunciare il suo vangelo, invitandoci ad essere testimoni credibili del volto di Dio; ora di fronte a tutto questo sperimento tutta la mia personale fragilità e sento profondamente il bisogno di quello Spirito che venga “rinnovare la terra”, a rinnovare la mia povera vita perché sia sempre più così come l’ha sognata Dio per me fin dall’inizio dei tempi. Abbiamo bisogno di una nuova pentecoste, abbiamo bisogno di un fragore che scuota le nostre vite appisolate, abbiamo bisogno di un vento che si abbatte impetuoso sulle vele afflosciate della nostra quotidianità, abbiamo bisogno di un fuoco che possa illuminare le nostre menti e scaldare il nostro cuore perché possiamo uscire dai nostri recinti chiusi per correre incontro agli uomini e le donne di questo mondo, uomini e donne mendicanti come noi di un senso vero per questa vita che spesso sembra non averne.
La festa di Pentecoste (cinquantesimo giorno), festa delle Settimane per gli Ebrei, nasce come festa della mietitura, del raccolto e diviene momento in cui gli ebrei celebravano il grande dono della Legge affidata da Dio a Mosè sul monte Sinai dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, celebravano quelle “Dieci Parole” che altro non erano che “la siepe che costeggia la strada che porta verso la pienezza e la felicità” (detto rabbinico).
Luca, collocando proprio in quel giorno di Pentecoste il dono dello Spirito, intende non tanto dare una indicazione temporale, quanto teologica secondo quanto aveva imparato dal suo maestro Paolo: d’ora in poi sarà lo Spirito a guidare l’azione dei discepoli di Cristo e non più la Legge. Certamente i comandamenti sono indicazione importante per la nostra vita, ma a questo punto risultano essere il minimo sindacale per chi davvero vuole seguire Gesù. Ora, infatti, non abbiamo una legge esterna scritta sulla pietra che ci guida, ma uno Spirito che abita i cuori (Ez 36,26); ora c’è un nuovo modo di intendere il nostro rapporto con Dio, non ci sono più regole e norme, ma un solo nuovo ed eterno comandamento quello dell’amore reciproco vissuto secondo le modalità dell’amore con cui siamo amati da Dio stesso.
Ora possiamo godere dei diversi doni che lo stesso Spirito fa ad ognuno di noi per l’utilità, il bene (1Cor 12,7), vivendo non più secondo la carne, secondo le nostre fragilità, ma lasciandoci guidare dallo Spirito. Se abbiamo il coraggio di vivere pienamente la Pentecoste potremo sperimentare concretamente nelle nostre povere vite i frutti di quello stesso Spirito che sono amore, gioia, pace, un cuore grande capace di amare senza limiti, benevolenza, bontà, fedeltà mitezza, dominio di sé.
Nel racconto di Luca emerge un secondo aspetto perché il dono dello Spirito scende su un gruppo piccolo e chiuso nelle sue paure e fa di loro Chiesa, “assemblea chiamata” a diventare testimone dell’amore; ecco allora che la festa di Pentecoste vuole spalancare le porte delle nostre case dove cerchiamo di chiuderci nelle nostre certezze, ci spinge fuori dai recinti delle nostre paure e ci introduce nel pellegrinaggio della vita con la missione di incontrare tutte le donne e gli uomini nell’unico universale linguaggio dell’amore. Quante volte abbiamo interpretato il miracolo delle lingue come la capacità degli apostoli di parlare in lingue diverse; ebbene credo che al contrario il miracolo non sia avvenuto sulla bocca degli apostoli quanto piuttosto nelle orecchie di chi li ascoltava poiché ognuno sente l’annuncio evangelico nella propria lingua, cioè lo sente adatto a sé, applicabile alla propria vita e così lo può accogliere.
Se oggi crediamo, o anche solo proviamo a credere nella favola vera dell’amore, è perché lo Spirito ha fatto di uno sparuto gruppo di pescatori, esattori delle tasse, uomini fragili, incostanti e persino traditori, delle persone autentiche e coraggiose perché innamorate e forse è proprio di questo che il mondo oggi ha bisogno di incontrare cristiani innamorati; per questo non smettiamo di invocare lo Spirito perché continui a scuotere un po’ le nostre vite.
In questo tempo, che ci appare, come credo sia per ogni tempo, difficile sia a livello personale che come comunità cristiana, siamo chiamati a tornare alle radici e a lasciar emergere dentro di noi tutto quello che di bello e autentico c’è nel vangelo e nella nostra vita; stiamo vivendo un tempo forse complesso ma anche entusiasmante perché ci permette di fare ciò che altri non hanno potuto né immaginare né fare e in questo tempo lo Spirito ci accompagna, è tempo di lasciare che sia lo Spirito a condurci alla verità tutta intera e che sia lui a renderci capaci finalmente di diventare dei testimoni credibili.
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del risorto nel mondo. Il nostro appartenere alla Chiesa non è altro che il vivere quotidianamente il dono di noi stessi ai fratelli; solo così la vita di Gesù, che fu limitata nel tempo e nello spazio, potrà diventare, attraverso noi, dono per tutta l’umanità oggi!
D’altra parte, a differenza di Luca, Giovanni lega inscindibilmente il dono dello Spirito al mistero della morte e resurrezione di Gesù, che, dopo aver annunciato il dono dello Spirito nei discorsi dell’ultima cena realizza questa promessa durante la Pasqua: è Gesù che morente sulla croce effonde lo Spirito (Gv 19,30) ed è lo stesso Gesù che soffia il suo Spirito sugli apostoli come primo dono del Risorto la sera stessa di Pasqua.
Il vangelo ci apre poi alla meraviglia di un Dio che di fronte ad una comunità chiusa viene, non si lascia imprigionare dalle nostre porte chiuse pur rispettandole, perché l’amore supera ogni ostacolo, ogni porta sprangata; il Signore viene per stare in mezzo a noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale: Dio ha bisogno di noi e, scusate, mi si perdoni la bestemmia, noi abbiamo il potere di fare male a Dio basta soltanto allontanarci da Lui che vuole stare in mezzo a noi. Dio vuole stare “in mezzo”: Dio non sta “davanti” per non creare differenze o classifiche tra buoni, vicini e lontani; Dio non sta “in alto” per mostrarsi superiore, lontano ed irraggiungibile. Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, Dio sta in mezzo alla sua comunità perché così ha promesso, ma soprattutto sta in mezzo all’umanità perché la sua comunità è davvero cattolica, universale e supera ogni confine politico, razziale e religioso. Ancora di più: Dio sta in mezzo cioè dentro di noi perché ama ogni sua creatura e per chi ama non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo; per Dio ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna, suoi figli prediletti.
Gesù manda i suoi discepoli nel mondo con un unico scopo: portare la pace ed il perdono, primi frutti del dono dello Spirito, il soffio di Dio che come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e lo fa nascere come creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato, fonte ed origine di ogni male. È compito che non si esaurisce solo nell’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma che viene affidato a tutti i suoi discepoli chiamati a far brillare nel mondo questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo custodi della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato. Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno tra noi si sentisse fragile e debole volga ancora una volta “lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37) per ricevere quell’ultimo respiro d’amore e sappia che Dio si fida di lui più di quanto noi stessi ci fidiamo di Dio!
Prima di ascendere al cielo Gesù ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di annunciare il suo vangelo, invitandoci ad essere testimoni credibili del volto di Dio; ora di fronte a tutto questo sperimento tutta la mia personale fragilità e sento profondamente il bisogno di quello Spirito che venga “rinnovare la terra”, a rinnovare la mia povera vita perché sia sempre più così come l’ha sognata Dio per me fin dall’inizio dei tempi. Abbiamo bisogno di una nuova pentecoste, abbiamo bisogno di un fragore che scuota le nostre vite appisolate, abbiamo bisogno di un vento che si abbatte impetuoso sulle vele afflosciate della nostra quotidianità, abbiamo bisogno di un fuoco che possa illuminare le nostre menti e scaldare il nostro cuore perché possiamo uscire dai nostri recinti chiusi per correre incontro agli uomini e le donne di questo mondo, uomini e donne mendicanti come noi di un senso vero per questa vita che spesso sembra non averne.
La festa di Pentecoste (cinquantesimo giorno), festa delle Settimane per gli Ebrei, nasce come festa della mietitura, del raccolto e diviene momento in cui gli ebrei celebravano il grande dono della Legge affidata da Dio a Mosè sul monte Sinai dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto, celebravano quelle “Dieci Parole” che altro non erano che “la siepe che costeggia la strada che porta verso la pienezza e la felicità” (detto rabbinico).
Luca, collocando proprio in quel giorno di Pentecoste il dono dello Spirito, intende non tanto dare una indicazione temporale, quanto teologica secondo quanto aveva imparato dal suo maestro Paolo: d’ora in poi sarà lo Spirito a guidare l’azione dei discepoli di Cristo e non più la Legge. Certamente i comandamenti sono indicazione importante per la nostra vita, ma a questo punto risultano essere il minimo sindacale per chi davvero vuole seguire Gesù. Ora, infatti, non abbiamo una legge esterna scritta sulla pietra che ci guida, ma uno Spirito che abita i cuori (Ez 36,26); ora c’è un nuovo modo di intendere il nostro rapporto con Dio, non ci sono più regole e norme, ma un solo nuovo ed eterno comandamento quello dell’amore reciproco vissuto secondo le modalità dell’amore con cui siamo amati da Dio stesso.
Ora possiamo godere dei diversi doni che lo stesso Spirito fa ad ognuno di noi per l’utilità, il bene (1Cor 12,7), vivendo non più secondo la carne, secondo le nostre fragilità, ma lasciandoci guidare dallo Spirito. Se abbiamo il coraggio di vivere pienamente la Pentecoste potremo sperimentare concretamente nelle nostre povere vite i frutti di quello stesso Spirito che sono amore, gioia, pace, un cuore grande capace di amare senza limiti, benevolenza, bontà, fedeltà mitezza, dominio di sé.
Nel racconto di Luca emerge un secondo aspetto perché il dono dello Spirito scende su un gruppo piccolo e chiuso nelle sue paure e fa di loro Chiesa, “assemblea chiamata” a diventare testimone dell’amore; ecco allora che la festa di Pentecoste vuole spalancare le porte delle nostre case dove cerchiamo di chiuderci nelle nostre certezze, ci spinge fuori dai recinti delle nostre paure e ci introduce nel pellegrinaggio della vita con la missione di incontrare tutte le donne e gli uomini nell’unico universale linguaggio dell’amore. Quante volte abbiamo interpretato il miracolo delle lingue come la capacità degli apostoli di parlare in lingue diverse; ebbene credo che al contrario il miracolo non sia avvenuto sulla bocca degli apostoli quanto piuttosto nelle orecchie di chi li ascoltava poiché ognuno sente l’annuncio evangelico nella propria lingua, cioè lo sente adatto a sé, applicabile alla propria vita e così lo può accogliere.
Se oggi crediamo, o anche solo proviamo a credere nella favola vera dell’amore, è perché lo Spirito ha fatto di uno sparuto gruppo di pescatori, esattori delle tasse, uomini fragili, incostanti e persino traditori, delle persone autentiche e coraggiose perché innamorate e forse è proprio di questo che il mondo oggi ha bisogno di incontrare cristiani innamorati; per questo non smettiamo di invocare lo Spirito perché continui a scuotere un po’ le nostre vite.
In questo tempo, che ci appare, come credo sia per ogni tempo, difficile sia a livello personale che come comunità cristiana, siamo chiamati a tornare alle radici e a lasciar emergere dentro di noi tutto quello che di bello e autentico c’è nel vangelo e nella nostra vita; stiamo vivendo un tempo forse complesso ma anche entusiasmante perché ci permette di fare ciò che altri non hanno potuto né immaginare né fare e in questo tempo lo Spirito ci accompagna, è tempo di lasciare che sia lo Spirito a condurci alla verità tutta intera e che sia lui a renderci capaci finalmente di diventare dei testimoni credibili.
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del risorto nel mondo. Il nostro appartenere alla Chiesa non è altro che il vivere quotidianamente il dono di noi stessi ai fratelli; solo così la vita di Gesù, che fu limitata nel tempo e nello spazio, potrà diventare, attraverso noi, dono per tutta l’umanità oggi!
D’altra parte, a differenza di Luca, Giovanni lega inscindibilmente il dono dello Spirito al mistero della morte e resurrezione di Gesù, che, dopo aver annunciato il dono dello Spirito nei discorsi dell’ultima cena realizza questa promessa durante la Pasqua: è Gesù che morente sulla croce effonde lo Spirito (Gv 19,30) ed è lo stesso Gesù che soffia il suo Spirito sugli apostoli come primo dono del Risorto la sera stessa di Pasqua.
Il vangelo ci apre poi alla meraviglia di un Dio che di fronte ad una comunità chiusa viene, non si lascia imprigionare dalle nostre porte chiuse pur rispettandole, perché l’amore supera ogni ostacolo, ogni porta sprangata; il Signore viene per stare in mezzo a noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale: Dio ha bisogno di noi e, scusate, mi si perdoni la bestemmia, noi abbiamo il potere di fare male a Dio basta soltanto allontanarci da Lui che vuole stare in mezzo a noi. Dio vuole stare “in mezzo”: Dio non sta “davanti” per non creare differenze o classifiche tra buoni, vicini e lontani; Dio non sta “in alto” per mostrarsi superiore, lontano ed irraggiungibile. Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, Dio sta in mezzo alla sua comunità perché così ha promesso, ma soprattutto sta in mezzo all’umanità perché la sua comunità è davvero cattolica, universale e supera ogni confine politico, razziale e religioso. Ancora di più: Dio sta in mezzo cioè dentro di noi perché ama ogni sua creatura e per chi ama non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo; per Dio ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna, suoi figli prediletti.
Gesù manda i suoi discepoli nel mondo con un unico scopo: portare la pace ed il perdono, primi frutti del dono dello Spirito, il soffio di Dio che come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e lo fa nascere come creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato, fonte ed origine di ogni male. È compito che non si esaurisce solo nell’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma che viene affidato a tutti i suoi discepoli chiamati a far brillare nel mondo questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo custodi della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato. Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno tra noi si sentisse fragile e debole volga ancora una volta “lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37) per ricevere quell’ultimo respiro d’amore e sappia che Dio si fida di lui più di quanto noi stessi ci fidiamo di Dio!
Commento 31 maggio 2020
Dopo tre mesi di lockdown siamo tornati finalmente a celebrare insieme l’eucaristia la settimana scorsa, ma sarebbe bene anche riflettere su tutto questo: certo non sottovaluto la gioia dell’incontro e d’altra parte ribadisco il fondamentale dono e diritto alla salute, ma vi confesso l’enorme fatica perché l’eucaristia rimane in me e per me comunione, fonte e sorgente della comunità dei discepoli di Cristo e mascherine, guanti, distanziamento sociale rimangono, sebbene assolutamente necessari, qualcosa di estremamente lontano dal senso di appartenenza e di comunità. Ricordo ancora gli abbracci al momento dello scambio della pace al termine dei campi o in occasioni particolari: anche quello era per me comunione, anche quello era celebrare l’eucaristia!
È necessaria quindi una riflessione che ci spinga a vivere in profondità questa situazione così strana, così impensabile solo pochi mesi fa quando con mia moglie e con altri stavamo preparando questo giorno come il giorno in cui i nostri bimbi del catechismo avrebbero ricevuto in loro Gesù nel suo corpo per la prima volta sacramentalmente.
Celebriamo oggi la festa di Pentecoste, celebriamo il dono dello Spirito Santo, celebriamo lo Spirito come fantasia di Dio, come presenza costante del suo amore in noi.
Pentecoste (Shewuoth, settimane in ebraico) era la festa durante la quale gli ebrei celebravano il dono della Legge di Dio sul monte Sinai a Mosè, proprio in quel giorno sette settimane dopo la Pasqua Luca pone il momento dell’effusione dello Spirito sugli apostoli; quello di Luca non è elemento di cronaca storica, ma chiaramente frutto di una riflessione teologica per proclamare la nuova alleanza stabilita da Dio in Gesù, alleanza non più fondata sulla Torah, la Legge, ma vissuta in pienezza grazie al dono dello Spirito; tutto questo Luca aveva imparato da Paolo che fa di questa sostituzione uno dei cardini di tutta la sua riflessione.
D’altra parte Giovanni nel suo vangelo lega inscindibilmente il dono dello Spirito al mistero della morte e resurrezione di Gesù, che, dopo aver annunciato il dono dello Spirito nei discorsi dell’ultima cena realizza questa promessa durante la Pasqua: è Gesù che morente sulla croce effonde lo Spirito (Gv 19,30) ed è lo stesso Gesù che soffia il suo Spirito sugli apostoli come primo dono del Risorto la sera stessa di Pasqua. Non importa quando, poiché lo Spirito, presente fin dalla creazione del mondo, viene ogni giorno, dono di Dio per rinnovare la terra (salmo responsoriale).
La Parola di Dio oggi ci parla di una comunità, la Chiesa, chiusa ed arroccata nelle sue paure e ci annuncia un Dio che viene, è un fuoco che scalda i nostri cuori, è un vento di forza e coraggio che spalanca le porte e suggerisce parole nuove, parole che vanno diritte al cuore, parole che annunciano l’infinito amore di Dio, capace di donare tutto sé stesso per la salvezza dell’umanità. Sono parole che tutti possono comprendere, che superano i confini e le differenze di lingue e dialetti perché l’amore è parola universale. Se la presunzione e l’orgoglio dell’uomo aveva confuso le lingue perché aveva aperto il cuore all’egoismo e alla voglia di potenza, l’amore rimargina quella ferita perché vede nell’altro non un nemico, ma un fratello nel bisogno da servire.
Viene lo Spirito ed è subito gioia, una gioia incontenibile, che ti manda fuori di testa perché non è normale scoprirsi profondamente amati da Dio.
Viene lo Spirito e subito rende uno ciò che era diverso e forse incompatibile: lo possiamo vedere nelle nostre vite dove l’amore ci rende uno solo con il nostro coniuge, dove l’amore supera la divisione non annullando le differenze che diventano ricchezza di doni, di carismi e ministeri anche nella comunità (seconda lettura).
Il vangelo ci apre poi alla meraviglia di un Dio che di fronte ad una comunità chiusa viene, non si lascia imprigionare dalle nostre porte chiuse pur rispettandole, perché l’amore supera ogni ostacolo, ogni porta sprangata; il Signore viene per stare in mezzo a noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale: Dio ha bisogno di noi e, scusate, mi si perdoni la bestemmia, noi abbiamo il potere di fare male a Dio basta soltanto allontanarci da Lui che vuole stare in mezzo a noi. Dio vuole stare “in mezzo”: Dio non sta “davanti” per non creare differenze o classifiche tra buoni, vicini e lontani; Dio non sta “in alto” per mostrarsi superiore, lontano ed irraggiungibile. Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, Dio sta in mezzo alla sua comunità perché così ha promesso, ma soprattutto sta in mezzo all’umanità perché la sua comunità è davvero cattolica, universale e supera ogni confine politico, razziale e religioso. Ancora di più: Dio sta in mezzo cioè dentro di noi perché ama ogni sua creatura e per chi ama non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo; per Dio ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna, suoi figli prediletti.
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del Risorto nel mondo. Dio manda la sua comunità con un unico scopo: portare la pace ed il perdono, primi frutti del dono dello Spirito, il soffio di Dio che come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e nasce come creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato, fonte ed origine di ogni male. È compito che non si esaurisce solo nell’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma affidato a tutti i suoi discepoli chiamati a far brillare nel mondo questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo responsabili della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato. Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno tra noi si sentisse fragile e debole, sappia che Dio si fida di lui più di quanto noi stessi ci fidiamo di Dio!
È necessaria quindi una riflessione che ci spinga a vivere in profondità questa situazione così strana, così impensabile solo pochi mesi fa quando con mia moglie e con altri stavamo preparando questo giorno come il giorno in cui i nostri bimbi del catechismo avrebbero ricevuto in loro Gesù nel suo corpo per la prima volta sacramentalmente.
Celebriamo oggi la festa di Pentecoste, celebriamo il dono dello Spirito Santo, celebriamo lo Spirito come fantasia di Dio, come presenza costante del suo amore in noi.
Pentecoste (Shewuoth, settimane in ebraico) era la festa durante la quale gli ebrei celebravano il dono della Legge di Dio sul monte Sinai a Mosè, proprio in quel giorno sette settimane dopo la Pasqua Luca pone il momento dell’effusione dello Spirito sugli apostoli; quello di Luca non è elemento di cronaca storica, ma chiaramente frutto di una riflessione teologica per proclamare la nuova alleanza stabilita da Dio in Gesù, alleanza non più fondata sulla Torah, la Legge, ma vissuta in pienezza grazie al dono dello Spirito; tutto questo Luca aveva imparato da Paolo che fa di questa sostituzione uno dei cardini di tutta la sua riflessione.
D’altra parte Giovanni nel suo vangelo lega inscindibilmente il dono dello Spirito al mistero della morte e resurrezione di Gesù, che, dopo aver annunciato il dono dello Spirito nei discorsi dell’ultima cena realizza questa promessa durante la Pasqua: è Gesù che morente sulla croce effonde lo Spirito (Gv 19,30) ed è lo stesso Gesù che soffia il suo Spirito sugli apostoli come primo dono del Risorto la sera stessa di Pasqua. Non importa quando, poiché lo Spirito, presente fin dalla creazione del mondo, viene ogni giorno, dono di Dio per rinnovare la terra (salmo responsoriale).
La Parola di Dio oggi ci parla di una comunità, la Chiesa, chiusa ed arroccata nelle sue paure e ci annuncia un Dio che viene, è un fuoco che scalda i nostri cuori, è un vento di forza e coraggio che spalanca le porte e suggerisce parole nuove, parole che vanno diritte al cuore, parole che annunciano l’infinito amore di Dio, capace di donare tutto sé stesso per la salvezza dell’umanità. Sono parole che tutti possono comprendere, che superano i confini e le differenze di lingue e dialetti perché l’amore è parola universale. Se la presunzione e l’orgoglio dell’uomo aveva confuso le lingue perché aveva aperto il cuore all’egoismo e alla voglia di potenza, l’amore rimargina quella ferita perché vede nell’altro non un nemico, ma un fratello nel bisogno da servire.
Viene lo Spirito ed è subito gioia, una gioia incontenibile, che ti manda fuori di testa perché non è normale scoprirsi profondamente amati da Dio.
Viene lo Spirito e subito rende uno ciò che era diverso e forse incompatibile: lo possiamo vedere nelle nostre vite dove l’amore ci rende uno solo con il nostro coniuge, dove l’amore supera la divisione non annullando le differenze che diventano ricchezza di doni, di carismi e ministeri anche nella comunità (seconda lettura).
Il vangelo ci apre poi alla meraviglia di un Dio che di fronte ad una comunità chiusa viene, non si lascia imprigionare dalle nostre porte chiuse pur rispettandole, perché l’amore supera ogni ostacolo, ogni porta sprangata; il Signore viene per stare in mezzo a noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale: Dio ha bisogno di noi e, scusate, mi si perdoni la bestemmia, noi abbiamo il potere di fare male a Dio basta soltanto allontanarci da Lui che vuole stare in mezzo a noi. Dio vuole stare “in mezzo”: Dio non sta “davanti” per non creare differenze o classifiche tra buoni, vicini e lontani; Dio non sta “in alto” per mostrarsi superiore, lontano ed irraggiungibile. Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, Dio sta in mezzo alla sua comunità perché così ha promesso, ma soprattutto sta in mezzo all’umanità perché la sua comunità è davvero cattolica, universale e supera ogni confine politico, razziale e religioso. Ancora di più: Dio sta in mezzo cioè dentro di noi perché ama ogni sua creatura e per chi ama non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo; per Dio ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna, suoi figli prediletti.
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del Risorto nel mondo. Dio manda la sua comunità con un unico scopo: portare la pace ed il perdono, primi frutti del dono dello Spirito, il soffio di Dio che come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e nasce come creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato, fonte ed origine di ogni male. È compito che non si esaurisce solo nell’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma affidato a tutti i suoi discepoli chiamati a far brillare nel mondo questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo responsabili della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato. Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno tra noi si sentisse fragile e debole, sappia che Dio si fida di lui più di quanto noi stessi ci fidiamo di Dio!
Commento 4 giugno 2017
Con la festa di Pentecoste si chiude il periodo pasquale e la liturgia ci riporta alla sorgente ovvero alla “sera di quel giorno, il primo della settimana”, Gesù viene incontro ad una comunità chiusa nella sua paura, nei suoi dubbi, nel suo tradimento, nel suo peccato; soprattutto Gesù viene per stare in mezzo, per donare la pace, per mostrare le sue mani e il fianco. Da tutto questo, se sapremo vederlo, nasce la gioia!
“Stette in mezzo a loro”: Dio vuole stare con noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale. Dio ha bisogno dell’uomo e noi sappiamo bene come per far male a Dio, basta soltanto allontanarci da Lui. Dio vuole stare “in mezzo” a noi; non “davanti” in modo da creare differenza così che le persone che gli sono vicine sono quelle più prossime, quelle che vanno a messa tutte le domeniche o meglio ancora tutti i giorni. Men che meno Dio è “in alto” per mostrarsi superiore, ma Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, per Dio non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna.
“Pace a voi”: “shalom” è tutto ciò che concorre alla felicità dell’uomo, alla sua piena realizzazione e qui non vi è un augurio, ma il dono pieno e totale, con la sua morte e resurrezione Gesù realizza lo “shalom”, nulla avremo più da temere. Ora possiamo guardare Dio “faccia a faccia”, possiamo vivere con Dio un nuovo rapporto se sapremo vivere secondo il suo spirito.
“Mostrò le mani e il costato”: questo solo è sufficiente!
Nelle mani di Gesù vediamo le mani di Dio, mani che hanno lavato i piedi per dire che Dio ogni giorno si fa servo; sono mani forate poiché si è lasciato inchiodare ad una croce per mostrare l’invincibile forza dell’amore; sono mani che hanno toccato i lebbrosi, risanato i malati, abbracciato i bimbi e tutti coloro che erano emarginati e così dovranno essere le nostre mani, mani di chi lavora nel mondo per rendere concreta la presenza di Dio.
Mostrare il costato ci vuole ricordare quanto è successo, la croce non va messa tra parentesi, non è un incidente di percorso! Se è vero che siamo credenti nel Risorto è anche vero che il cristiano è uomo, donna della croce: solo la croce ci rivela il vero volto di Dio, un Dio che ama fino al dono totale di sé e quelle ferite sono il culmine di tutta la storia di Gesù, il segno della sua identità di Figlio di Dio, innamorato dell’umanità, le piaghe sono la carta di identità di Gesù e pertanto di Dio stesso.
Se i nostri occhi saranno capaci di vedere tutte le meraviglie di Dio, di un Dio innamorato, allora il nostro cuore non potrà far altro che esultare di gioia, una gioia piena alla presenza di Dio (Sal 16,11)
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del risorto nel mondo. Il nostro appartenere alla Chiesa non è altro che il vivere quotidianamente il dono di noi stessi ai fratelli; solo così la vita di Gesù, che fu limitata nel tempo e nello spazio, potrà diventare, attraverso noi, dono per tutta l’umanità oggi!
Ecco il soffio di Dio che, come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e nasce una creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato.
In queste parole la Chiesa vede l’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma attenzione queste parole non sono rivolte a poche persone, ma a tutta la comunità. Gesù conferisce a tutti noi in quanto suoi discepoli il potere di eliminare il male poiché tutta la comunità è chiamata a far brillare questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo responsabili della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato.
Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno si sentisse fragile e debole, sappia che Dio si fida di lui più di quanto lui si fidi di Dio!
“Stette in mezzo a loro”: Dio vuole stare con noi, Egli è l’Emanuele, il “Dio con noi” e questo nome ne rappresenta la realtà essenziale. Dio ha bisogno dell’uomo e noi sappiamo bene come per far male a Dio, basta soltanto allontanarci da Lui. Dio vuole stare “in mezzo” a noi; non “davanti” in modo da creare differenza così che le persone che gli sono vicine sono quelle più prossime, quelle che vanno a messa tutte le domeniche o meglio ancora tutti i giorni. Men che meno Dio è “in alto” per mostrarsi superiore, ma Dio sta “in mezzo” in modo che tutti coloro che gli sono attorno possano avere con Lui la stessa identica relazione, per Dio non c’è qualcuno di più o qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo ci sono io, ci sei tu, c’è ogni uomo e donna.
“Pace a voi”: “shalom” è tutto ciò che concorre alla felicità dell’uomo, alla sua piena realizzazione e qui non vi è un augurio, ma il dono pieno e totale, con la sua morte e resurrezione Gesù realizza lo “shalom”, nulla avremo più da temere. Ora possiamo guardare Dio “faccia a faccia”, possiamo vivere con Dio un nuovo rapporto se sapremo vivere secondo il suo spirito.
“Mostrò le mani e il costato”: questo solo è sufficiente!
Nelle mani di Gesù vediamo le mani di Dio, mani che hanno lavato i piedi per dire che Dio ogni giorno si fa servo; sono mani forate poiché si è lasciato inchiodare ad una croce per mostrare l’invincibile forza dell’amore; sono mani che hanno toccato i lebbrosi, risanato i malati, abbracciato i bimbi e tutti coloro che erano emarginati e così dovranno essere le nostre mani, mani di chi lavora nel mondo per rendere concreta la presenza di Dio.
Mostrare il costato ci vuole ricordare quanto è successo, la croce non va messa tra parentesi, non è un incidente di percorso! Se è vero che siamo credenti nel Risorto è anche vero che il cristiano è uomo, donna della croce: solo la croce ci rivela il vero volto di Dio, un Dio che ama fino al dono totale di sé e quelle ferite sono il culmine di tutta la storia di Gesù, il segno della sua identità di Figlio di Dio, innamorato dell’umanità, le piaghe sono la carta di identità di Gesù e pertanto di Dio stesso.
Se i nostri occhi saranno capaci di vedere tutte le meraviglie di Dio, di un Dio innamorato, allora il nostro cuore non potrà far altro che esultare di gioia, una gioia piena alla presenza di Dio (Sal 16,11)
Gesù manda la sua comunità nel mondo, tra la gente: il cristiano è l’uomo e la donna della strada, deve muoversi, partire per andare incontro all’altro, dando così continuità, visibilità e attualità alla presenza del risorto nel mondo. Il nostro appartenere alla Chiesa non è altro che il vivere quotidianamente il dono di noi stessi ai fratelli; solo così la vita di Gesù, che fu limitata nel tempo e nello spazio, potrà diventare, attraverso noi, dono per tutta l’umanità oggi!
Ecco il soffio di Dio che, come all’inizio aveva dato vita all’uomo, ora ricrea e nasce una creatura nuova, capace di amare, capace di eliminare il peccato.
In queste parole la Chiesa vede l’istituzione del sacramento della riconciliazione, ma attenzione queste parole non sono rivolte a poche persone, ma a tutta la comunità. Gesù conferisce a tutti noi in quanto suoi discepoli il potere di eliminare il male poiché tutta la comunità è chiamata a far brillare questa luce d’amore. Ciò vuol dire che siamo responsabili della salvezza degli uomini e donne che ci circondano; se questi nostri fratelli rimangono nelle tenebre ciò sarà a causa nostra. Ecco la grande responsabilità, che ci è affidata: abbiamo il compito di distruggere il peccato, ciò che impedisce che si sviluppi dentro ciascuno il germe divino che a tutti è stato donato.
Quale grande coraggio ha avuto Dio nell’affidarci tale compito! E se qualcuno si sentisse fragile e debole, sappia che Dio si fida di lui più di quanto lui si fidi di Dio!