IV Domenica di Pasqua Anno A
Vangelo Gv 10, 1-10
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Commento 30 aprile 2023
Devo ammettere una certa fatica che ho sempre avuto nell'accostarmi a questi testi del capitolo 10 del vangelo di Giovanni dove Gesù si presenta come il "buon pastore". Probabilmente sarà dovuto ad una immagine negativa che ho della pecora come quell'animale che, inserito nel gregge, è incapace di avere un proprio pensiero, una propria volontà e di fare scelte libere e a volte controcorrente. Credo quindi che per comprendere il vangelo di oggi è necessario entrare nella mentalità agreste e bucolica del tempo di Gesù quando le pecore rappresentavano non solo la ricchezza ma anche la vita stessa dei pastori fornendo loro latte di cui nutrirsi e lana con la quale vestirsi; insomma la pecora era per il pastore anche risposta ai suoi bisogni primari.
Così si comprende perché i pastori di quel tempo, dopo aver radunato e chiuso il gregge in un basso recinto fatto di pietre accatastate, si ponevano seduti nell'unica apertura con la schiena appoggiata ad uno stipite e le gambe rannicchiate chiudendo così il passaggio e diventando loro stessi la "porta", per impedire ai malintenzionati di avvicinarsi e così facendo mettevano a repentaglio la propria stessa vita a difesa del gregge.
Conoscendo tutto questo la fatica di sentirmi pecora si tramuta nella gioia di scoprire quale immenso valore abbia la nostra vita per Dio, mio pastore che nulla mi fa mancare e mi guida per il giusto cammino (salmo 22).
Il brano di oggi ci chiede anche di riflettere su quali siano i nostri recinti, di affinare le nostre orecchie perché si aprano all’ascolto nel discernimento dell’unica voce che davvero conta per evitare di seguire quella di tanti, troppi estranei, ladri e briganti che urlano nelle nostre vite.
La voce di Dio come una brezza leggera sussurra al nostro cuore il suo amore per noi, ci invita ad uscire, ci spinge verso percorsi di libertà; d'altronde le frasi più belle della nostra vita, ognuno ricorderà quei momenti, le abbiamo sussurrate, perché ciò che davvero è importante non è mai urlato, ma detto quasi in silenzio da cuore a cuore.
Gesù, come "buon pastore", conosce le sue pecore e le chiama per nome! È meraviglioso scoprire che il Signore ci ama in modo unico ed irripetibile, che non appartengo ad un gregge come pecora anonima: Gesù chiama me, vuole proprio me, vuole proprio ciascuno di noi, così come siamo, perché l’amore sa accogliere l’amato nei suoi pregi e nei suoi difetti, nelle sue opere buone e nei suoi errori, nei suoi slanci di entusiasmo e nelle sue incoerenze: perché nell'amore Dio non riesce a vedere in noi null'altro che i suoi figli prediletti, e perché l’amore è sempre pronto a ripartire verso nuovi orizzonti di libertà. Così il Signore ogni giorno ci chiama e ci invita ad uscire (qui Giovanni usa lo stesso verbo dell'esodo per cui letteralmente sarebbe "ci caccia fuori") dai nostri recinti.
Il primo recinto a cui il Signore si riferisce è chiaramente il recinto dell’istituzione religiosa che propone una immagine falsa di Dio, un Dio padrone e legislatore, buono con chi obbedisce ai suoi precetti e giudice severo e rigoroso con chi osa trasgredirli. È il recinto di una pratica religiosa che non è espressione di una fede autentica, una pratica fatta solo di tradizioni, perché “si è sempre fatto così”, ma senza che queste siano riempite di contenuti d’amore.
Altri recinti sono quelli costruiti dai nostri idoli, ovvero tutte quelle realtà che condizionano le nostre scelte di vita: il recinto di chi vive per il denaro, per la carriera, per il successo e ne rimane schiavo perché ci impedisce di aprire gli occhi di fronte all’amico, al povero, al bisognoso, a chi è in difficoltà.
Molti sono i recinti che rendono schiavo l’uomo, ma i più pericolosi sono quelli dei compromessi dove tutto è trattabile, verità e menzogna, luce e tenebra, dove il coraggio della testimonianza lascia spazio al calcolo dell’interesse personale; i recinti del “così fan tutti”, dei modelli culturali incarnati nei personaggi di successo; i recinti dei rimorsi e dei rimpianti che impediscono di gioire, di guardare avanti; i recinti del giudizio, dei rancori e della vendetta che negano la gioia del perdono dato e ricevuto.
Ecco il “bel Pastore” tira fuori il suo gregge da tutti questi recinti e lo conduce verso pascoli di libertà camminando davanti alle sue pecore; a quel modello siamo chiamati ad ispirarci, a quel modello devono guardare quanti nella vita sono chiamati ad educare e soprattutto ad educare nella fede: i sacerdoti, i catechisti, gli insegnanti, ma soprattutto noi genitori, perché l'educazione non è costruire altri recinti, ma mostrare orizzonti di libertà e strade di responsabilità che i nostri giovani saranno chiamati a loro volta a percorrere.
In conclusione Gesù si presenta come la porta delle pecore: chi passa attraverso Cristo entra finalmente nel mondo della libertà, negli spazi infiniti di chi può essere realmente uomo, uomo vero, bello, somigliante al Pastore, quello vero, quello bello!
Gesù è una “porta stretta” che chiede la rinuncia a sé stessi, l’amore disinteressato verso gli altri e persino il dono della vita per il nemico, ma è l’unica porta che introduce nel regno di Dio, in un mondo realmente umano, il mondo di chi ama e ama soltanto; tutte le altre proposte di vita sono tranelli che fanno precipitare in baratri di morte, perché mettono al primo posto l’io e non Dio, il denaro e non il Signore, l’interesse personale e non l’amore.
Se ci sentissimo ancora a disagio nell'essere piccole pecore di questo immenso gregge, ecco ancora quella tenera voce ci sussurra altre parole d'amore: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). È proprio così, la forza dell’annuncio del vangelo sta nella sua capacità di comunicare vita, di suscitare in ogni uomo e donna il desiderio di una vita più grande, una vita eterna fatta di gioia, felicità e amore, che meritano di non morire mai!
Così si comprende perché i pastori di quel tempo, dopo aver radunato e chiuso il gregge in un basso recinto fatto di pietre accatastate, si ponevano seduti nell'unica apertura con la schiena appoggiata ad uno stipite e le gambe rannicchiate chiudendo così il passaggio e diventando loro stessi la "porta", per impedire ai malintenzionati di avvicinarsi e così facendo mettevano a repentaglio la propria stessa vita a difesa del gregge.
Conoscendo tutto questo la fatica di sentirmi pecora si tramuta nella gioia di scoprire quale immenso valore abbia la nostra vita per Dio, mio pastore che nulla mi fa mancare e mi guida per il giusto cammino (salmo 22).
Il brano di oggi ci chiede anche di riflettere su quali siano i nostri recinti, di affinare le nostre orecchie perché si aprano all’ascolto nel discernimento dell’unica voce che davvero conta per evitare di seguire quella di tanti, troppi estranei, ladri e briganti che urlano nelle nostre vite.
La voce di Dio come una brezza leggera sussurra al nostro cuore il suo amore per noi, ci invita ad uscire, ci spinge verso percorsi di libertà; d'altronde le frasi più belle della nostra vita, ognuno ricorderà quei momenti, le abbiamo sussurrate, perché ciò che davvero è importante non è mai urlato, ma detto quasi in silenzio da cuore a cuore.
Gesù, come "buon pastore", conosce le sue pecore e le chiama per nome! È meraviglioso scoprire che il Signore ci ama in modo unico ed irripetibile, che non appartengo ad un gregge come pecora anonima: Gesù chiama me, vuole proprio me, vuole proprio ciascuno di noi, così come siamo, perché l’amore sa accogliere l’amato nei suoi pregi e nei suoi difetti, nelle sue opere buone e nei suoi errori, nei suoi slanci di entusiasmo e nelle sue incoerenze: perché nell'amore Dio non riesce a vedere in noi null'altro che i suoi figli prediletti, e perché l’amore è sempre pronto a ripartire verso nuovi orizzonti di libertà. Così il Signore ogni giorno ci chiama e ci invita ad uscire (qui Giovanni usa lo stesso verbo dell'esodo per cui letteralmente sarebbe "ci caccia fuori") dai nostri recinti.
Il primo recinto a cui il Signore si riferisce è chiaramente il recinto dell’istituzione religiosa che propone una immagine falsa di Dio, un Dio padrone e legislatore, buono con chi obbedisce ai suoi precetti e giudice severo e rigoroso con chi osa trasgredirli. È il recinto di una pratica religiosa che non è espressione di una fede autentica, una pratica fatta solo di tradizioni, perché “si è sempre fatto così”, ma senza che queste siano riempite di contenuti d’amore.
Altri recinti sono quelli costruiti dai nostri idoli, ovvero tutte quelle realtà che condizionano le nostre scelte di vita: il recinto di chi vive per il denaro, per la carriera, per il successo e ne rimane schiavo perché ci impedisce di aprire gli occhi di fronte all’amico, al povero, al bisognoso, a chi è in difficoltà.
Molti sono i recinti che rendono schiavo l’uomo, ma i più pericolosi sono quelli dei compromessi dove tutto è trattabile, verità e menzogna, luce e tenebra, dove il coraggio della testimonianza lascia spazio al calcolo dell’interesse personale; i recinti del “così fan tutti”, dei modelli culturali incarnati nei personaggi di successo; i recinti dei rimorsi e dei rimpianti che impediscono di gioire, di guardare avanti; i recinti del giudizio, dei rancori e della vendetta che negano la gioia del perdono dato e ricevuto.
Ecco il “bel Pastore” tira fuori il suo gregge da tutti questi recinti e lo conduce verso pascoli di libertà camminando davanti alle sue pecore; a quel modello siamo chiamati ad ispirarci, a quel modello devono guardare quanti nella vita sono chiamati ad educare e soprattutto ad educare nella fede: i sacerdoti, i catechisti, gli insegnanti, ma soprattutto noi genitori, perché l'educazione non è costruire altri recinti, ma mostrare orizzonti di libertà e strade di responsabilità che i nostri giovani saranno chiamati a loro volta a percorrere.
In conclusione Gesù si presenta come la porta delle pecore: chi passa attraverso Cristo entra finalmente nel mondo della libertà, negli spazi infiniti di chi può essere realmente uomo, uomo vero, bello, somigliante al Pastore, quello vero, quello bello!
Gesù è una “porta stretta” che chiede la rinuncia a sé stessi, l’amore disinteressato verso gli altri e persino il dono della vita per il nemico, ma è l’unica porta che introduce nel regno di Dio, in un mondo realmente umano, il mondo di chi ama e ama soltanto; tutte le altre proposte di vita sono tranelli che fanno precipitare in baratri di morte, perché mettono al primo posto l’io e non Dio, il denaro e non il Signore, l’interesse personale e non l’amore.
Se ci sentissimo ancora a disagio nell'essere piccole pecore di questo immenso gregge, ecco ancora quella tenera voce ci sussurra altre parole d'amore: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). È proprio così, la forza dell’annuncio del vangelo sta nella sua capacità di comunicare vita, di suscitare in ogni uomo e donna il desiderio di una vita più grande, una vita eterna fatta di gioia, felicità e amore, che meritano di non morire mai!
Commento 3 maggio 2020
I testi del vangelo secondo Giovanni sono sempre ricchissimi di elementi, a volte complicati da un linguaggio simbolico e piuttosto lontano dalla sensibilità moderna, a volte invece risultano essere piccole perle di una semplicità inaudita e la ricchezza di questa parola ci viene incontro oggi nel sussurrio di una voce che ci chiama per nome, mentre la pandemia ci trattiene chiusi nei recinti delle nostre case. Il vangelo di oggi ci chiede innanzitutto di riflettere su quali siano i nostri recinti, ci chiede di affinare le nostre orecchie perché si aprano all’ascolto dell’unica voce che ci invita ad uscire, ci spinge verso percorsi di libertà, ci invita al discernimento per evitare gli estranei, ladri e briganti che troppe volte alzano il tono per soffocare nel rumore l’unica cosa che conta, una brezza leggera che sussurra il suo amore per noi, perché le frasi più belle della nostra vita, ognuno ricorderà quei momenti, le abbiamo sussurrate: ciò che davvero conta nella vita non è mai urlato, ma detto quasi in silenzio da cuore a cuore.
Il Signore “chiama chi ama”, ci chiama per nome, perché Dio, buon pastore, conosce le sue pecore e le sue pecore hanno ciascuna un nome, ognuna è unica, irripetibile; Gesù vuole proprio me, vuole proprio ciascuno di noi, così come siamo, perché l’amore sa accogliere l’amato nei suoi pregi e nei suoi difetti, nelle sue opere buone e nei suoi errori, nei suoi slanci di entusiasmo e nelle sue incoerenze: l’amore è sempre pronto a ripartire verso nuovi orizzonti di libertà.
Le pecore ascoltano la sua voce e seguono il pastore perché riconoscono nella voce di Gesù la risposta al bisogno, a quel desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro: “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (S. Agostino “Le Confessioni, I,1,1”). Solo nelle sue parole, solo nella sua Parola possiamo riconoscere la sua presenza ed è una voce dolce, piena di amore, una voce che sa scaldare i nostri cuori raggelati dall’egoismo e dall’indifferenza. È la voce di chi ama come quando riconosci fra mille altre, la voce di chi ami e di chi ti ama! Dio ci ama gratis, senza nessun nostro merito; ci ama e ci chiama per nome perché se siamo gregge e suo popolo, il suo amore per noi rimane assolutamente personale, intimo, coinvolgente. La sua voce parla direttamente al cuore, salva, consola, scuote, dona nuova energia, perdona, inquieta e sconcerta, conduce alla verità tutta intera. La voce di Dio ci spinge ad uscire, “ci caccia fuori” dal recinto; è lo stesso verbo dell’esodo, quando Dio fece uscire il popolo oppresso e schiavo dall’Egitto per condurlo lungo un cammino di libertà.
Il primo recinto a cui il Signore si riferisce è chiaramente il recinto dell’istituzione religiosa che propone una immagine falsa di Dio, un Dio padrone e legislatore, buono con chi obbedisce ai suoi precetti e giudice severo e rigoroso con chi osa trasgredirli. È il recinto di una pratica religiosa che non è espressione di una fede autentica, una pratica fatta solo di tradizioni, perché “si è sempre fatto così”, ma senza che queste siano riempite di contenuti d’amore. Dio ama incondizionatamente e soltanto quando riesco ad accogliere questo amore posso veramente essere una persona libera di amare.
Ma ci sono altri recinti, i recinti degli idoli, quelle realtà che condizionano tutte le nostre scelte di vita: il recinto di chi vive per il denaro, per la carriera, per il successo. Costui rimane schiavo perché non realizza la sua piena vocazione di uomo e donna, figli di Dio, chiude gli occhi di fronte all’amico, al povero, al bisognoso, a chi è in difficoltà.
Ci sono i recinti del potere, dei vizi e della corruzione morale, delle ideologie che rendono schiavo l’uomo, ma i recinti più pericolosi sono quelli dei compromessi dove tutto è trattabile, verità e menzogna, luce e tenebra, dove il coraggio della testimonianza lascia spazio al calcolo dell’interesse personale; i recinti del “così fan tutti”, dei modelli culturali incarnati nei personaggi di successo; i recinti dei rimorsi e dei rimpianti che impediscono di gioire, di guardare avanti; i recinti dei rancori e della vendetta, di chi vuol far pagare l’errore commesso e continua a far sentire in colpa l’altro per provare la gioia di vederlo soffrire ricordandogli sempre il peccato commesso.
Ecco il “bel Pastore” tira fuori il suo gregge da tutti questi recinti e lo conduce verso pascoli di libertà camminando davanti alle sue pecore; a quel modello siamo chiamati ad ispirarci, a quel modello devono guardare quanti nella vita sono chiamati ad educare e soprattutto ad educare nella fede: i sacerdoti, i catechisti, gli insegnanti, ma soprattutto noi genitori. L’educazione non è costruire altri recinti, ma mostrare orizzonti di libertà e strade di responsabilità che i nostri giovani saranno chiamati a loro volta a percorrere.
In conclusione Gesù non si presenta come il pastore, ma come la porta delle pecore: chi passa attraverso Cristo entra finalmente nel mondo della libertà, negli spazi infiniti di chi può essere realmente uomo, uomo vero, bello, somigliante al Pastore, quello vero, quello bello!
Solo chi passa attraverso la porta che è Cristo ha accesso al regno di Dio; è una “porta stretta” che chiede la rinuncia a sé stessi, l’amore disinteressato verso gli altri e persino il dono della vita per il nemico, ma è l’unica porta che introduce nel mondo realmente umano, il mondo di chi ama e ama soltanto; tutte le altre proposte di vita sono tranelli che fanno precipitare in baratri di morte, perché mettono al primo posto l’io e non Dio, il denaro e non il Signore, l’interesse personale e non l’amore.
Questo è il Vangelo, la bella notizia: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); la forza dell’annuncio del vangelo sta nella sua capacità di comunicare vita, di suscitare in ogni uomo e donna il desiderio di una vita più grande, una vita eterna fatta di gioia, di felicità e di tutto ciò, come l’amore, che merita di non morire mai!
Il Signore “chiama chi ama”, ci chiama per nome, perché Dio, buon pastore, conosce le sue pecore e le sue pecore hanno ciascuna un nome, ognuna è unica, irripetibile; Gesù vuole proprio me, vuole proprio ciascuno di noi, così come siamo, perché l’amore sa accogliere l’amato nei suoi pregi e nei suoi difetti, nelle sue opere buone e nei suoi errori, nei suoi slanci di entusiasmo e nelle sue incoerenze: l’amore è sempre pronto a ripartire verso nuovi orizzonti di libertà.
Le pecore ascoltano la sua voce e seguono il pastore perché riconoscono nella voce di Gesù la risposta al bisogno, a quel desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro: “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (S. Agostino “Le Confessioni, I,1,1”). Solo nelle sue parole, solo nella sua Parola possiamo riconoscere la sua presenza ed è una voce dolce, piena di amore, una voce che sa scaldare i nostri cuori raggelati dall’egoismo e dall’indifferenza. È la voce di chi ama come quando riconosci fra mille altre, la voce di chi ami e di chi ti ama! Dio ci ama gratis, senza nessun nostro merito; ci ama e ci chiama per nome perché se siamo gregge e suo popolo, il suo amore per noi rimane assolutamente personale, intimo, coinvolgente. La sua voce parla direttamente al cuore, salva, consola, scuote, dona nuova energia, perdona, inquieta e sconcerta, conduce alla verità tutta intera. La voce di Dio ci spinge ad uscire, “ci caccia fuori” dal recinto; è lo stesso verbo dell’esodo, quando Dio fece uscire il popolo oppresso e schiavo dall’Egitto per condurlo lungo un cammino di libertà.
Il primo recinto a cui il Signore si riferisce è chiaramente il recinto dell’istituzione religiosa che propone una immagine falsa di Dio, un Dio padrone e legislatore, buono con chi obbedisce ai suoi precetti e giudice severo e rigoroso con chi osa trasgredirli. È il recinto di una pratica religiosa che non è espressione di una fede autentica, una pratica fatta solo di tradizioni, perché “si è sempre fatto così”, ma senza che queste siano riempite di contenuti d’amore. Dio ama incondizionatamente e soltanto quando riesco ad accogliere questo amore posso veramente essere una persona libera di amare.
Ma ci sono altri recinti, i recinti degli idoli, quelle realtà che condizionano tutte le nostre scelte di vita: il recinto di chi vive per il denaro, per la carriera, per il successo. Costui rimane schiavo perché non realizza la sua piena vocazione di uomo e donna, figli di Dio, chiude gli occhi di fronte all’amico, al povero, al bisognoso, a chi è in difficoltà.
Ci sono i recinti del potere, dei vizi e della corruzione morale, delle ideologie che rendono schiavo l’uomo, ma i recinti più pericolosi sono quelli dei compromessi dove tutto è trattabile, verità e menzogna, luce e tenebra, dove il coraggio della testimonianza lascia spazio al calcolo dell’interesse personale; i recinti del “così fan tutti”, dei modelli culturali incarnati nei personaggi di successo; i recinti dei rimorsi e dei rimpianti che impediscono di gioire, di guardare avanti; i recinti dei rancori e della vendetta, di chi vuol far pagare l’errore commesso e continua a far sentire in colpa l’altro per provare la gioia di vederlo soffrire ricordandogli sempre il peccato commesso.
Ecco il “bel Pastore” tira fuori il suo gregge da tutti questi recinti e lo conduce verso pascoli di libertà camminando davanti alle sue pecore; a quel modello siamo chiamati ad ispirarci, a quel modello devono guardare quanti nella vita sono chiamati ad educare e soprattutto ad educare nella fede: i sacerdoti, i catechisti, gli insegnanti, ma soprattutto noi genitori. L’educazione non è costruire altri recinti, ma mostrare orizzonti di libertà e strade di responsabilità che i nostri giovani saranno chiamati a loro volta a percorrere.
In conclusione Gesù non si presenta come il pastore, ma come la porta delle pecore: chi passa attraverso Cristo entra finalmente nel mondo della libertà, negli spazi infiniti di chi può essere realmente uomo, uomo vero, bello, somigliante al Pastore, quello vero, quello bello!
Solo chi passa attraverso la porta che è Cristo ha accesso al regno di Dio; è una “porta stretta” che chiede la rinuncia a sé stessi, l’amore disinteressato verso gli altri e persino il dono della vita per il nemico, ma è l’unica porta che introduce nel mondo realmente umano, il mondo di chi ama e ama soltanto; tutte le altre proposte di vita sono tranelli che fanno precipitare in baratri di morte, perché mettono al primo posto l’io e non Dio, il denaro e non il Signore, l’interesse personale e non l’amore.
Questo è il Vangelo, la bella notizia: “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); la forza dell’annuncio del vangelo sta nella sua capacità di comunicare vita, di suscitare in ogni uomo e donna il desiderio di una vita più grande, una vita eterna fatta di gioia, di felicità e di tutto ciò, come l’amore, che merita di non morire mai!
Commento 7 maggio 2017
Per capire meglio il brano di vangelo di oggi occorre entrare nella mentalità agreste e bucolica del tempo di Gesù; in quel tempo le pecore venivano radunate durante la notte e chiuse in un basso recinto fatto di pietre accatastate. Il recinto, normalmente, sorgeva nei pressi del villaggio e a turno i pastori si alternavano per la veglia della notte: si ponevano nell'unica apertura del recinto e, seduti, si appoggiavano con la schiena ad uno stipite e con le gambe rannicchiate chiudevano il passaggio: diventavano loro stessi la "porta", impedendo così ai malintenzionati di avvicinarsi. Era un momento in cui il pastore metteva a repentaglio la propria vita a difesa del gregge.
Gesù è quel pastore che passa la notte a vegliare, diventando lui stesso la porta che tiene lontano i nemici, i briganti, i ladri; Egli conosce le sue pecore, le chiama ad una ad una, non ha davanti a sé un gregge anonimo e soprattutto le pecore riconoscono la sua voce. Solo nelle sue parole, solo nella sua Parola possiamo riconoscere la sua presenza ed è una voce dolce, piena di amore, una voce che sa scaldare i nostri cuori raggelati dall’egoismo e dall’indifferenza. È la voce di chi ama come quando riconosci fra mille altre la voce di chi ami e di chi ti ama e Dio ci ama! Ci ama gratis, senza nessun nostro merito; ci ama e ci chiama per nome perché se siamo gregge e suo popolo, il suo amore per noi rimane assolutamente personale, intimo, coinvolgente. Egli chiama le sue pecore e le sue pecore riconoscono la sua voce perché è una voce che parla direttamente al cuore, che salva, che riempie, che consola, che scuote, che dona energia, che perdona, che inquieta che sconcerta, che porta a verità e alla verità tutta intera. Allora non dobbiamo temere più nulla poiché nessun ladro e brigante riuscirà a strapparci dalle tenere mani amorevoli di Dio Padre.
Gioiamo, come pecore sempre pronte ad ascoltare la voce del nostro pastore; non più pecoroni, non più rassegnati, non più storditi dal mondo che propone cammini troppo semplicisti e troppo vuoti, ma ora amati e chiamati per nome, portati verso la salvezza e la libertà dall'Unico che davvero ci conosce! La nostra gioia sia piena perché possa essere di testimonianza indicando il Cristo a tutti coloro che ancora cercano la vita, quella vera, quella vissuta alla luce di Dio, amore infinito!
Gesù è quel pastore che passa la notte a vegliare, diventando lui stesso la porta che tiene lontano i nemici, i briganti, i ladri; Egli conosce le sue pecore, le chiama ad una ad una, non ha davanti a sé un gregge anonimo e soprattutto le pecore riconoscono la sua voce. Solo nelle sue parole, solo nella sua Parola possiamo riconoscere la sua presenza ed è una voce dolce, piena di amore, una voce che sa scaldare i nostri cuori raggelati dall’egoismo e dall’indifferenza. È la voce di chi ama come quando riconosci fra mille altre la voce di chi ami e di chi ti ama e Dio ci ama! Ci ama gratis, senza nessun nostro merito; ci ama e ci chiama per nome perché se siamo gregge e suo popolo, il suo amore per noi rimane assolutamente personale, intimo, coinvolgente. Egli chiama le sue pecore e le sue pecore riconoscono la sua voce perché è una voce che parla direttamente al cuore, che salva, che riempie, che consola, che scuote, che dona energia, che perdona, che inquieta che sconcerta, che porta a verità e alla verità tutta intera. Allora non dobbiamo temere più nulla poiché nessun ladro e brigante riuscirà a strapparci dalle tenere mani amorevoli di Dio Padre.
Gioiamo, come pecore sempre pronte ad ascoltare la voce del nostro pastore; non più pecoroni, non più rassegnati, non più storditi dal mondo che propone cammini troppo semplicisti e troppo vuoti, ma ora amati e chiamati per nome, portati verso la salvezza e la libertà dall'Unico che davvero ci conosce! La nostra gioia sia piena perché possa essere di testimonianza indicando il Cristo a tutti coloro che ancora cercano la vita, quella vera, quella vissuta alla luce di Dio, amore infinito!