XXVIII domenica T.O. Anno C
Vangelo Lc 17, 11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Commento 9 ottobre 2022
Prima di accostarsi al brano di oggi mi sembra importante ricordare come nel vangelo i racconti dei miracoli non siano mai solo cronaca ma vadano oltre: lo scopo del miracolo non era soltanto la guarigione, la liberazione da qualche pericolo o la soluzione ad un problema piccolo o grande che fosse, ma attraverso l’incontro con il dono di Dio sviluppare in noi quella fede che, sola, ci dona la salvezza. Così i miracoli diventano parabole, “segni” diremmo con Giovanni, che vogliono insegnare che cosa accade all’uomo, che si riconosce malato, segnato dal peccato quando incontra Cristo. In secondo luogo credo di poter definire blasfemo nel cristianesimo considerare la malattia come una conseguenza del peccato dell’uomo, poiché essa è solo un segno del limite dell’uomo come creatura e, al contrario, nella proposta cristiana può diventare, e nella mia vita così è stato, strumento di incontro con Dio.
Diversi dettagli ci aiutano nel comprendere il brano nel suo significato anche simbolico: innanzitutto Gesù entra in un villaggio, di cui non è indicato il nome, e lì incontra un gruppo di lebbrosi. Impossibile! Tutto questo contrasta con il comportamento comune: infatti, nel momento del sospetto della malattia, il lebbroso era automaticamente escluso, allontanato dal villaggio non solo per evitare eventuali contagi, ma soprattutto perché chi era colpito da questa malattia era considerato maledetto, impuro, non più capace di mantenere rapporti sociali ed impedito nell’avere qualsiasi rapporto con Dio.
Ancora il numero dieci nel mondo ebraico indica la totalità; dieci uomini nella religione ebraica costituiscono il minian, la comunità minima perché sia possibile celebrare la liturgia; insomma Luca sta affermando che a presentarsi a Gesù è l’intera comunità religiosa non più capace di avere un rapporto corretto con il suo Dio.
Infine Luca, che probabilmente aveva di fronte a sé le zone rurali dell’impero romano che rimanevano legate alla tradizionale religione pagana, quando parla di villaggio vuole indicare il mondo vecchio chiuso nelle sue tradizioni, che rifiuta tutte le novità ed in particolare la novità del vangelo di Gesù.
Con queste premesse possiamo allora rileggere il testo non solo nella sua, pur scarsa, storicità, ma anche nel suo valore simbolico: in questo mondo vecchio come i lebbrosi siamo chiamati ad un primo passo, una presa di coscienza della nostra realtà.
Come i lebbrosi non si rassegnano alla loro condizione e davanti a Cristo presentano la loro situazione, non chiedendo la guarigione, ma che prenda atto della loro miseria, così anche noi possiamo accostarci a Gesù per purificarci dalla nostra lebbra, da tutto ciò che ci allontana da un rapporto di amore filiale verso un dio che ci ama da morire, da tutto ciò che rende il nostro cuore indifferente alle sorelle e ai fratelli in difficoltà.
Quando all’inizio della celebrazione eucaristica, come questi dieci lebbrosi, chiediamo a Dio che abbia pietà di noi, ricordiamoci che questo non è mai l’atteggiamento di chi supplica la salvezza di fronte ad un carnefice, ma di chi si affida docilmente nelle mani di un Padre/Madre che lo scruta e lo conosce perfettamente (salmo139).
Il secondo passo, che con i lebbrosi siamo chiamati a fare, è avere fiducia nella sua Parola: Gesù non fa nulla, non compie nessun gesto particolare, chiede solamente ai lebbrosi di presentarsi ai sacerdoti come imponeva la Legge; erano solo i sacerdoti, infatti, che potevano certificare la loro avvenuta guarigione per farli rientrare nella società. I lebbrosi, ancor prima di essere guariti, si mettono in cammino lasciandosi guidare da questa Parola ed ecco mentre sono in viaggio, mentre si allontanano dal villaggio, dal mondo antico, i dieci sono purificati.
Ora mentre nove proseguono il loro cammino verso la liberazione dall’esclusione e dall’emarginazione, uno di loro, un Samaritano, uno straniero, il nemico, colui che era escluso dal popolo di Dio poiché infedele, ritorna indietro da Gesù per ringraziare “lodando Dio a gran voce”.
“Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”: che delusione per Gesù! Non è la delusione di chi non viene riconosciuto autore di qualcosa di meraviglioso, a me sembra più simile alla delusione di una mamma che vede il figlio buttare alle ortiche la sua vita, una mamma che avrebbe preferito per il figlio altre scelte che gli avrebbero garantito una maggior felicità! È proprio vero che, come mi condivideva un fratello di comunità, l’amore che Dio spande generosamente sulla nostra povera umanità è uguale per tutti, ma diverso è il riconoscimento di questo amore: ora se saprò corrispondere a quell’amore infinito non solo sarò guarito, ma soprattutto sarò salvato. Tutti sono stati guariti, ma solo uno è tornato indietro, tutti sono andati al tempio, ma solo uno ha riconosciuto il Tempio, quello vero, ed è tornato per dare gloria a Dio! Tutti sono stati guariti, ma uno solo ha trovato la salvezza!
In conclusione una triste constatazione: quante volte il nostro essere legati alle ritualità ci allontana da Dio! Se il rito non è espressione di un sentimento, di una fede diventa sovrastruttura che ci impedisce l’incontro sincero con Dio. Dio non vuole liturgie perfette e buoni cristiani che vivano secondo le norme della Chiesa con digiuni e rosari, pratiche sante, ma vuole “adoratori in spirito e verità”. Quell’unico lebbroso, il samaritano, torna da Gesù per ringraziare, in greco per fare “eucaristia”, così anche per noi celebrare la messa, sia incontrare Colui che dà senso alla mia vita. L’eucaristia deve essere innanzitutto un incontro d’amore con Colui che per primo mi ama e dona sé stesso per la mia salvezza, così da poter entrare in Chiesa con tutta la comunità dei discepoli di Cristo per rendere gloria a Dio, per celebrare le sue meraviglie, per ascoltare la sua Parola che mi indica il cammino e per entrare in comunione con Lui.
Diversi dettagli ci aiutano nel comprendere il brano nel suo significato anche simbolico: innanzitutto Gesù entra in un villaggio, di cui non è indicato il nome, e lì incontra un gruppo di lebbrosi. Impossibile! Tutto questo contrasta con il comportamento comune: infatti, nel momento del sospetto della malattia, il lebbroso era automaticamente escluso, allontanato dal villaggio non solo per evitare eventuali contagi, ma soprattutto perché chi era colpito da questa malattia era considerato maledetto, impuro, non più capace di mantenere rapporti sociali ed impedito nell’avere qualsiasi rapporto con Dio.
Ancora il numero dieci nel mondo ebraico indica la totalità; dieci uomini nella religione ebraica costituiscono il minian, la comunità minima perché sia possibile celebrare la liturgia; insomma Luca sta affermando che a presentarsi a Gesù è l’intera comunità religiosa non più capace di avere un rapporto corretto con il suo Dio.
Infine Luca, che probabilmente aveva di fronte a sé le zone rurali dell’impero romano che rimanevano legate alla tradizionale religione pagana, quando parla di villaggio vuole indicare il mondo vecchio chiuso nelle sue tradizioni, che rifiuta tutte le novità ed in particolare la novità del vangelo di Gesù.
Con queste premesse possiamo allora rileggere il testo non solo nella sua, pur scarsa, storicità, ma anche nel suo valore simbolico: in questo mondo vecchio come i lebbrosi siamo chiamati ad un primo passo, una presa di coscienza della nostra realtà.
Come i lebbrosi non si rassegnano alla loro condizione e davanti a Cristo presentano la loro situazione, non chiedendo la guarigione, ma che prenda atto della loro miseria, così anche noi possiamo accostarci a Gesù per purificarci dalla nostra lebbra, da tutto ciò che ci allontana da un rapporto di amore filiale verso un dio che ci ama da morire, da tutto ciò che rende il nostro cuore indifferente alle sorelle e ai fratelli in difficoltà.
Quando all’inizio della celebrazione eucaristica, come questi dieci lebbrosi, chiediamo a Dio che abbia pietà di noi, ricordiamoci che questo non è mai l’atteggiamento di chi supplica la salvezza di fronte ad un carnefice, ma di chi si affida docilmente nelle mani di un Padre/Madre che lo scruta e lo conosce perfettamente (salmo139).
Il secondo passo, che con i lebbrosi siamo chiamati a fare, è avere fiducia nella sua Parola: Gesù non fa nulla, non compie nessun gesto particolare, chiede solamente ai lebbrosi di presentarsi ai sacerdoti come imponeva la Legge; erano solo i sacerdoti, infatti, che potevano certificare la loro avvenuta guarigione per farli rientrare nella società. I lebbrosi, ancor prima di essere guariti, si mettono in cammino lasciandosi guidare da questa Parola ed ecco mentre sono in viaggio, mentre si allontanano dal villaggio, dal mondo antico, i dieci sono purificati.
Ora mentre nove proseguono il loro cammino verso la liberazione dall’esclusione e dall’emarginazione, uno di loro, un Samaritano, uno straniero, il nemico, colui che era escluso dal popolo di Dio poiché infedele, ritorna indietro da Gesù per ringraziare “lodando Dio a gran voce”.
“Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”: che delusione per Gesù! Non è la delusione di chi non viene riconosciuto autore di qualcosa di meraviglioso, a me sembra più simile alla delusione di una mamma che vede il figlio buttare alle ortiche la sua vita, una mamma che avrebbe preferito per il figlio altre scelte che gli avrebbero garantito una maggior felicità! È proprio vero che, come mi condivideva un fratello di comunità, l’amore che Dio spande generosamente sulla nostra povera umanità è uguale per tutti, ma diverso è il riconoscimento di questo amore: ora se saprò corrispondere a quell’amore infinito non solo sarò guarito, ma soprattutto sarò salvato. Tutti sono stati guariti, ma solo uno è tornato indietro, tutti sono andati al tempio, ma solo uno ha riconosciuto il Tempio, quello vero, ed è tornato per dare gloria a Dio! Tutti sono stati guariti, ma uno solo ha trovato la salvezza!
In conclusione una triste constatazione: quante volte il nostro essere legati alle ritualità ci allontana da Dio! Se il rito non è espressione di un sentimento, di una fede diventa sovrastruttura che ci impedisce l’incontro sincero con Dio. Dio non vuole liturgie perfette e buoni cristiani che vivano secondo le norme della Chiesa con digiuni e rosari, pratiche sante, ma vuole “adoratori in spirito e verità”. Quell’unico lebbroso, il samaritano, torna da Gesù per ringraziare, in greco per fare “eucaristia”, così anche per noi celebrare la messa, sia incontrare Colui che dà senso alla mia vita. L’eucaristia deve essere innanzitutto un incontro d’amore con Colui che per primo mi ama e dona sé stesso per la mia salvezza, così da poter entrare in Chiesa con tutta la comunità dei discepoli di Cristo per rendere gloria a Dio, per celebrare le sue meraviglie, per ascoltare la sua Parola che mi indica il cammino e per entrare in comunione con Lui.
Commento 13 ottobre 2019
Il testo di oggi, che racconta della guarigione di un gruppo di lebbrosi, merita attenzione; infatti se è vero che Gesù ha operato numerose guarigioni, il racconto evangelico non è mai solo cronaca ma va oltre, intende portarci ad incontrare Gesù per far sviluppare in noi quella fede che, sola, ci dona la salvezza. Afferma lo stesso Gesù “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5,31-32); insomma tali racconti diventano parabole che vogliono insegnare che cosa accade all’uomo, che si riconosce malato, segnato dal peccato quando incontra Cristo. Ma non si deve cadere nell’errore di considerare la malattia come una conseguenza del peccato dell’uomo, essa è solo un segno della creaturalità dell’uomo e, al contrario, può diventare strumento di incontro con Dio.
Diversi dettagli ci aiutano nel comprendere il brano nel suo significato anche simbolico: Gesù entra in un villaggio, di cui non è indicato il nome, e lì incontra un gruppo di lebbrosi; tutto questo è impossibile! Nel momento del sospetto della malattia, il lebbroso era automaticamente escluso, allontanato dal villaggio non solo per evitare eventuali contagi, ma soprattutto perché chi era colpito da questa malattia era considerato maledetto, impuro, non più capace di mantenere rapporti sociali ed anche era impedito nell’avere qualsiasi rapporto con Dio; il numero dieci nel mondo ebraico indica la totalità; dieci uomini nella religione ebraica costituiscono il minian, la comunità minima perché sia possibile celebrare la liturgia. Infine il villaggio senza nome in Luca sta ad indicare quel mondo vecchio, chiuso nelle sue tradizioni, che rifiuta tutte le novità ed in particolare la novità del vangelo di Gesù.
Con queste premesse possiamo allora rileggere il brano non solo nella sua, pur scarsa, storicità, ma anche nel suo valore simbolico: in questo mondo vecchio come i lebbrosi siamo chiamati ad un primo passo, una presa di coscienza della nostra realtà. Come i lebbrosi non si rassegnano alla loro condizione e davanti a Cristo presentano la loro condizione, non chiedendo la guarigione, ma che prenda atto della loro miseria, così anche noi accostiamoci a Gesù. Quando all’inizio della celebrazione eucaristica chiediamo pietà a Dio, ricordiamoci che questo non è mai l’atteggiamento di chi supplica la salvezza di fronte ad un carnefice, ma di chi si affida docilmente nelle mani di un Padre/Madre che lo conosce e che lo salva.
Il secondo passo è l’ascolto della Parola: Gesù non fa nulla, chiede ai lebbrosi di presentarsi ai sacerdoti come imponeva la Legge; erano solo i sacerdoti, infatti, che potevano certificare la loro avvenuta guarigione per farli rientrare nella società. I lebbrosi si fidano ancor prima di essere guariti, si mettono in cammino lasciandosi guidare da questa Parola ed ecco mentre sono in viaggio e si allontanano dal villaggio, il mondo antico, i dieci sono purificati. Ma mentre nove proseguono il loro cammino verso la liberazione dall’esclusione e dall’emarginazione, uno di loro, un Samaritano, uno straniero, il nemico, colui che era escluso dal popolo di Dio poiché infedele, ritorna indietro da Gesù per ringraziare “lodando Dio a gran voce”.
La delusione prende il cuore di Gesù: tutti sono stati guariti, ma solo uno è tornato indietro, tutti sono andati al tempio, ma solo uno ha riconosciuto ed è tornato al Tempio, quello vero per dare gloria a Dio! Tutti sono stati guariti, ma uno solo ha trovato la salvezza!
Troppe volte il nostro essere legati alle ritualità ci allontana da Dio: se il rito non è espressione di un sentimento, di una fede diventa sovrastruttura che ci impedisce l’incontro sincero con Dio. Dio non vuole perfette liturgie e buoni cristiani che vivano secondo le norme della Chiesa con digiuni e rosari, che restano pratiche sante, ma vuole “adoratori in spirito e verità”. Quando vado a messa, ci vado per incontrare Colui che dà senso alla mia vita e deve essere un incontro d’amore: entro in Chiesa con tutta la comunità dei discepoli di Cristo per rendere gloria a Dio, per celebrare le sue meraviglie, per ascoltare la sua Parola che mi indica il cammino e per entrare in comunione con Lui.
Diversi dettagli ci aiutano nel comprendere il brano nel suo significato anche simbolico: Gesù entra in un villaggio, di cui non è indicato il nome, e lì incontra un gruppo di lebbrosi; tutto questo è impossibile! Nel momento del sospetto della malattia, il lebbroso era automaticamente escluso, allontanato dal villaggio non solo per evitare eventuali contagi, ma soprattutto perché chi era colpito da questa malattia era considerato maledetto, impuro, non più capace di mantenere rapporti sociali ed anche era impedito nell’avere qualsiasi rapporto con Dio; il numero dieci nel mondo ebraico indica la totalità; dieci uomini nella religione ebraica costituiscono il minian, la comunità minima perché sia possibile celebrare la liturgia. Infine il villaggio senza nome in Luca sta ad indicare quel mondo vecchio, chiuso nelle sue tradizioni, che rifiuta tutte le novità ed in particolare la novità del vangelo di Gesù.
Con queste premesse possiamo allora rileggere il brano non solo nella sua, pur scarsa, storicità, ma anche nel suo valore simbolico: in questo mondo vecchio come i lebbrosi siamo chiamati ad un primo passo, una presa di coscienza della nostra realtà. Come i lebbrosi non si rassegnano alla loro condizione e davanti a Cristo presentano la loro condizione, non chiedendo la guarigione, ma che prenda atto della loro miseria, così anche noi accostiamoci a Gesù. Quando all’inizio della celebrazione eucaristica chiediamo pietà a Dio, ricordiamoci che questo non è mai l’atteggiamento di chi supplica la salvezza di fronte ad un carnefice, ma di chi si affida docilmente nelle mani di un Padre/Madre che lo conosce e che lo salva.
Il secondo passo è l’ascolto della Parola: Gesù non fa nulla, chiede ai lebbrosi di presentarsi ai sacerdoti come imponeva la Legge; erano solo i sacerdoti, infatti, che potevano certificare la loro avvenuta guarigione per farli rientrare nella società. I lebbrosi si fidano ancor prima di essere guariti, si mettono in cammino lasciandosi guidare da questa Parola ed ecco mentre sono in viaggio e si allontanano dal villaggio, il mondo antico, i dieci sono purificati. Ma mentre nove proseguono il loro cammino verso la liberazione dall’esclusione e dall’emarginazione, uno di loro, un Samaritano, uno straniero, il nemico, colui che era escluso dal popolo di Dio poiché infedele, ritorna indietro da Gesù per ringraziare “lodando Dio a gran voce”.
La delusione prende il cuore di Gesù: tutti sono stati guariti, ma solo uno è tornato indietro, tutti sono andati al tempio, ma solo uno ha riconosciuto ed è tornato al Tempio, quello vero per dare gloria a Dio! Tutti sono stati guariti, ma uno solo ha trovato la salvezza!
Troppe volte il nostro essere legati alle ritualità ci allontana da Dio: se il rito non è espressione di un sentimento, di una fede diventa sovrastruttura che ci impedisce l’incontro sincero con Dio. Dio non vuole perfette liturgie e buoni cristiani che vivano secondo le norme della Chiesa con digiuni e rosari, che restano pratiche sante, ma vuole “adoratori in spirito e verità”. Quando vado a messa, ci vado per incontrare Colui che dà senso alla mia vita e deve essere un incontro d’amore: entro in Chiesa con tutta la comunità dei discepoli di Cristo per rendere gloria a Dio, per celebrare le sue meraviglie, per ascoltare la sua Parola che mi indica il cammino e per entrare in comunione con Lui.
Commento 9 ottobre 2016
La Samaria era all’epoca di Gesù terra di infedeli: l’invasione del 723 a.C. da parte degli Assiri con il conseguente mischiarsi del popolo ebraico con gli invasori avevano provocato diversi dissapori tra gli abitanti della Samaria, ritenuti ormai impuri e i Giudei; inoltre il rifiuto di adeguarsi al culto ufficiale del tempio di Gerusalemme, preferendo il tempio sul monte Garizim, e il ritenere sacri nella Bibbia soltanto i libri del Pentateuco (Torah) aveva creato quella scissione a livello religioso che il termine “samaritano” in bocca a un giudeo suonava come potrebbe oggi essere pronunciato il termine “immigrato” sulla bocca di un euroscettico razzista. Scusate la premessa, ma è importante per capire i sentimenti che erano in gioco.
In cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversa la Samaria ed entrato in un villaggio incontra queste dieci persone affette dalla lebbra e tutte ugualmente invocano pietà; mentre, secondo quanto era stato detto loro vanno a presentarsi dai sacerdoti si accorgono di essere guariti. Mentre nove proseguono il cammino verso la liberazione dall’esclusione e dall’emarginazione (i sacerdoti erano coloro che dovevano sancire la guarigione e quindi il reintegro della persona nella società), uno di loro (Luca aggiunge sarcasticamente che era Samaritano) ritorna indietro da Gesù per ringraziare “lodando Dio a Gran voce”.
Attenzione cari amici, troppe volte la nostra religiosità, il nostro essere legati alle ritualità ci può allontanare da Dio: se il rito non è espressione di un sentimento che proviamo dentro diventa sovrastruttura che ci impedisce l’incontro sincero con Dio. Quando vado a messa, ci vado per incontrare Colui che dà senso alla mia vita e deve essere un incontro d’amore: entro in Chiesa con la comunità dei fratelli che celebrano le meraviglie dello stesso Signore per ascoltare la sua Parola e per entrare in comunione con Lui. Se ci vado solo per i bei canti, o perché così posso mostrarmi agli altri o anche solo per dovere, sarebbe stato meglio per me restare a letto a dormire o passare un po’ di tempo con amici e famiglia; pertanto o l’Eucaristia è un incontro d’amore in cui io celebro e ringrazio Dio per le meraviglie che compie nella mia vita o la messa non ha alcun senso.
Concludendo Dio non vuole perfette liturgie e buoni cristiani che vivevano secondo le norme della Chiesa con digiuni e rosari, che restano pratiche sante, ma vuole “adoratori in spirito e verità”, vuole incontrare ciascuno di noi in un rapporto personale d’amore, poiché Dio non vuole solo la mia preghiera vuole soprattutto il mio amore, così come Lui che dalla croce donando sé stesso oggi continuamente ci abbraccia.