XVI domenica T.O. Anno B
Vangelo Mc 6, 30-34
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Commento 25 luglio 2021
Con il testo di oggi chiudiamo il cerchio sull’attività e la vita dei discepoli: Gesù li chiama per stare con Lui, li manda nel mondo ad annunciare il suo vangelo d’amore; questi lo annunciano con le loro opere, con il loro stile di vita e, solo dopo, con le parole, infine, compiuta la loro missione, ritornano da Gesù per stare con Lui, condividere quanto avevano fatto ed insegnato e per trovare riposo e conforto dopo la fatica. Il nostro cammino di discepoli è tutto qua: stare con Gesù per farne esperienza, annunciare il suo vangelo, quindi ritornare a Gesù dopo aver seminato amore al termine della giornata.
Questo stare con Gesù, questo ritornare a Gesù altro non è che la nostra preghiera, fonte e foce dello scorrere della nostra vita a servizio di Dio e dei fratelli: tutto parte dalla preghiera perché solo nell’incontro amoroso con Gesù faccio esperienza di un Dio che mi ama in modo infinito; tutto si conclude nella preghiera come momento di verifica e revisione della mia giornata in cui mi fermo per cogliere se quei momenti sono stati spesi per amore, se ciò che ho fatto e detto mi ha reso felice senza paura di trovare a volte risposte che non mi piacciono, illudendomi che tutto vada bene o che non ci siano problemi.
Qui credo troviamo la definizione più bella di preghiera: troppe volte la preghiera si riduce ad una lista dei desideri che presento a Dio oppure si ferma alla ripetizione di fredde formule imparate da bambino, invece di essere momento dell’esperienza della tenerezza di Dio, condividendo ciò che ho fatto e detto nella mia giornata. La preghiera è la consegna al Signore della nostra storia, il racconto di ciò che viviamo, proviamo e pensiamo. Dio sa già tutto, ovvio, ma ama sentire raccontare le cose che già sa di noi, da noi. Sì come gli innamorati che sanno perfettamente quanto sono amati dall'amata o dall'amato, ma che non aspettano altre parole che quel dolce sussurrarsi “ti amo!”; così è anche per quel Dio follemente innamorato di ciascuno di noi!
Per questo ogni giorno dovremmo trovare il tempo per raccontare a Dio le nostre giornate, le nostre speranze, le nostre paure e ci accorgeremmo che non siamo soli e che raccontando a qualcuno le nostre emozioni, spesso otteniamo la grazia di comprenderne il senso, perché la preghiera non cambia la nostra vita, cambia noi, il nostro cuore.
I discepoli ritornano dopo essere stati mandati alla gente per fare e raccontare le meraviglie di Dio: è bellissimo che si ponga l’accento innanzitutto sulle opere, ciò che facciamo precede sempre ciò che insegniamo perché il discepolo non porta solo una bella notizia, un ideale, una astratta verità, un sistema di idee, una filosofia, una sapienza, il cristiano vuole incarnare, rendere concreto il progetto d’amore di Dio per ogni donna e uomo che vivono su questa terra. È necessario allora come Chiesa e come singoli verificare quali siano le opere che compiamo, con quali gesti concreti testimoniamo il nostro essere discepoli. Se attorno a noi le vicende di questo mondo ci dicono che è ancora lontana la realizzazione del mondo voluto e sognato da Dio, se siamo travolti nei telegiornali da immagini di disumanità, se il diverso è visto sempre e soltanto come un nemico, forse è lecito chiedersi quale sia la nostra testimonianza di figli di Dio. C’è tanta gente nel mondo che attende un segno, attende come le doglie del parto (Rm 8) che i cristiani sappiano costruire quel regno d’amore che Gesù è venuto ad annunciare ed inaugurare, ma che poi ha affidato alle nostre misere mani. Se i nostri cuori sono ancora chiusi nell’egoismo di fronte ai bisogni di tanti fratelli, forse è necessario in questi caldi giorni d’estate prenderci del tempo, cercare attimi di intimità con il nostro Dio, per poi riprendere nuovamente il cammino consapevoli come l’unica cosa che davvero conta nella vita sia l’amore, la gioia, la pace nella condivisione dei beni materiali e spirituali di cui siamo in possesso.
C’è un filo rosso che lega i momenti del vangelo di oggi ed è quel sentimento di compassione che Gesù prova nei confronti di chi gli sta accanto: proprio così il Dio di Gesù Cristo è un Dio che ha compassione prima verso i discepoli stanchi e poi verso una folla sbandata, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse dare senso alle loro vite. Dio ha compassione di noi e dico questo pensando al significato pieno del termine che troppo spesso abbiamo ridotto a sentimenti di pietà nei confronti dell’altro, non è questo! La compassione nel suo significato etimologico è quel sentimento che ci permette di metterci nei panni dell’altro, così il nostro Dio è un Dio che patisce con noi, condivide ogni momento avendo a cuore la nostra pace e gioia; di conseguenza il discepolo è colui che è capace di compassione, è capace di vivere accanto al prossimo condividendo i momenti belli e quelli più difficili, i pensieri, le paure, le preoccupazioni, le speranze ed i sogni (Cfr. Gaudium et Spes 1).
Gesù accoglie con gioia i suoi discepoli, condivide la felicità per le meraviglie che si sono compiute sotto i loro occhi, ma vede anche la stanchezza, la necessità di un momento di solitudine per tornare alle fonti e dissetarsi a quell’acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,10.14), per riposare tra le accoglienti braccia di Dio che è Madre e Padre misericordioso!
Per il Signore prima di tutto viene la persona, non i risultati ottenuti, a lui interessa ciò che siamo non ciò che facciamo, non stanno a cuore i nostri impegni, i nostri risultati pastorali, ma soltanto noi; quindi facciamo le cose con passione e impegno come se tutto dipendesse da noi ma facciamole senza ansia e con fiducia come se tutto dipendesse da Dio! C'è sempre troppo da fare, troppo da lavorare, troppo da sistemare. Il rischio, di ieri e di oggi, è quello di disperdersi, di non avere più tempo per sé, tempo per pregare e per ricaricarsi; Gesù stesso aveva coscienza dei suoi limiti e di quelli degli apostoli, sapeva che l’uomo ha bisogno di rimettere al centro un senso per tutto ciò che fa e lo può fare soltanto pregando il Padre.
Arrivati in disparte ecco che Gesù e i discepoli ritrovano la folla che li aveva preceduti ad attenderli, di fronte a tutto questo noi avremmo certamente reagito con irritazione perché ci veniva negato anche solo qualche istante di preghiera, o anche solo di tranquillità, di serenità; invece Gesù rivolge loro nuovamente uno sguardo di compassione perché li vede smarriti come pecore senza pastore. Eh, sì tocca a noi, in questo mondo privo di pastori dove prevalgono solo mercenari siamo chiamati a ricordare che esiste un senso pieno alla nostra vita e lo si può trovare soltanto nell’amare tutti gli altri, nostri fratelli, come il Signore ha amato noi! (Gv 15,12).
Questo stare con Gesù, questo ritornare a Gesù altro non è che la nostra preghiera, fonte e foce dello scorrere della nostra vita a servizio di Dio e dei fratelli: tutto parte dalla preghiera perché solo nell’incontro amoroso con Gesù faccio esperienza di un Dio che mi ama in modo infinito; tutto si conclude nella preghiera come momento di verifica e revisione della mia giornata in cui mi fermo per cogliere se quei momenti sono stati spesi per amore, se ciò che ho fatto e detto mi ha reso felice senza paura di trovare a volte risposte che non mi piacciono, illudendomi che tutto vada bene o che non ci siano problemi.
Qui credo troviamo la definizione più bella di preghiera: troppe volte la preghiera si riduce ad una lista dei desideri che presento a Dio oppure si ferma alla ripetizione di fredde formule imparate da bambino, invece di essere momento dell’esperienza della tenerezza di Dio, condividendo ciò che ho fatto e detto nella mia giornata. La preghiera è la consegna al Signore della nostra storia, il racconto di ciò che viviamo, proviamo e pensiamo. Dio sa già tutto, ovvio, ma ama sentire raccontare le cose che già sa di noi, da noi. Sì come gli innamorati che sanno perfettamente quanto sono amati dall'amata o dall'amato, ma che non aspettano altre parole che quel dolce sussurrarsi “ti amo!”; così è anche per quel Dio follemente innamorato di ciascuno di noi!
Per questo ogni giorno dovremmo trovare il tempo per raccontare a Dio le nostre giornate, le nostre speranze, le nostre paure e ci accorgeremmo che non siamo soli e che raccontando a qualcuno le nostre emozioni, spesso otteniamo la grazia di comprenderne il senso, perché la preghiera non cambia la nostra vita, cambia noi, il nostro cuore.
I discepoli ritornano dopo essere stati mandati alla gente per fare e raccontare le meraviglie di Dio: è bellissimo che si ponga l’accento innanzitutto sulle opere, ciò che facciamo precede sempre ciò che insegniamo perché il discepolo non porta solo una bella notizia, un ideale, una astratta verità, un sistema di idee, una filosofia, una sapienza, il cristiano vuole incarnare, rendere concreto il progetto d’amore di Dio per ogni donna e uomo che vivono su questa terra. È necessario allora come Chiesa e come singoli verificare quali siano le opere che compiamo, con quali gesti concreti testimoniamo il nostro essere discepoli. Se attorno a noi le vicende di questo mondo ci dicono che è ancora lontana la realizzazione del mondo voluto e sognato da Dio, se siamo travolti nei telegiornali da immagini di disumanità, se il diverso è visto sempre e soltanto come un nemico, forse è lecito chiedersi quale sia la nostra testimonianza di figli di Dio. C’è tanta gente nel mondo che attende un segno, attende come le doglie del parto (Rm 8) che i cristiani sappiano costruire quel regno d’amore che Gesù è venuto ad annunciare ed inaugurare, ma che poi ha affidato alle nostre misere mani. Se i nostri cuori sono ancora chiusi nell’egoismo di fronte ai bisogni di tanti fratelli, forse è necessario in questi caldi giorni d’estate prenderci del tempo, cercare attimi di intimità con il nostro Dio, per poi riprendere nuovamente il cammino consapevoli come l’unica cosa che davvero conta nella vita sia l’amore, la gioia, la pace nella condivisione dei beni materiali e spirituali di cui siamo in possesso.
C’è un filo rosso che lega i momenti del vangelo di oggi ed è quel sentimento di compassione che Gesù prova nei confronti di chi gli sta accanto: proprio così il Dio di Gesù Cristo è un Dio che ha compassione prima verso i discepoli stanchi e poi verso una folla sbandata, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse dare senso alle loro vite. Dio ha compassione di noi e dico questo pensando al significato pieno del termine che troppo spesso abbiamo ridotto a sentimenti di pietà nei confronti dell’altro, non è questo! La compassione nel suo significato etimologico è quel sentimento che ci permette di metterci nei panni dell’altro, così il nostro Dio è un Dio che patisce con noi, condivide ogni momento avendo a cuore la nostra pace e gioia; di conseguenza il discepolo è colui che è capace di compassione, è capace di vivere accanto al prossimo condividendo i momenti belli e quelli più difficili, i pensieri, le paure, le preoccupazioni, le speranze ed i sogni (Cfr. Gaudium et Spes 1).
Gesù accoglie con gioia i suoi discepoli, condivide la felicità per le meraviglie che si sono compiute sotto i loro occhi, ma vede anche la stanchezza, la necessità di un momento di solitudine per tornare alle fonti e dissetarsi a quell’acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,10.14), per riposare tra le accoglienti braccia di Dio che è Madre e Padre misericordioso!
Per il Signore prima di tutto viene la persona, non i risultati ottenuti, a lui interessa ciò che siamo non ciò che facciamo, non stanno a cuore i nostri impegni, i nostri risultati pastorali, ma soltanto noi; quindi facciamo le cose con passione e impegno come se tutto dipendesse da noi ma facciamole senza ansia e con fiducia come se tutto dipendesse da Dio! C'è sempre troppo da fare, troppo da lavorare, troppo da sistemare. Il rischio, di ieri e di oggi, è quello di disperdersi, di non avere più tempo per sé, tempo per pregare e per ricaricarsi; Gesù stesso aveva coscienza dei suoi limiti e di quelli degli apostoli, sapeva che l’uomo ha bisogno di rimettere al centro un senso per tutto ciò che fa e lo può fare soltanto pregando il Padre.
Arrivati in disparte ecco che Gesù e i discepoli ritrovano la folla che li aveva preceduti ad attenderli, di fronte a tutto questo noi avremmo certamente reagito con irritazione perché ci veniva negato anche solo qualche istante di preghiera, o anche solo di tranquillità, di serenità; invece Gesù rivolge loro nuovamente uno sguardo di compassione perché li vede smarriti come pecore senza pastore. Eh, sì tocca a noi, in questo mondo privo di pastori dove prevalgono solo mercenari siamo chiamati a ricordare che esiste un senso pieno alla nostra vita e lo si può trovare soltanto nell’amare tutti gli altri, nostri fratelli, come il Signore ha amato noi! (Gv 15,12).
Commento 22 luglio 2018
La missione dei discepoli si conclude così come era cominciata nell’incontro con Gesù. È questo il senso dell’azione e della vita del discepolo, dove Dio è l’origine, il centro e l’obiettivo di ogni momento. Il discepolo ritorna per condividere, raccontare tutto quello che ha fatto ed insegnato, ma soprattutto ritorna per stare con il suo Signore.
La prima riflessione che mi pare di poter fare riguarda il fatto ciò che facciamo precede ciò che insegniamo; il discepolo non porta solo una bella notizia, un ideale, una astratta verità, il cristiano vuole incarnare, rendere concreto il progetto d’amore di Dio per ogni donna e uomo che vivono su questa terra. Nasce a questo punto spontanea la domanda : ma quali opere la comunità cristiana compie?
Domanda tremenda perché purtroppo pochi sono i frutti concreti del nostro annuncio, se ancora oggi, siamo travolti da immagini di disumanità: come può la nostra coscienza rimanere tranquilla, se migliaia di persone in questa estate continuano nella ricerca di una speranza di vita migliore a morire nelle acque dei nostri mari? Come possiamo godere di momenti di relax mentre chiudiamo insieme ai nostri porti anche i nostri cuori? Come possiamo rilassarci al sole se in diverse parti del nostro piccolo mondo si muore per la fame, per la guerra, per la violenza? Cosa racconteremo al nostro Dio al termine della nostra vita, cosa abbiamo fatto e cosa abbiamo insegnato se i nostri cuori sono ancora chiusi nell’egoismo? Allora forse è meglio ritornare da Gesù, cerchiamo attimi di intimità con il nostro Dio, solo Lui ci può insegnare come l’unica cosa che conta nella vita sia l’amore, la gioia, la pace nella condivisione dei beni materiali e spirituali di cui siamo in possesso.
Ecco il discepolo è colui che è capace di compassione, è capace di vivere accanto al prossimo condividendo i momenti belli e quelli più difficili; la compassione nel suo significato etimologico è quel sentimento che ci permette ci metterci nei panni dell’altro, di condividerne i pensieri, le paure, le preoccupazioni, le speranze ed i sogni (Cfr. Gaudium et Spes 1).
C’è tanta gente nel mondo che attende un segno, attende come tra le doglie del parto (Rm 8), che i cristiani sappiano costruire quel regno d’amore che Gesù è venuto ad inaugurare, ma che poi ha affidato alle nostre misere mani. Ecco la necessità di tornare a Gesù, di tornare tra le accoglienti braccia di Dio che è Madre e Padre!
Amici, se, al termine della nostra vita, non sapremo cosa raccontare a Gesù di quello che abbiamo fatto e detto, se non avremo il coraggio di posare il capo sul seno di Dio per riceverne amore, saremo come racconta il vangelo “come pecore che non hanno pastore”, avremo buttato via la nostra vita! Ciò che ci rimarrà sarà soltanto la compassione e la misericordia di Dio!
La prima riflessione che mi pare di poter fare riguarda il fatto ciò che facciamo precede ciò che insegniamo; il discepolo non porta solo una bella notizia, un ideale, una astratta verità, il cristiano vuole incarnare, rendere concreto il progetto d’amore di Dio per ogni donna e uomo che vivono su questa terra. Nasce a questo punto spontanea la domanda : ma quali opere la comunità cristiana compie?
Domanda tremenda perché purtroppo pochi sono i frutti concreti del nostro annuncio, se ancora oggi, siamo travolti da immagini di disumanità: come può la nostra coscienza rimanere tranquilla, se migliaia di persone in questa estate continuano nella ricerca di una speranza di vita migliore a morire nelle acque dei nostri mari? Come possiamo godere di momenti di relax mentre chiudiamo insieme ai nostri porti anche i nostri cuori? Come possiamo rilassarci al sole se in diverse parti del nostro piccolo mondo si muore per la fame, per la guerra, per la violenza? Cosa racconteremo al nostro Dio al termine della nostra vita, cosa abbiamo fatto e cosa abbiamo insegnato se i nostri cuori sono ancora chiusi nell’egoismo? Allora forse è meglio ritornare da Gesù, cerchiamo attimi di intimità con il nostro Dio, solo Lui ci può insegnare come l’unica cosa che conta nella vita sia l’amore, la gioia, la pace nella condivisione dei beni materiali e spirituali di cui siamo in possesso.
Ecco il discepolo è colui che è capace di compassione, è capace di vivere accanto al prossimo condividendo i momenti belli e quelli più difficili; la compassione nel suo significato etimologico è quel sentimento che ci permette ci metterci nei panni dell’altro, di condividerne i pensieri, le paure, le preoccupazioni, le speranze ed i sogni (Cfr. Gaudium et Spes 1).
C’è tanta gente nel mondo che attende un segno, attende come tra le doglie del parto (Rm 8), che i cristiani sappiano costruire quel regno d’amore che Gesù è venuto ad inaugurare, ma che poi ha affidato alle nostre misere mani. Ecco la necessità di tornare a Gesù, di tornare tra le accoglienti braccia di Dio che è Madre e Padre!
Amici, se, al termine della nostra vita, non sapremo cosa raccontare a Gesù di quello che abbiamo fatto e detto, se non avremo il coraggio di posare il capo sul seno di Dio per riceverne amore, saremo come racconta il vangelo “come pecore che non hanno pastore”, avremo buttato via la nostra vita! Ciò che ci rimarrà sarà soltanto la compassione e la misericordia di Dio!