Prima domenica di quaresima Anno B
Vangelo Mc 1,12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Commento 18 febbraio 2024
Sarà forse l’avanzare degli anni, segno di maturità, ma anche sentore di una fragilità e di un limite della vita umana e di una morte che si avvicina, ma sempre più spesso sento la mia vita come un attraversare un deserto: la pandemia con annesso il lockdown, lo scatenarsi di guerre sempre più vicine a noi e nella terra santa, la crisi economica e l’inflazione. Certo, non mancano, anzi ancora numerose sono le oasi di felicità, ma la sensazione rimane quella: il deserto!
Come ogni prima domenica di quaresima la liturgia propone l’episodio delle tentazioni di Gesù che conosciamo soprattutto nelle versioni di Matteo e Luca con le tre tentazioni, ma che nella versione dell’evangelista Marco risulta piuttosto scarna. Forse proprio per la mancanza di particolari questo racconto diventa vangelo per me, per noi oggi perché in questi due versetti molto semplici, ma anche estremamente profondi e ricchi di suggestioni, Marco ci presenta un Gesù “scaraventato” dallo Spirito nel deserto e tentato da Satana per quaranta giorni; in questi pochi versetti ci si rivela un Dio innamorato dell’uomo, sempre pronto ad andargli incontro nonostante le sue piccole e grandi infedeltà, un Dio che spinto dall’urgenza di un amore infinito viene a condividere e ad attraversare il deserto della nostra vita e ci invita a fare altrettanto con coraggio e con la consapevolezza che Lui ci accompagna in questo nostro pellegrinaggio; un Dio che non tiene conto dei nostri errori e non si stanca neanche quando ci dimostriamo incapaci di corrispondere anche solo in minima parte al suo amore; un Dio che fa qualcosa di straordinario, di inconcepibile divenendo uno di noi e facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2). Questo è il senso primo ed ultimo del Natale, il mistero di un Dio che non è rimasto indifferente alla condizione di fragilità dell’uomo, ma che ha voluto essere “messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15).
Ora, da momenti di crisi come quelli che viviamo non è possibile uscire così come ci si è entrati (Francesco in “Fratres omnes”) poiché saremo migliori o peggiori, perché dalle prove, dal deserto ne possiamo uscire maturati o sconfitti: sconfitti, se la prova ci rende meno umani arrivando a maledire Dio stesso o il fratello che ci ha fatto un torto; maturati, se tutto questo ci ha fatto crescere nella capacità di amare e in una fede più solida. Regaliamoci in questa ennesima quaresima un tempo per imparare ad accogliere un Dio che si offre per amore, viviamo questi giorni come una palestra per prepararci a vivere ogni istante della nostra vita per amore ed i nostri deserti fioriranno!
Ora il deserto richiama l’esodo ed il cammino di liberazione del popolo di Israele verso la terra promessa, quel tempo in cui Dio ha messo alla prova il popolo per far maturare la sua fede; in questo senso il deserto non è solo il luogo della tentazione, dello sconforto e dello scoraggiamento, ma è anche il luogo dell’essenziale, il luogo in cui ti rendi conto di cosa conta e cosa no. È il luogo dove Dio conduce la sua sposa per ravvivare l’amore, perché possa parlare al cuore del suo popolo e di ciascuno, è il luogo per recuperare l’intimità con Dio ed è anche questo deserto, luogo di luce e non di tristezza, luogo per un nuovo innamoramento con Dio che dobbiamo attraversare.
Ed in questo deserto Gesù vi entra per rimanervi quaranta giorni: sì quaranta, il numero che indicava il tempo di una generazione, il tempo di una vita e per essere tentato. Credo sia importante soffermarci su questo verbo, “tentare”, che per noi significa un tendere un tranello per ingannare, per portare fuori strada; proprio l’aver travisato questo significato ha portato a sostituire nella nuova versione del Padre Nostro le parole “non indurci in tentazione” perché è sbagliato il solo pensare che Dio voglia sottoporci a qualche inganno per farci cadere nel male del peccato; il verbo greco non indica l’istigare al male ma il far passare attraverso la prova nelle scelte; la tentazione, infatti, è la scelta tra due amori, uno allettante e spontaneo ed un altro che cammina faticosamente nella fedeltà alla ricerca della felicità; la tentazione ci domanda di scegliere quale debba essere la bussola della nostra vita, la stella polare del nostro cuore, se la voce suadente della logica di questo mondo o la forza liberante della Parola di Dio.
Sì, purtroppo nei nostri deserti è possibile, anzi sicuro, incontrare Satana, l’avversario, tutto ciò ostacola il nostro cammino, tutto ciò che si oppone a una scelta di vita che ci renda veramente felici magari offrendo un piacere momentaneo. Satana è la logica di questo mondo che ti incita a pensare a te stesso, a disinteressarti degli altri, a fare ciò che ti piace, Satana sono le persone che si oppongono al vangelo, che intralciano il cammino di chi vuole seguire Cristo, ma soprattutto Satana siamo noi, come fu lo stesso Pietro, quando ragioniamo secondo la logica di questo mondo e non secondo i pensieri di Dio.
Non preoccupiamoci se nel deserto incontreremo bestie selvatiche, belve feroci che tenteranno di farci male perché in quello stesso deserto siamo accompagnati da angeli che Dio manda a custodire il nostro cammino. Ho ben presente i miei, i loro volti: mia moglie Silvia, i miei figli Riccardo ed Elizabeth, i miei genitori, che mi hanno educato alla vita e alla fede, e poi quell’amico, quell’amica, quei fratelli e sorelle che in questi anni mi hanno spinto, supportato e sopportato nel mio cammino di fede.
Terminata questa sua esperienza nel deserto, Gesù inizia il suo ministero annunciando che il regno di Dio è giunto, quel regno annunciato dai profeti, il tempo in cui Dio prenderà in mano la storia del suo popolo. È il cambiamento della storia e del modo di vivere: quando Dio viene a regnare cambia tutto il modo di pensare e di ragionare, cambiano i rapporti con le persone all’interno della famiglia e nei rapporti sociali, cambia il rapporto con il denaro e con le cose; se nel mondo contavano solo gli uomini di successo, i ricchi, i forti, nel regno di Dio tutto viene capovolto e chi è umile buono mite retto sincero leale ora conta. Questo regno di Dio è già presente nel mondo nella persona di Gesù, che vive e realizza questi valori nuovi, ma ci sono due condizioni per entrare in questo regno: convertirsi e credere nel vangelo.
Così la conversione non indica un ritorno a Dio, ma un cambiamento nel modo di pensare, un capovolgimento nella propria scala di valori, un accogliere la proposta di mondo nuovo ed il vangelo che Gesù annuncia ed incarna.
“Convertitevi e credete nel Vangelo”: cambiate la vostra logica, non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario perché Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Come ogni prima domenica di quaresima la liturgia propone l’episodio delle tentazioni di Gesù che conosciamo soprattutto nelle versioni di Matteo e Luca con le tre tentazioni, ma che nella versione dell’evangelista Marco risulta piuttosto scarna. Forse proprio per la mancanza di particolari questo racconto diventa vangelo per me, per noi oggi perché in questi due versetti molto semplici, ma anche estremamente profondi e ricchi di suggestioni, Marco ci presenta un Gesù “scaraventato” dallo Spirito nel deserto e tentato da Satana per quaranta giorni; in questi pochi versetti ci si rivela un Dio innamorato dell’uomo, sempre pronto ad andargli incontro nonostante le sue piccole e grandi infedeltà, un Dio che spinto dall’urgenza di un amore infinito viene a condividere e ad attraversare il deserto della nostra vita e ci invita a fare altrettanto con coraggio e con la consapevolezza che Lui ci accompagna in questo nostro pellegrinaggio; un Dio che non tiene conto dei nostri errori e non si stanca neanche quando ci dimostriamo incapaci di corrispondere anche solo in minima parte al suo amore; un Dio che fa qualcosa di straordinario, di inconcepibile divenendo uno di noi e facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2). Questo è il senso primo ed ultimo del Natale, il mistero di un Dio che non è rimasto indifferente alla condizione di fragilità dell’uomo, ma che ha voluto essere “messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15).
Ora, da momenti di crisi come quelli che viviamo non è possibile uscire così come ci si è entrati (Francesco in “Fratres omnes”) poiché saremo migliori o peggiori, perché dalle prove, dal deserto ne possiamo uscire maturati o sconfitti: sconfitti, se la prova ci rende meno umani arrivando a maledire Dio stesso o il fratello che ci ha fatto un torto; maturati, se tutto questo ci ha fatto crescere nella capacità di amare e in una fede più solida. Regaliamoci in questa ennesima quaresima un tempo per imparare ad accogliere un Dio che si offre per amore, viviamo questi giorni come una palestra per prepararci a vivere ogni istante della nostra vita per amore ed i nostri deserti fioriranno!
Ora il deserto richiama l’esodo ed il cammino di liberazione del popolo di Israele verso la terra promessa, quel tempo in cui Dio ha messo alla prova il popolo per far maturare la sua fede; in questo senso il deserto non è solo il luogo della tentazione, dello sconforto e dello scoraggiamento, ma è anche il luogo dell’essenziale, il luogo in cui ti rendi conto di cosa conta e cosa no. È il luogo dove Dio conduce la sua sposa per ravvivare l’amore, perché possa parlare al cuore del suo popolo e di ciascuno, è il luogo per recuperare l’intimità con Dio ed è anche questo deserto, luogo di luce e non di tristezza, luogo per un nuovo innamoramento con Dio che dobbiamo attraversare.
Ed in questo deserto Gesù vi entra per rimanervi quaranta giorni: sì quaranta, il numero che indicava il tempo di una generazione, il tempo di una vita e per essere tentato. Credo sia importante soffermarci su questo verbo, “tentare”, che per noi significa un tendere un tranello per ingannare, per portare fuori strada; proprio l’aver travisato questo significato ha portato a sostituire nella nuova versione del Padre Nostro le parole “non indurci in tentazione” perché è sbagliato il solo pensare che Dio voglia sottoporci a qualche inganno per farci cadere nel male del peccato; il verbo greco non indica l’istigare al male ma il far passare attraverso la prova nelle scelte; la tentazione, infatti, è la scelta tra due amori, uno allettante e spontaneo ed un altro che cammina faticosamente nella fedeltà alla ricerca della felicità; la tentazione ci domanda di scegliere quale debba essere la bussola della nostra vita, la stella polare del nostro cuore, se la voce suadente della logica di questo mondo o la forza liberante della Parola di Dio.
Sì, purtroppo nei nostri deserti è possibile, anzi sicuro, incontrare Satana, l’avversario, tutto ciò ostacola il nostro cammino, tutto ciò che si oppone a una scelta di vita che ci renda veramente felici magari offrendo un piacere momentaneo. Satana è la logica di questo mondo che ti incita a pensare a te stesso, a disinteressarti degli altri, a fare ciò che ti piace, Satana sono le persone che si oppongono al vangelo, che intralciano il cammino di chi vuole seguire Cristo, ma soprattutto Satana siamo noi, come fu lo stesso Pietro, quando ragioniamo secondo la logica di questo mondo e non secondo i pensieri di Dio.
Non preoccupiamoci se nel deserto incontreremo bestie selvatiche, belve feroci che tenteranno di farci male perché in quello stesso deserto siamo accompagnati da angeli che Dio manda a custodire il nostro cammino. Ho ben presente i miei, i loro volti: mia moglie Silvia, i miei figli Riccardo ed Elizabeth, i miei genitori, che mi hanno educato alla vita e alla fede, e poi quell’amico, quell’amica, quei fratelli e sorelle che in questi anni mi hanno spinto, supportato e sopportato nel mio cammino di fede.
Terminata questa sua esperienza nel deserto, Gesù inizia il suo ministero annunciando che il regno di Dio è giunto, quel regno annunciato dai profeti, il tempo in cui Dio prenderà in mano la storia del suo popolo. È il cambiamento della storia e del modo di vivere: quando Dio viene a regnare cambia tutto il modo di pensare e di ragionare, cambiano i rapporti con le persone all’interno della famiglia e nei rapporti sociali, cambia il rapporto con il denaro e con le cose; se nel mondo contavano solo gli uomini di successo, i ricchi, i forti, nel regno di Dio tutto viene capovolto e chi è umile buono mite retto sincero leale ora conta. Questo regno di Dio è già presente nel mondo nella persona di Gesù, che vive e realizza questi valori nuovi, ma ci sono due condizioni per entrare in questo regno: convertirsi e credere nel vangelo.
Così la conversione non indica un ritorno a Dio, ma un cambiamento nel modo di pensare, un capovolgimento nella propria scala di valori, un accogliere la proposta di mondo nuovo ed il vangelo che Gesù annuncia ed incarna.
“Convertitevi e credete nel Vangelo”: cambiate la vostra logica, non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario perché Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Commento 21 febbraio 2021
All’inizio del nostro percorso quaresimale ci viene incontro l’episodio delle tentazioni di Gesù che conosciamo soprattutto nelle versioni di Matteo e Luca con le tre tentazioni; certamente il racconto molto scarno di Marco ci aiuta a guardare meglio al senso di questo Gesù scaraventato dallo spirito nel deserto, tentato da Satana per quaranta giorni mentre stava con le bestie selvatiche e gli angeli che lo servivano. In questi due versetti molto semplici, ma anche estremamente profondi e ricchi di suggestioni, Marco ci presenta un Dio innamorato dell’uomo e sempre pronto ad andargli incontro nonostante le sue piccole e grandi infedeltà, un Dio che spinto dall’urgenza di un amore infinito viene a condividere e ad attraversare il deserto della nostra vita e ci invita a fare altrettanto con coraggio e con la consapevolezza che Lui ci accompagna in questo nostro pellegrinaggio; un Dio che non tiene conto dei nostri errori e non si stanca neanche quando ci dimostriamo incapaci di corrispondere anche solo in minima parte al suo amore; un Dio che fa qualcosa di straordinario, di inconcepibile divenendo uno di noi e facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce (Fil 2).
Mi faceva riflettere un fratello di comunità su quanto non sia semplice in questa particolare quaresima parlare di deserto, è ormai un anno che stiamo attraversando momenti difficili che stanno mettendo a dura prova la nostra vita sociale e spirituale. Credo sia normale domandarsi proprio in questi momenti che senso abbiano le rinunce; c’è chi ha perso degli amici, il lavoro, la salute, ai nostri giovani è stato tolto non solo il divertimento nelle discoteche, ma in qualche modo anche la possibilità dello studio ed il futuro per una crisi economica durissima che distrugge tante speranze di trovare un lavoro; insomma, sempre più ci sembra di vivere una “lunga quaresima senza Pasqua” (Curtaz), un tunnel di cui non riusciamo ad intravedere la fine.
Da momenti di crisi come questi, da quaresime come queste non è possibile uscire così come ci si è entrati, ce lo ricorda bene e più volte nella sua ultima enciclica “Fratres omnes”, papa Francesco: saremo migliori o peggiori perché
le nostre scelte avranno comunque cambiato la nostra vita. Sarebbe davvero importante se al termine di questa pandemia questo tempo non sia stato solo una parentesi, un periodo delle nostre vite buttato via, ma al contrario sia stato un’opportunità per vivere in maniera diversa, per convertire le nostre vite; regaliamoci allora in questa particolare quaresima 2021 un tempo per imparare ad accogliere un Dio che si offre per amore, viviamo questi giorni come una palestra per prepararci a vivere ogni istante della nostra vita per amore. Ecco allora che i nostri deserti fioriranno secondo il progetto di Dio!
Il deserto richiama immediatamente l’esodo ed il cammino di liberazione del popolo di Israele verso la terra promessa, è il tempo in cui Dio ha messo alla prova questo popolo per far maturare la sua fede. Il deserto non è solo il luogo della tentazione, dello sconforto e dello scoraggiamento, ma è anche il luogo dell’essenziale, il luogo in cui ti rendi conto di cosa conta e cosa no. È il luogo dove Dio conduce la sua sposa per ravvivare l’amore, perché possa parlare al cuore del suo popolo e di ciascuno, è il luogo per recuperare l’intimità con Dio: questo è il deserto che dobbiamo attraversare come un luogo di luce e non di tristezza, come luogo per un nuovo innamoramento. Gesù è entrato in questo deserto per rimanervi quaranta giorni: quaranta, il tempo di una vita per essere tentato!
Credo sia importante soffermarci su questo verbo, “tentare”, che per noi significa un tendere un tranello per ingannare, per portare fuori strada; proprio l’aver travisato questo significato ha portato a sostituire nella nuova versione del Padre Nostro le parole “non indurci in tentazione” perché è sbagliato il solo pensare che Dio voglia sottoporci a qualche inganno per farci cadere nel male del peccato; il verbo greco non indica l’istigare al male ma il far passare attraverso la prova nelle scelte; la tentazione, infatti, è la scelta tra due amori, uno allettante e spontaneo, latore di piacere, il secondo che cammina faticosamente nella fedeltà alla ricerca della felicità; la tentazione ci domanda di scegliere quale debba essere la bussola della nostra vita, la stella polare del nostro cuore, se la voce suadente della logica di questo mondo o la forza liberante della Parola di Dio.
In quel deserto, che è poi la nostra vita, Gesù incontra Satana: Satana è l’avversario, tutto ciò ostacola il nostro cammino, tutto ciò che si oppone a una scelta di vita che ci renda veramente felici magari offrendo un piacere momentaneo; Satana è la logica di questo mondo che ti incita a pensare a te stesso, a disinteressarti degli altri, a fare ciò che ti piace; Satana sono le persone che si oppongono al vangelo, che intralciano il cammino di chi vuole seguire Cristo; Satana siamo noi, come fu lo stesso Pietro, quando ragioniamo secondo la logica di questo mondo e non secondo i pensieri di Dio.
In quello stesso deserto ci sono le bestie selvatiche e qui il riferimento potrebbe esser al libro di Daniele (Cap. 7), dove in una drammatica visione si descrivono uscire dal mare quattro belve, simboli di quel mondo basato sulla forza e la violenza, dove si era grandi in base alla capacità di sopraffare i più deboli. A questo mondo Dio ha voluto porre fine, inviando il proprio Figlio come un agnello, che in mezzo a queste aveva sicuramente il destino segnato. Ogni forma di potere da quello economico a quello politico, financo a quello religioso si regge sulla logica di questo mondo. Come Gesù, il discepolo non può accettare quei poteri economici che sfruttano e costringono a vivere nella miseria interi popoli; il discepolo non può accogliere quelle ideologie folli anche se nutrite da una fede blasfema come i fanatismi e i fondamentalismi religiosi che fomentano il razzismo e l’esclusione; il discepolo non può esimersi dalla lotta contro quelle forme di autorità usate per dominare ed opprimere e non può fare pace con tutti coloro che si comportano da belve e non da uomini.
Ma nel deserto delle nostre vite Gesù e noi con Lui sappiamo che incontreremo anche angeli pronti a mettersi al nostro servizio. Con angeli non si intendono necessariamente degli esseri spirituali; angeli nella mia vita sono mia moglie e i miei figli, che continuano ad essere attenti al mio percorso di fede; angeli sono stati certamente i miei genitori che mi hanno educato alla vita e alla fede; angelo è quell’amico e tutti quei fratelli e sorelle di comunità che in questi anni mi hanno spinto, supportato e sopportato nel mio cammino di fede.
Terminata questa sua esperienza nel deserto, Gesù inizia il suo ministero annunciando che il regno di Dio è giunto, quel regno annunciato dai profeti, il tempo in cui Dio prenderà in mano la storia del suo popolo. Non si tratta di un evento politico e non è segnato nemmeno da un cambiamento della pratica religiosa, ma è il cambiamento della storia e del modo di vivere: quando Dio viene a regnare cambia tutto il modo di pensare e di ragionare, cambiano i rapporti con le persone all’interno della famiglia e nei rapporti sociali, cambia il rapporto con il denaro e con le cose; se nel mondo contavano solo gli uomini di successo, i ricchi, i forti, nel regno di Dio tutto viene capovolto e chi è umile buono mite retto sincero leale ora conta. Questo regno di Dio è già presente nel mondo nella persona di Gesù, che vive e realizza questi valori nuovi, ma ci sono due condizioni per entrare in questo regno: convertirsi e credere nel vangelo.
Qui la conversione non indica un ritorno a Dio dopo che ci si è allontanati, ma è presentata come un cambiamento nel modo di pensare, un capovolgimento nella propria scala di valori; è questa la conversione: accogliere la sua proposta di mondo nuovo ed il vangelo che lui annuncia ed incarna.
Cambiate, allora, le vostre menti! Non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario perché Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci, dunque, per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Mi faceva riflettere un fratello di comunità su quanto non sia semplice in questa particolare quaresima parlare di deserto, è ormai un anno che stiamo attraversando momenti difficili che stanno mettendo a dura prova la nostra vita sociale e spirituale. Credo sia normale domandarsi proprio in questi momenti che senso abbiano le rinunce; c’è chi ha perso degli amici, il lavoro, la salute, ai nostri giovani è stato tolto non solo il divertimento nelle discoteche, ma in qualche modo anche la possibilità dello studio ed il futuro per una crisi economica durissima che distrugge tante speranze di trovare un lavoro; insomma, sempre più ci sembra di vivere una “lunga quaresima senza Pasqua” (Curtaz), un tunnel di cui non riusciamo ad intravedere la fine.
Da momenti di crisi come questi, da quaresime come queste non è possibile uscire così come ci si è entrati, ce lo ricorda bene e più volte nella sua ultima enciclica “Fratres omnes”, papa Francesco: saremo migliori o peggiori perché
le nostre scelte avranno comunque cambiato la nostra vita. Sarebbe davvero importante se al termine di questa pandemia questo tempo non sia stato solo una parentesi, un periodo delle nostre vite buttato via, ma al contrario sia stato un’opportunità per vivere in maniera diversa, per convertire le nostre vite; regaliamoci allora in questa particolare quaresima 2021 un tempo per imparare ad accogliere un Dio che si offre per amore, viviamo questi giorni come una palestra per prepararci a vivere ogni istante della nostra vita per amore. Ecco allora che i nostri deserti fioriranno secondo il progetto di Dio!
Il deserto richiama immediatamente l’esodo ed il cammino di liberazione del popolo di Israele verso la terra promessa, è il tempo in cui Dio ha messo alla prova questo popolo per far maturare la sua fede. Il deserto non è solo il luogo della tentazione, dello sconforto e dello scoraggiamento, ma è anche il luogo dell’essenziale, il luogo in cui ti rendi conto di cosa conta e cosa no. È il luogo dove Dio conduce la sua sposa per ravvivare l’amore, perché possa parlare al cuore del suo popolo e di ciascuno, è il luogo per recuperare l’intimità con Dio: questo è il deserto che dobbiamo attraversare come un luogo di luce e non di tristezza, come luogo per un nuovo innamoramento. Gesù è entrato in questo deserto per rimanervi quaranta giorni: quaranta, il tempo di una vita per essere tentato!
Credo sia importante soffermarci su questo verbo, “tentare”, che per noi significa un tendere un tranello per ingannare, per portare fuori strada; proprio l’aver travisato questo significato ha portato a sostituire nella nuova versione del Padre Nostro le parole “non indurci in tentazione” perché è sbagliato il solo pensare che Dio voglia sottoporci a qualche inganno per farci cadere nel male del peccato; il verbo greco non indica l’istigare al male ma il far passare attraverso la prova nelle scelte; la tentazione, infatti, è la scelta tra due amori, uno allettante e spontaneo, latore di piacere, il secondo che cammina faticosamente nella fedeltà alla ricerca della felicità; la tentazione ci domanda di scegliere quale debba essere la bussola della nostra vita, la stella polare del nostro cuore, se la voce suadente della logica di questo mondo o la forza liberante della Parola di Dio.
In quel deserto, che è poi la nostra vita, Gesù incontra Satana: Satana è l’avversario, tutto ciò ostacola il nostro cammino, tutto ciò che si oppone a una scelta di vita che ci renda veramente felici magari offrendo un piacere momentaneo; Satana è la logica di questo mondo che ti incita a pensare a te stesso, a disinteressarti degli altri, a fare ciò che ti piace; Satana sono le persone che si oppongono al vangelo, che intralciano il cammino di chi vuole seguire Cristo; Satana siamo noi, come fu lo stesso Pietro, quando ragioniamo secondo la logica di questo mondo e non secondo i pensieri di Dio.
In quello stesso deserto ci sono le bestie selvatiche e qui il riferimento potrebbe esser al libro di Daniele (Cap. 7), dove in una drammatica visione si descrivono uscire dal mare quattro belve, simboli di quel mondo basato sulla forza e la violenza, dove si era grandi in base alla capacità di sopraffare i più deboli. A questo mondo Dio ha voluto porre fine, inviando il proprio Figlio come un agnello, che in mezzo a queste aveva sicuramente il destino segnato. Ogni forma di potere da quello economico a quello politico, financo a quello religioso si regge sulla logica di questo mondo. Come Gesù, il discepolo non può accettare quei poteri economici che sfruttano e costringono a vivere nella miseria interi popoli; il discepolo non può accogliere quelle ideologie folli anche se nutrite da una fede blasfema come i fanatismi e i fondamentalismi religiosi che fomentano il razzismo e l’esclusione; il discepolo non può esimersi dalla lotta contro quelle forme di autorità usate per dominare ed opprimere e non può fare pace con tutti coloro che si comportano da belve e non da uomini.
Ma nel deserto delle nostre vite Gesù e noi con Lui sappiamo che incontreremo anche angeli pronti a mettersi al nostro servizio. Con angeli non si intendono necessariamente degli esseri spirituali; angeli nella mia vita sono mia moglie e i miei figli, che continuano ad essere attenti al mio percorso di fede; angeli sono stati certamente i miei genitori che mi hanno educato alla vita e alla fede; angelo è quell’amico e tutti quei fratelli e sorelle di comunità che in questi anni mi hanno spinto, supportato e sopportato nel mio cammino di fede.
Terminata questa sua esperienza nel deserto, Gesù inizia il suo ministero annunciando che il regno di Dio è giunto, quel regno annunciato dai profeti, il tempo in cui Dio prenderà in mano la storia del suo popolo. Non si tratta di un evento politico e non è segnato nemmeno da un cambiamento della pratica religiosa, ma è il cambiamento della storia e del modo di vivere: quando Dio viene a regnare cambia tutto il modo di pensare e di ragionare, cambiano i rapporti con le persone all’interno della famiglia e nei rapporti sociali, cambia il rapporto con il denaro e con le cose; se nel mondo contavano solo gli uomini di successo, i ricchi, i forti, nel regno di Dio tutto viene capovolto e chi è umile buono mite retto sincero leale ora conta. Questo regno di Dio è già presente nel mondo nella persona di Gesù, che vive e realizza questi valori nuovi, ma ci sono due condizioni per entrare in questo regno: convertirsi e credere nel vangelo.
Qui la conversione non indica un ritorno a Dio dopo che ci si è allontanati, ma è presentata come un cambiamento nel modo di pensare, un capovolgimento nella propria scala di valori; è questa la conversione: accogliere la sua proposta di mondo nuovo ed il vangelo che lui annuncia ed incarna.
Cambiate, allora, le vostre menti! Non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario perché Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci, dunque, per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Commento 18 febbraio 2018
Scriveva Wilde: posso resistere a tutto tranne alle tentazioni! Una frase provocatoria, ma che ci introduce nella riflessione di oggi. Infatti il vangelo della prima domenica di quaresima propone il classico brano sulle tentazioni, che nella versione di Marco risulta molto più sobrio rispetto agli altri sinottici, solo due versetti sono sufficienti a comporre il racconto, ma sono due versetti estremamente profondi e ricchi di suggestioni.
È il tema sempre presente nella vita dell’uomo del male morale che siamo portati a compiere; ricordavo qualche domenica fa le parole di Paolo in Rm 7,14: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto.” Parole con le quali lo stesso Paolo cercava di esprimere quanto succede in noi ogni qualvolta abbiamo di fronte una scelta da compiere e troppe volte finiamo per scegliere ciò che in realtà sappiamo bene essere male. Ecco il deserto dell’uomo!
La parola deserto suscitava agli orecchi del pio ebreo pensieri molto forti: fu l’esperienza del deserto con le sue prove a fondare il sentire religioso e sociale di quel popolo finalmente libero dalla schiavitù; è nel deserto che il popolo si scoprì infedele, ma pur sempre bisognoso del suo Dio; è il deserto il luogo dove l’uomo comprende ciò che realmente gli è più essenziale; è nel deserto che Dio chiama il suo popolo per rinnovare l’alleanza matrimoniale (Os 2).
In questo deserto Gesù viene sospinto, meglio sarebbe dire “cacciato” dallo Spirito, poiché quello era il luogo privilegiato per incontrare la nostra umanità. Dio nell’incarnazione del suo Figlio ha scelto di essere non solo vero Dio, ma innanzitutto vero uomo, ha scelto di condividere in tutto l’esperienza dell’uomo, la sua creatura prediletta. Questo il vangelo di Dio: Egli non abbandona l’uomo, ma vuole abitare i nostri deserti, sceglie di entrare nella dimensione umana della nostra fatica di vivere: quando tutto intorno a noi appare vuoto e nulla sembra avere senso. Gesù vi entra e vi entra per restarci; ci sta quaranta giorni, un tempo lungo e simbolico: a ricordo di quei 40 anni, il tempo di tutta una vita, trascorsi dal popolo di Dio nel deserto. Allora la quaresima acquista un senso ulteriore e diventa per noi oggi la palestra per giocare il campionato più bello, quello per una vita pienamente realizzata. In queste deserto siamo tentati di mollare perché la fatica è tanta, di cambiare strada perché altre vie sono più semplici, ma ci sia di conforto sapere che anche Gesù fu tentato di tradire la sua missione per l’uomo: preferire il suo successo personale alla mia salvezza, il potere al servizio; seppe resistere e trasformare quel deserto nel suo regno dove finalmente germoglia la vita, trasformare me, bestia selvatica, in angelo capace di mettere tutta la mia vita al servizio di Dio e dei fratelli; così nel deserto della mia vita è potuto finalmente fiorire il suo regno d’amore!
Una nuova potente energia, lo Spirito di Dio, ora può risanare ogni nostra tristezza, rompere ogni nostra pigrizia e sussurrare ai nostri cuori nel rumore assordante delle nostre città una buona notizia: Dio è vicino, credete all’amore e perciò convertitevi, modificate la scala dei vostri valori.
Cambiate le vostre menti! Non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario: Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci, dunque, per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Ora possiamo rispondere alla provocazione iniziale: posso resistere a tutto anche alle tentazioni, grazie a Dio!
È il tema sempre presente nella vita dell’uomo del male morale che siamo portati a compiere; ricordavo qualche domenica fa le parole di Paolo in Rm 7,14: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto.” Parole con le quali lo stesso Paolo cercava di esprimere quanto succede in noi ogni qualvolta abbiamo di fronte una scelta da compiere e troppe volte finiamo per scegliere ciò che in realtà sappiamo bene essere male. Ecco il deserto dell’uomo!
La parola deserto suscitava agli orecchi del pio ebreo pensieri molto forti: fu l’esperienza del deserto con le sue prove a fondare il sentire religioso e sociale di quel popolo finalmente libero dalla schiavitù; è nel deserto che il popolo si scoprì infedele, ma pur sempre bisognoso del suo Dio; è il deserto il luogo dove l’uomo comprende ciò che realmente gli è più essenziale; è nel deserto che Dio chiama il suo popolo per rinnovare l’alleanza matrimoniale (Os 2).
In questo deserto Gesù viene sospinto, meglio sarebbe dire “cacciato” dallo Spirito, poiché quello era il luogo privilegiato per incontrare la nostra umanità. Dio nell’incarnazione del suo Figlio ha scelto di essere non solo vero Dio, ma innanzitutto vero uomo, ha scelto di condividere in tutto l’esperienza dell’uomo, la sua creatura prediletta. Questo il vangelo di Dio: Egli non abbandona l’uomo, ma vuole abitare i nostri deserti, sceglie di entrare nella dimensione umana della nostra fatica di vivere: quando tutto intorno a noi appare vuoto e nulla sembra avere senso. Gesù vi entra e vi entra per restarci; ci sta quaranta giorni, un tempo lungo e simbolico: a ricordo di quei 40 anni, il tempo di tutta una vita, trascorsi dal popolo di Dio nel deserto. Allora la quaresima acquista un senso ulteriore e diventa per noi oggi la palestra per giocare il campionato più bello, quello per una vita pienamente realizzata. In queste deserto siamo tentati di mollare perché la fatica è tanta, di cambiare strada perché altre vie sono più semplici, ma ci sia di conforto sapere che anche Gesù fu tentato di tradire la sua missione per l’uomo: preferire il suo successo personale alla mia salvezza, il potere al servizio; seppe resistere e trasformare quel deserto nel suo regno dove finalmente germoglia la vita, trasformare me, bestia selvatica, in angelo capace di mettere tutta la mia vita al servizio di Dio e dei fratelli; così nel deserto della mia vita è potuto finalmente fiorire il suo regno d’amore!
Una nuova potente energia, lo Spirito di Dio, ora può risanare ogni nostra tristezza, rompere ogni nostra pigrizia e sussurrare ai nostri cuori nel rumore assordante delle nostre città una buona notizia: Dio è vicino, credete all’amore e perciò convertitevi, modificate la scala dei vostri valori.
Cambiate le vostre menti! Non c’è minaccia in queste parole, ma una promessa di bellezza, di gioia, di vita vera. La conversione non è uno sforzo, una rinuncia, un “no”, la conversione è dire “sì” al dono di Dio, è sentire che Dio non mi abbandona, ma segue con amorevole attenzione ed infinita tenerezza il corso dei miei giorni perché io sappia viverli secondo il suo progetto originario: Egli mi ha creato per la gioia e l’amore. Convertiamoci, dunque, per diventare il meglio di ciò che possiamo essere!
Ora possiamo rispondere alla provocazione iniziale: posso resistere a tutto anche alle tentazioni, grazie a Dio!