XIX domenica T.O. Anno C
Vangelo Lc 12, 32-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Commento 7 agosto 2022
Chi accoglie la proposta di vita nuova di Gesù finisce troppe volte per sentirsi smarrito, fuori posto, estraneo anche alle stesse persone che gli vivono accanto, poiché il mondo che ci circonda sembra vivere e proporre valori diametralmente opposti al vangelo; a tutti costoro Gesù rivolge parole di consolazione: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”. Sì a coloro che credono che l’amore sia il senso pieno ed ultimo della vita, di quella vita che dura in eterno, è dato il Regno; di altro non vi è bisogno! Anche se ti ritroverai in un piccolo gruppo, anche se agli occhi del mondo la proposta del vangelo potrà essere considerata fallimentare, Gesù ci incoraggia perché questa è la strada giusta verso la piena realizzazione e felicità di ogni uomo e donna.
Ecco la proposta di vita nuova che Cristo ci fa: vendete, cioè mettete in gioco ciò che avete e rendetelo come giustizia. Ho già scritto in qualche occasione che la parola elemosina in ebraico non esiste, la parola ebraica, in realtà, sarebbe da tradurre con “giustizia” per cui il termine elemosina ci porta a diverse incomprensioni. Nel senso ebraico “fare elemosina” non indica l’aiuto calato dall’alto verso il povero, ma un rendergli giustizia perché quei beni, che sono il nostro superfluo, sono in realtà beni “rubati” al povero. Solo agendo con giustizia sarà possibile crearsi un nuovo e incorruttibile tesoro in cielo.
A questo punto Gesù racconta tre parabole per rendere concreta questa proposta nella vita, invitando i suoi discepoli ad essere pronti, attenti e fedeli.
Essere pronti perché la vita è attendere: l’attesa di una persona da amare, di un momento buio da superare, di un mondo migliore; la vita è attesa di Dio!
È l’atteggiamento di quei servi che stanno svegli “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, un atteggiamento non dettato né da dovere né da paura, ma dall’amore, dall’attesa di Qualcuno che è desiderato, come fa l'amata nel Cantico dei Cantici “dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5,2).
Il Signore renderà beati, felici quei servi perché “li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. È meraviglioso, è il capovolgimento di ogni nostra idea di Dio; è il vangelo, la buona notizia che sconvolge il mio piccolo e troppe volte arido cuore: il Signore viene e si mette a servizio della mia felicità per la mia pienezza di vita! È l’immagine incredibile e per molti scandalosa, che solo Gesù ci ha rivelato, di un Dio che si fa servo, che si cinge di un asciugamano per lavare i nostri piedi nel compito riservato solo agli schiavi e alle donne.
Essere attenti per non perdere l’occasione: attraverso l’immagine del ladro che viene quando non immaginiamo, siamo invitati a tenerci pronti per non farci scassinare la casa. Se molti intravvedono quest’ora nella morte, io credo non sia così; al contrario l’incontro con il Signore che viene ritengo possa avvenire ed avvenga quotidianamente. Il difficile sta nel riconoscere Il Signore in quel fratello più piccolo, in quella sorella che si trova in qualche tipo di difficoltà: nel povero, nell’escluso, nell’immigrato, nello zingaro, nell’anziano abbandonato, nel giovane che si lascia distogliere da una via d’amore per seguire il suo egoismo, in coloro che vivono momenti di fatica e a volte di disperazione, in ogni donna e uomo che incontro sono invitato a riconoscere Gesù che chiede di essere amato, compreso, servito! Allora il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore anche se non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi il suo Signore verrà!
Essere fedeli: questo terzo invito sembra rivolto a coloro che, fratelli nella fede, hanno scelto di servire il Signore guidando la comunità, i sacerdoti, coloro che tra i servi, poiché fidati e prudenti, sono stati messi a capo della comunità “per dare la razione di cibo a tempo debito”. Se è vero che soprattutto ai nostri fratelli preti è affidato il compito di alimentare la fede delle comunità loro affidate con il Pane e la Parola di vita, credo sia riduttivo riservare questa parabola esclusivamente a loro, poiché deve essere di monito per tutti quanti: catechisti, educatori, operatori della carità, coloro che appartengono a comunità di ascolto e condivisione della Parola, per ricordarci che non siamo padroni, ma servi.
Ogni qual volta dimentichiamo di essere amministratori per diventare padroni corrotti delle cose di Dio saremo “puniti severamente” (in realtà la traduzione sarebbe “tagliati fuori”), cioè non rientreremo più in quella logica d’amore e di servizio che deve essere lo stile di vita del discepolo di Cristo.
Il discepolo, che conosce la volontà di Dio, sarà chiamato a vivere già oggi in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
È un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? È troppo grande e quindi impossibile? Forse sì, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).
Ecco la proposta di vita nuova che Cristo ci fa: vendete, cioè mettete in gioco ciò che avete e rendetelo come giustizia. Ho già scritto in qualche occasione che la parola elemosina in ebraico non esiste, la parola ebraica, in realtà, sarebbe da tradurre con “giustizia” per cui il termine elemosina ci porta a diverse incomprensioni. Nel senso ebraico “fare elemosina” non indica l’aiuto calato dall’alto verso il povero, ma un rendergli giustizia perché quei beni, che sono il nostro superfluo, sono in realtà beni “rubati” al povero. Solo agendo con giustizia sarà possibile crearsi un nuovo e incorruttibile tesoro in cielo.
A questo punto Gesù racconta tre parabole per rendere concreta questa proposta nella vita, invitando i suoi discepoli ad essere pronti, attenti e fedeli.
Essere pronti perché la vita è attendere: l’attesa di una persona da amare, di un momento buio da superare, di un mondo migliore; la vita è attesa di Dio!
È l’atteggiamento di quei servi che stanno svegli “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, un atteggiamento non dettato né da dovere né da paura, ma dall’amore, dall’attesa di Qualcuno che è desiderato, come fa l'amata nel Cantico dei Cantici “dormo, ma il mio cuore veglia” (Ct 5,2).
Il Signore renderà beati, felici quei servi perché “li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. È meraviglioso, è il capovolgimento di ogni nostra idea di Dio; è il vangelo, la buona notizia che sconvolge il mio piccolo e troppe volte arido cuore: il Signore viene e si mette a servizio della mia felicità per la mia pienezza di vita! È l’immagine incredibile e per molti scandalosa, che solo Gesù ci ha rivelato, di un Dio che si fa servo, che si cinge di un asciugamano per lavare i nostri piedi nel compito riservato solo agli schiavi e alle donne.
Essere attenti per non perdere l’occasione: attraverso l’immagine del ladro che viene quando non immaginiamo, siamo invitati a tenerci pronti per non farci scassinare la casa. Se molti intravvedono quest’ora nella morte, io credo non sia così; al contrario l’incontro con il Signore che viene ritengo possa avvenire ed avvenga quotidianamente. Il difficile sta nel riconoscere Il Signore in quel fratello più piccolo, in quella sorella che si trova in qualche tipo di difficoltà: nel povero, nell’escluso, nell’immigrato, nello zingaro, nell’anziano abbandonato, nel giovane che si lascia distogliere da una via d’amore per seguire il suo egoismo, in coloro che vivono momenti di fatica e a volte di disperazione, in ogni donna e uomo che incontro sono invitato a riconoscere Gesù che chiede di essere amato, compreso, servito! Allora il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore anche se non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi il suo Signore verrà!
Essere fedeli: questo terzo invito sembra rivolto a coloro che, fratelli nella fede, hanno scelto di servire il Signore guidando la comunità, i sacerdoti, coloro che tra i servi, poiché fidati e prudenti, sono stati messi a capo della comunità “per dare la razione di cibo a tempo debito”. Se è vero che soprattutto ai nostri fratelli preti è affidato il compito di alimentare la fede delle comunità loro affidate con il Pane e la Parola di vita, credo sia riduttivo riservare questa parabola esclusivamente a loro, poiché deve essere di monito per tutti quanti: catechisti, educatori, operatori della carità, coloro che appartengono a comunità di ascolto e condivisione della Parola, per ricordarci che non siamo padroni, ma servi.
Ogni qual volta dimentichiamo di essere amministratori per diventare padroni corrotti delle cose di Dio saremo “puniti severamente” (in realtà la traduzione sarebbe “tagliati fuori”), cioè non rientreremo più in quella logica d’amore e di servizio che deve essere lo stile di vita del discepolo di Cristo.
Il discepolo, che conosce la volontà di Dio, sarà chiamato a vivere già oggi in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
È un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? È troppo grande e quindi impossibile? Forse sì, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).
Commento 11 agosto 2019
Finalmente con una settimana di ritardo giunge al discepolo, che aveva richiesto di essere giudice nella divisione dell’eredità con il fratello, la risposta di Gesù: non temere avrai dal Padre l’eredità che avrai saputo costruirti nella vita, ovvero il Regno di Dio. Non è un’eredità che ci ritroviamo, ma che dobbiamo costruirci mettendo in gioco il dono che Dio ci fa.
Ecco la proposta di vita nuova che Cristo ci fa: vendete, mettete in gioco ciò che avete e rendetelo come giustizia. Ho già scritto in qualche occasione che la parola elemosina in ebraico non esiste e che con questo termine che ci porta a diverse incomprensioni in realtà si traduce quella parola ebraica che significa giustizia. Fare elemosina deve diventare non il calare dall’alto un aiuto verso il povero, ma un rendergli giustizia perché quei beni che sono il nostro superfluo sono in realtà beni “rubati” al povero.
Si coglie così il significato dell’incipit di Gesù “non temere, piccolo gregge!”; anche se ti ritroverai in un piccolo gruppo, anche se agli occhi del mondo questa proposta sarà considerata fallimentare, questa è la strada verso la tua piena realizzazione e felicità.
Chiusa la discussione con la proposta di crearsi un nuovo e incorruttibile tesoro in cielo, Gesù propone tre parabole per rendere concreta questa proposta nella vita della comunità dei discepoli.
Nella prima ci chiede di vivere come servi, nella comunità nessuno è padrone, ma tutti devono vivere in uno spirito di servizio, sempre “pronti con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” per servire i fratelli e le sorelle che hanno bisogno. Normalmente il vestito si cingeva solo quando ci si metteva al lavoro o ci si preparava per un cammino, la lampada veniva accesa alla sera; no, il cristiano deve sempre avere i fianchi cinti e tenere la lampada accesa per mettersi subito a disposizione di chi è nel bisogno; infatti il padrone tornerà e subito potremo aprigli le porte del nostro cuore. La beatitudine finale è quanto di più bello si possa leggere nella Parola di Dio: se saremo pronti ad aprire le porte del nostro cuore a Dio che viene, Egli il padrone, il Signore si cingerà le sue vesti e si metterà a servirci; insomma se sarò pronto ad accogliere Dio nella mia vita io non sarò più il servo di Dio, ma Lui sarà al mio servizio! Il nostro Dio non è un padrone, ma è il Signore che serve per amore!
Nella seconda parabola si parla di questo ritorno del Signore e qui Gesù usa un’immagine del ladro, un’immagine molto lontana dal nostro intendere Dio. Attenzione molti intravvedono quest’ora nella morte, ma io credo non sia così, al contrario ritengo che tale incontro possa avvenire ed avvenga quotidianamente; il difficile sta nel riconoscere Il Signore in quel fratello più piccolo, in quella sorella che si trova in qualche tipo di difficoltà. Nel povero, nell’escluso, nell’immigrato, nello zingaro, nell’anziano abbandonato, nel giovane che si lascia distogliere da una via d’amore per seguire il suo egoismo, in coloro che vivono momenti di fatica e a volte di disperazione, in ogni donna e uomo che incontro devo riconoscere Gesù che chiede di essere amato, compreso, servito! Allora il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore anche se non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi dovrà incontrare.
La terza parabola sembra rivolta a coloro che fratelli nella fede hanno scelto di servire il Signore servendo la comunità dei discepoli, intendo dire i sacerdoti, si parla, infatti di coloro che tra i servi, poiché fidati e prudenti, sono stati messi a capo della comunità “per dare la razione di cibo a tempo debito”. Intanto mi piace ricordare ai nostri fratelli preti che hanno come compito quello di alimentare la fede delle comunità loro affidate con il Pane e la Parola di vita; in secondo luogo, e questo vale per tutti quanti dai catechisti, agli educatori, agli operatori della carità, a coloro che appartengono a comunità di ascolto e condivisione della Parola, ricordo che non siamo padroni, ma servi. Tutti coloro che si comporteranno in questo modo saranno “puniti severamente” (in realtà la traduzione sarebbe “saranno tagliati fuori”) nel senso che non rientrano più in quella logica d’amore e di servizio che deve essere lo stile di vita del discepolo di Cristo; pertanto ogni qual volta dimentichiamo di essere amministratori per diventare padroni corrotti delle cose di Dio usciamo dal progetto d’amore di Dio.
Il cristiano, che conosce la volontà di Dio, sarà chiamato a vivere già oggi in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
Forse è un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? Forse è troppo grande e quindi impossibile? Forse, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).
Ecco la proposta di vita nuova che Cristo ci fa: vendete, mettete in gioco ciò che avete e rendetelo come giustizia. Ho già scritto in qualche occasione che la parola elemosina in ebraico non esiste e che con questo termine che ci porta a diverse incomprensioni in realtà si traduce quella parola ebraica che significa giustizia. Fare elemosina deve diventare non il calare dall’alto un aiuto verso il povero, ma un rendergli giustizia perché quei beni che sono il nostro superfluo sono in realtà beni “rubati” al povero.
Si coglie così il significato dell’incipit di Gesù “non temere, piccolo gregge!”; anche se ti ritroverai in un piccolo gruppo, anche se agli occhi del mondo questa proposta sarà considerata fallimentare, questa è la strada verso la tua piena realizzazione e felicità.
Chiusa la discussione con la proposta di crearsi un nuovo e incorruttibile tesoro in cielo, Gesù propone tre parabole per rendere concreta questa proposta nella vita della comunità dei discepoli.
Nella prima ci chiede di vivere come servi, nella comunità nessuno è padrone, ma tutti devono vivere in uno spirito di servizio, sempre “pronti con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” per servire i fratelli e le sorelle che hanno bisogno. Normalmente il vestito si cingeva solo quando ci si metteva al lavoro o ci si preparava per un cammino, la lampada veniva accesa alla sera; no, il cristiano deve sempre avere i fianchi cinti e tenere la lampada accesa per mettersi subito a disposizione di chi è nel bisogno; infatti il padrone tornerà e subito potremo aprigli le porte del nostro cuore. La beatitudine finale è quanto di più bello si possa leggere nella Parola di Dio: se saremo pronti ad aprire le porte del nostro cuore a Dio che viene, Egli il padrone, il Signore si cingerà le sue vesti e si metterà a servirci; insomma se sarò pronto ad accogliere Dio nella mia vita io non sarò più il servo di Dio, ma Lui sarà al mio servizio! Il nostro Dio non è un padrone, ma è il Signore che serve per amore!
Nella seconda parabola si parla di questo ritorno del Signore e qui Gesù usa un’immagine del ladro, un’immagine molto lontana dal nostro intendere Dio. Attenzione molti intravvedono quest’ora nella morte, ma io credo non sia così, al contrario ritengo che tale incontro possa avvenire ed avvenga quotidianamente; il difficile sta nel riconoscere Il Signore in quel fratello più piccolo, in quella sorella che si trova in qualche tipo di difficoltà. Nel povero, nell’escluso, nell’immigrato, nello zingaro, nell’anziano abbandonato, nel giovane che si lascia distogliere da una via d’amore per seguire il suo egoismo, in coloro che vivono momenti di fatica e a volte di disperazione, in ogni donna e uomo che incontro devo riconoscere Gesù che chiede di essere amato, compreso, servito! Allora il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore anche se non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi dovrà incontrare.
La terza parabola sembra rivolta a coloro che fratelli nella fede hanno scelto di servire il Signore servendo la comunità dei discepoli, intendo dire i sacerdoti, si parla, infatti di coloro che tra i servi, poiché fidati e prudenti, sono stati messi a capo della comunità “per dare la razione di cibo a tempo debito”. Intanto mi piace ricordare ai nostri fratelli preti che hanno come compito quello di alimentare la fede delle comunità loro affidate con il Pane e la Parola di vita; in secondo luogo, e questo vale per tutti quanti dai catechisti, agli educatori, agli operatori della carità, a coloro che appartengono a comunità di ascolto e condivisione della Parola, ricordo che non siamo padroni, ma servi. Tutti coloro che si comporteranno in questo modo saranno “puniti severamente” (in realtà la traduzione sarebbe “saranno tagliati fuori”) nel senso che non rientrano più in quella logica d’amore e di servizio che deve essere lo stile di vita del discepolo di Cristo; pertanto ogni qual volta dimentichiamo di essere amministratori per diventare padroni corrotti delle cose di Dio usciamo dal progetto d’amore di Dio.
Il cristiano, che conosce la volontà di Dio, sarà chiamato a vivere già oggi in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
Forse è un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? Forse è troppo grande e quindi impossibile? Forse, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).
Commento 7 agosto 2016
La Parola di oggi ci interpella con forza su diverse questioni; provo ad elencarne qualcuna:
Il cristiano è colui che ha un tesoro in cielo: già la settimana scorsa interpellato su una questione di eredità, Gesù richiamava i suoi discepoli a vivere secondo l’essere e non secondo l’avere e a guardare all’essenziale.
Il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore di cui non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi dovrà incontrare. Attenzione molti intravvedono quest’ora nella morte, ma io credo al contrario che tale incontro avviene quotidianamente nel momento in cui lo riconosciamo o siamo chiamati a riconoscerlo in quel fratello più piccolo che si trova in qualche tipo di difficoltà. Il nostro rapporto con Dio non deve in alcun modo addormentare la nostra coscienza; è l’atteggiamento esatto contrario della “religione oppio dei popoli di marxiana memoria. Se il cristianesimo diventa oppio dei popoli è perché il cristiano perde la sua essenziale identità.
Il cristiano è un amministratore fidato delle “cose di Dio” e non un “padrone corrotto” delle stesse pronto ad ottenere vantaggi dalla sua posizione particolare: Gesù aveva di fronte a sé una religione corrotta da coloro che legavano fardelli ai più piccoli imponendo regole per impedire loro di incontrare Dio. Quante volte noi “persone di chiesa” abbiano impedito con la nostra controtestimonianza a persone lontane di cogliere l’annuncio del vangelo? Mi risuona ancora molte volte nel cuore la voce di Gandhi era solito ricordare il suo apprezzamento per il cristianesimo e si domandava come mai i cristiani vivessero incoerentemente questo messaggio. Se è vero che salvare anche una sola anima ci garantisca il regno di Dio, cosa sarà di noi per aver scandalizzato le anime di tanti che si allontanano da Cristo a seguito del nostro modo di vivere?
Il cristiano conosce la volontà di Dio, per questo sarà chiamato con maggiore responsabilità a vivere già oggi, in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
Forse è un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? Forse è troppo grande e quindi impossibile? Forse, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).
Il cristiano è colui che ha un tesoro in cielo: già la settimana scorsa interpellato su una questione di eredità, Gesù richiamava i suoi discepoli a vivere secondo l’essere e non secondo l’avere e a guardare all’essenziale.
Il cristiano è colui che vive sveglio e pronto per cogliere i segni dei tempi, per poter incontrare il suo Signore di cui non conosce l’ora dell’arrivo, ma sa che prima o poi dovrà incontrare. Attenzione molti intravvedono quest’ora nella morte, ma io credo al contrario che tale incontro avviene quotidianamente nel momento in cui lo riconosciamo o siamo chiamati a riconoscerlo in quel fratello più piccolo che si trova in qualche tipo di difficoltà. Il nostro rapporto con Dio non deve in alcun modo addormentare la nostra coscienza; è l’atteggiamento esatto contrario della “religione oppio dei popoli di marxiana memoria. Se il cristianesimo diventa oppio dei popoli è perché il cristiano perde la sua essenziale identità.
Il cristiano è un amministratore fidato delle “cose di Dio” e non un “padrone corrotto” delle stesse pronto ad ottenere vantaggi dalla sua posizione particolare: Gesù aveva di fronte a sé una religione corrotta da coloro che legavano fardelli ai più piccoli imponendo regole per impedire loro di incontrare Dio. Quante volte noi “persone di chiesa” abbiano impedito con la nostra controtestimonianza a persone lontane di cogliere l’annuncio del vangelo? Mi risuona ancora molte volte nel cuore la voce di Gandhi era solito ricordare il suo apprezzamento per il cristianesimo e si domandava come mai i cristiani vivessero incoerentemente questo messaggio. Se è vero che salvare anche una sola anima ci garantisca il regno di Dio, cosa sarà di noi per aver scandalizzato le anime di tanti che si allontanano da Cristo a seguito del nostro modo di vivere?
Il cristiano conosce la volontà di Dio, per questo sarà chiamato con maggiore responsabilità a vivere già oggi, in questo mondo l’annuncio che l’immensa tenerezza del Padre abbraccia tutti i suoi figli, se non lo farà ne subirà le conseguenze poiché non vivrà appieno quella fraternità che Dio ha voluto per tutti i suoi figli. Se saremo capaci di condividere i doni di Dio che abbiamo ricevuto, sapremo anche costruire intorno a noi quel regno di Dio, quella società d’amore, che rappresenta dall’eternità il sogno di Dio per l’uomo, per ogni uomo e donna. Vivere nell’amore sarà già oggi vivere alla presenza del Padre, ovvero essere in paradiso!
Forse è un sogno troppo bello e quindi solo un sogno? Troppo difficile tutto questo? Forse è troppo grande e quindi impossibile? Forse, ma “non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32).