II DOMENICA DOPO NATALE
LETTURE: Sir 24,1-4.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
Vangelo Gv 1,1-18
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,pieno di grazia e di verità. ] Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
a grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,pieno di grazia e di verità. ] Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
a grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Commento 2 gennaio 2022
“Parole, parole, parole, soltanto parole, parole tra noi”, così cantava Mina ormai 50 anni fa: la parola è il mezzo con cui noi comunichiamo con gli altri, quando la rivolgiamo a qualcuno vuol dire che vogliamo entrare in comunicazione con lui, le parole quelle vere, non quelle che sono soltanto chiacchere esprimono un legame profondo. Nel frastuono della nostra epoca, nel nostro rumoroso parlarci addosso però sentiamo tante, troppe “altre” parole nella nostra vita, parole che vogliono guidare la nostra esistenza, che non riempiono solo i nostri orecchi, ma opprimono il cuore, vi sono parole di verità oppure a volte di menzogna, parole che possono costruire amore o generare odio, parole che possono essere luce o tenebra, fonte di vita o causa di morte.
Tra le tante parole urlate che circondano le nostre giornate vi è una sola Parola capace di dissetare il cuore inquieto di ogni donna e di ogni uomo, una Parola appena sussurrata come solo quelle tra gli innamorati sanno essere, una Parola d’amore che Dio ci rivolge da sempre e per sempre.
Nella pienezza dei tempi quella “Parola si fece carne”! (Gv 1,14): Giovanni non ci racconta nulla della nascita di Gesù, niente viaggio a Betlemme, nessuna capanna o mangiatoia, nessun angelo ad annunciare quella straordinaria nascita, nessun pastore che accorre per vedere quel bambino, nessun sapiente orientale a scrutare i cieli per cogliere il segno di eventi straordinari, nessun dono particolare al bambino che è nato, niente di tutto questo; ci offre, invece, una sintesi teologica sul Natale, sul mistero incredibile e meraviglioso di un Dio che si incarna perché Giovanni afferma che quel bambino è la Parola (dabar in ebraico, logos in greco) di Dio. Gesù è la Parola di Dio per l’uomo, è il “racconto della tenerezza del Padre” (Evangelii Gaudium); proprio quel bambino è la Parola che ci viene rivolta, quel bambino lì fragile e debole, che piange se non riceve i baci e le carezze di una mamma, se non è avvolto nel caldo e forte abbraccio di un papà, quello è il nostro Dio che si è fatto uno di noi! In Gesù, Figlio di Dio, la nostra esistenza precaria, destinata alla morte è stata coinvolta in un rapporto d’amore con il Dio immortale, un rapporto indissolubile perché nessuna nostra infedeltà e nessun nostro tradimento potrà mai incrinare questo amore.
Il Natale non è lo scambio dei regali, le poesie dei bambini al cenone, i sorrisi forzati ai parenti, lo scambio di auguri e neppure la corsa all’ultimo tampone per fare tutto questo in sicurezza; nel Natale celebriamo il mistero dell’incarnazione di Dio che si è fatto uno di noi, dell’Eterno che si fa mortale, dell’Invisibile che si mostra, dell’Onnipotente che si rende bisognoso, dell’Infinito che si fa piccolo. Quanto è difficile comprendere come sia stata colmata questa distanza infinita se non come scelta dettata dall’amore; solo l’amore rende comprensibile e credibile un Dio che si fa uno di noi, che sceglie di essere servo obbediente fino alla morte in croce (Fil 2,7-8), donando tutta la sua vita per la nostra salvezza. A questo punto se il nostro cuore non fosse ancora scoppiato per la gioia vuol dire che non abbiamo capito nulla del Natale e di questo tempo ci rimarrà solo qualche chilo in più.
Dio nessuno lo ha mai visto, ma noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, Lui ce lo ha rivelato: il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano, a volte silente ed inaccessibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, un Dio che grazie a Gesù io posso invocare con il dolce nome di Abbà (papà). Noi quel Dio lo conosciamo, lo abbiamo visto e possiamo vivere come ha vissuto Lui!
Dio non entra nella storia in gloria e potenza, ma come “uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3) che si accende nella notte e che comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé; ora se non è difficile credere che esista un Dio all’origine di tutto, annunciare questo Dio presente nel nostro mondo come uno di noi, può e deve sconvolgerci.
L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne, così Dio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; eppure a tutti coloro che lo hanno accolto “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Non solo la possibilità o l’opportunità, ma ci è stato dato il potere, perché se lo vogliamo, possiamo finalmente essere ciò che da sempre già siamo, figli amati di Dio!
Per questo essere discepoli di Cristo non è aderire ad una dottrina, ma accogliere una Parola, che non solo ci rivela il vero volto di Dio, ma che soprattutto è Parola nuova e definitiva sull’uomo, poiché, come professiamo nel Credo, Gesù è “vero Dio e vero uomo”, non dimentichiamolo mai! In Lui, io posso vedere la piena realizzazione della mia umanità, con Lui sono chiamato a spendermi per l’unica cosa che conta in questo mondo, l’amore, per Lui mi farò servo di tutti fino a donare tutto.
Parole, parole, parole, soltanto la Parola, la Parola è tra noi!
Tra le tante parole urlate che circondano le nostre giornate vi è una sola Parola capace di dissetare il cuore inquieto di ogni donna e di ogni uomo, una Parola appena sussurrata come solo quelle tra gli innamorati sanno essere, una Parola d’amore che Dio ci rivolge da sempre e per sempre.
Nella pienezza dei tempi quella “Parola si fece carne”! (Gv 1,14): Giovanni non ci racconta nulla della nascita di Gesù, niente viaggio a Betlemme, nessuna capanna o mangiatoia, nessun angelo ad annunciare quella straordinaria nascita, nessun pastore che accorre per vedere quel bambino, nessun sapiente orientale a scrutare i cieli per cogliere il segno di eventi straordinari, nessun dono particolare al bambino che è nato, niente di tutto questo; ci offre, invece, una sintesi teologica sul Natale, sul mistero incredibile e meraviglioso di un Dio che si incarna perché Giovanni afferma che quel bambino è la Parola (dabar in ebraico, logos in greco) di Dio. Gesù è la Parola di Dio per l’uomo, è il “racconto della tenerezza del Padre” (Evangelii Gaudium); proprio quel bambino è la Parola che ci viene rivolta, quel bambino lì fragile e debole, che piange se non riceve i baci e le carezze di una mamma, se non è avvolto nel caldo e forte abbraccio di un papà, quello è il nostro Dio che si è fatto uno di noi! In Gesù, Figlio di Dio, la nostra esistenza precaria, destinata alla morte è stata coinvolta in un rapporto d’amore con il Dio immortale, un rapporto indissolubile perché nessuna nostra infedeltà e nessun nostro tradimento potrà mai incrinare questo amore.
Il Natale non è lo scambio dei regali, le poesie dei bambini al cenone, i sorrisi forzati ai parenti, lo scambio di auguri e neppure la corsa all’ultimo tampone per fare tutto questo in sicurezza; nel Natale celebriamo il mistero dell’incarnazione di Dio che si è fatto uno di noi, dell’Eterno che si fa mortale, dell’Invisibile che si mostra, dell’Onnipotente che si rende bisognoso, dell’Infinito che si fa piccolo. Quanto è difficile comprendere come sia stata colmata questa distanza infinita se non come scelta dettata dall’amore; solo l’amore rende comprensibile e credibile un Dio che si fa uno di noi, che sceglie di essere servo obbediente fino alla morte in croce (Fil 2,7-8), donando tutta la sua vita per la nostra salvezza. A questo punto se il nostro cuore non fosse ancora scoppiato per la gioia vuol dire che non abbiamo capito nulla del Natale e di questo tempo ci rimarrà solo qualche chilo in più.
Dio nessuno lo ha mai visto, ma noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, Lui ce lo ha rivelato: il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano, a volte silente ed inaccessibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, un Dio che grazie a Gesù io posso invocare con il dolce nome di Abbà (papà). Noi quel Dio lo conosciamo, lo abbiamo visto e possiamo vivere come ha vissuto Lui!
Dio non entra nella storia in gloria e potenza, ma come “uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42,3) che si accende nella notte e che comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé; ora se non è difficile credere che esista un Dio all’origine di tutto, annunciare questo Dio presente nel nostro mondo come uno di noi, può e deve sconvolgerci.
L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne, così Dio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; eppure a tutti coloro che lo hanno accolto “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Non solo la possibilità o l’opportunità, ma ci è stato dato il potere, perché se lo vogliamo, possiamo finalmente essere ciò che da sempre già siamo, figli amati di Dio!
Per questo essere discepoli di Cristo non è aderire ad una dottrina, ma accogliere una Parola, che non solo ci rivela il vero volto di Dio, ma che soprattutto è Parola nuova e definitiva sull’uomo, poiché, come professiamo nel Credo, Gesù è “vero Dio e vero uomo”, non dimentichiamolo mai! In Lui, io posso vedere la piena realizzazione della mia umanità, con Lui sono chiamato a spendermi per l’unica cosa che conta in questo mondo, l’amore, per Lui mi farò servo di tutti fino a donare tutto.
Parole, parole, parole, soltanto la Parola, la Parola è tra noi!
Commento 3 gennaio 2021
Giunti quasi alla conclusione di questo strano tempo di Natale, anche Giovanni come la pandemia non vuole concedere nulla al clima sdolcinato che avvolgeva e tornerà forse ad avvolgere questi giorni per richiamare tutti al vero senso del Natale. Il Natale non è lo scambio dei regali, le poesie dei bambini al cenone, i sorrisi forzati ai parenti, lo scambio di auguri, Natale è celebrare un Dio che per amore si fa piccolo, debole, bisognoso dell’affetto e della protezione dell'uomo.
Giovanni non ci racconta nulla della nascita di Gesù, niente viaggio a Betlemme, nessuna capanna o mangiatoia, nessun angelo ad annunciare quella straordinaria nascita, nessun pastore che accorre per vedere quel bambino, nessun sapiente orientale a scrutare i cieli per cogliere il segno di eventi straordinari, nessun dono particolare al bambino che è nato, niente di tutto questo. Giovanni, dopo aver scritto il suo vangelo, scrive questo meraviglioso inno per esprimere chi fosse quell’uomo di cui aveva fatto esperienza, che aveva visto, che aveva toccato (1Gv 1). Pone questo inno all’inizio della sua opera come prologo, come introduzione per annunciare l’incredibile notizia di un Dio Amore che si fa piccolo e viene a mettere la sua tenda fra di noi, di un Dio Luce vera che viene a squarciare le tenebre che avvolgono le nostre vite, di un Dio Eterno che si fa carne nella debolezza. Sono parole alte, straordinarie, forse non facili da comprendere, come lo sono tutte le parole che parlano d’amore; sono parole che vogliono descrivere l’infinito amore di un Dio che vuole entrare nella storia dell’uomo facendosi uno di noi; sono parole simili ad un volo d'aquila, parole che ci impediscono pensieri piccoli e meschini, che ci spingono a scoprire le vette dell’amore di Dio, un volo in cui lasciarci coinvolgere.
Il Prologo è un testo teologico in cui ci viene presentato un messaggio incredibile ed inaudito: in Gesù, Figlio di Dio, la nostra esistenza debole, fragile e destinata alla morte è stata coinvolta in un rapporto d’amore con il Dio immortale, un rapporto indissolubile perché nessuna nostra infedeltà e nessun nostro tradimento potrà mai incrinare questo amore.
Gesù è il Logos, il Verbo, la Parola di Dio per l’uomo, è il “racconto della tenerezza del Padre” (Evangelii Gaudium); proprio quel bambino è la Parola che ci viene rivolta, quel bambino lì fragile e debole, che piange se non riceve i baci e le carezze di una mamma, se non è avvolto nel caldo e forte abbraccio di un papà, quello è il nostro Dio che si è fatto uno di noi: ecco la rivoluzione della tenerezza di cui ci parla imperterrito papa Francesco. A questo punto se il nostro cuore non fosse ancora scoppiato per la gioia vuol dire che non abbiamo capito nulla del Natale e di questo tempo ci rimarrà solo qualche chilo in più. Gesù non solo è la Parola che racconta Dio all’uomo, che fa l’esegesi (Gv 1,18) del volto misericordioso di Dio, ma è anche e soprattutto per ciascuno di noi la Parola capace di rivelare l’uomo vero, pienamente realizzato che trova nell’amore donato fino alla fine il senso profondo di ogni esistenza.
Eppure questa Parola, questa luce venuta per illuminare le nostre tenebre non è stata accolta nonostante ogni uomo ed ogni donna nel suo cuore attende proprio quella luce: non c’è polemica nelle parole di Giovanni verso coloro che non accolgono il Signore che viene, piuttosto io ci vedo l’avvertimento a discernere tra le tante parole la Parola. Nella nostra vita siamo pieni di parole che vogliono guidare la nostra esistenza, ma occorre stare molto attenti perché le parole degli uomini possono essere luce o tenebra, verità o menzogna, possono costruire amore o generare odio, essere fonte d vita o causa di morte. Ora sappiamo che tra le tante parole che sentiamo, la Parola che è luce autentica, che rivela pienamente Dio e l’uomo è quel bambino lì, solo in quel bambino c’è la luce che non inganna, che guida all’amore e alla vita.
A coloro che accolgono questa Parola “ha dato il potere di diventare figli di Dio”: qui non si tratta di aderire ad una dottrina, ma di accogliere questa persona e la sua proposta del volto di Dio e la sua proposta di uomo realizzato.
Ci è stato dato il potere, non solo la possibilità o l’opportunità di diventare figli, ma un potere: se lo voglio, posso finalmente essere ciò che da sempre sono, un figlio amato di Dio!
La Parola si è fatta carne: qui si usa un modo di dire ebraico dove carne sta ad indicare l’uomo in tutta la sua debolezza, la sua fragilità; la Parola non prende apparenza umana, non indossa la nostra carne come se fosse un vestito, diviene carne. Ogni fragilità, ogni debolezza e limite, anche l’essere mortale che è parte della nostra umanità è assunta dal Figlio di Dio ed in questo possiamo vedere la gloria di Dio, in questa debolezza possiamo scoprire l’onnipotenza dell’amore di Dio. Nel Natale celebriamo il mistero dell’incarnazione di Dio che si è fatto uno di noi, dell’Eterno che si fa mortale, dell’Invisibile che si mostra, dell’Onnipotente che si rende fragile e bisognoso del nostro amore, dell’Infinito che si fa piccolo, ma quanto è difficile comprendere come sia stata colmata questa distanza infinita.
È impossibile se non come scelta dettata dall’amore; solo l’infinito amore di Dio rende comprensibile e credibile un Dio che si fa uno di noi, che sceglie di essere servo obbediente fino alla morte in croce (Fil 2,7-8), donando tutta la sua vita per la nostra salvezza. Noi quel Dio lo conosciamo, lo abbiamo visto e possiamo vivere come ha vissuto Lui!
Giovanni non ci racconta nulla della nascita di Gesù, niente viaggio a Betlemme, nessuna capanna o mangiatoia, nessun angelo ad annunciare quella straordinaria nascita, nessun pastore che accorre per vedere quel bambino, nessun sapiente orientale a scrutare i cieli per cogliere il segno di eventi straordinari, nessun dono particolare al bambino che è nato, niente di tutto questo. Giovanni, dopo aver scritto il suo vangelo, scrive questo meraviglioso inno per esprimere chi fosse quell’uomo di cui aveva fatto esperienza, che aveva visto, che aveva toccato (1Gv 1). Pone questo inno all’inizio della sua opera come prologo, come introduzione per annunciare l’incredibile notizia di un Dio Amore che si fa piccolo e viene a mettere la sua tenda fra di noi, di un Dio Luce vera che viene a squarciare le tenebre che avvolgono le nostre vite, di un Dio Eterno che si fa carne nella debolezza. Sono parole alte, straordinarie, forse non facili da comprendere, come lo sono tutte le parole che parlano d’amore; sono parole che vogliono descrivere l’infinito amore di un Dio che vuole entrare nella storia dell’uomo facendosi uno di noi; sono parole simili ad un volo d'aquila, parole che ci impediscono pensieri piccoli e meschini, che ci spingono a scoprire le vette dell’amore di Dio, un volo in cui lasciarci coinvolgere.
Il Prologo è un testo teologico in cui ci viene presentato un messaggio incredibile ed inaudito: in Gesù, Figlio di Dio, la nostra esistenza debole, fragile e destinata alla morte è stata coinvolta in un rapporto d’amore con il Dio immortale, un rapporto indissolubile perché nessuna nostra infedeltà e nessun nostro tradimento potrà mai incrinare questo amore.
Gesù è il Logos, il Verbo, la Parola di Dio per l’uomo, è il “racconto della tenerezza del Padre” (Evangelii Gaudium); proprio quel bambino è la Parola che ci viene rivolta, quel bambino lì fragile e debole, che piange se non riceve i baci e le carezze di una mamma, se non è avvolto nel caldo e forte abbraccio di un papà, quello è il nostro Dio che si è fatto uno di noi: ecco la rivoluzione della tenerezza di cui ci parla imperterrito papa Francesco. A questo punto se il nostro cuore non fosse ancora scoppiato per la gioia vuol dire che non abbiamo capito nulla del Natale e di questo tempo ci rimarrà solo qualche chilo in più. Gesù non solo è la Parola che racconta Dio all’uomo, che fa l’esegesi (Gv 1,18) del volto misericordioso di Dio, ma è anche e soprattutto per ciascuno di noi la Parola capace di rivelare l’uomo vero, pienamente realizzato che trova nell’amore donato fino alla fine il senso profondo di ogni esistenza.
Eppure questa Parola, questa luce venuta per illuminare le nostre tenebre non è stata accolta nonostante ogni uomo ed ogni donna nel suo cuore attende proprio quella luce: non c’è polemica nelle parole di Giovanni verso coloro che non accolgono il Signore che viene, piuttosto io ci vedo l’avvertimento a discernere tra le tante parole la Parola. Nella nostra vita siamo pieni di parole che vogliono guidare la nostra esistenza, ma occorre stare molto attenti perché le parole degli uomini possono essere luce o tenebra, verità o menzogna, possono costruire amore o generare odio, essere fonte d vita o causa di morte. Ora sappiamo che tra le tante parole che sentiamo, la Parola che è luce autentica, che rivela pienamente Dio e l’uomo è quel bambino lì, solo in quel bambino c’è la luce che non inganna, che guida all’amore e alla vita.
A coloro che accolgono questa Parola “ha dato il potere di diventare figli di Dio”: qui non si tratta di aderire ad una dottrina, ma di accogliere questa persona e la sua proposta del volto di Dio e la sua proposta di uomo realizzato.
Ci è stato dato il potere, non solo la possibilità o l’opportunità di diventare figli, ma un potere: se lo voglio, posso finalmente essere ciò che da sempre sono, un figlio amato di Dio!
La Parola si è fatta carne: qui si usa un modo di dire ebraico dove carne sta ad indicare l’uomo in tutta la sua debolezza, la sua fragilità; la Parola non prende apparenza umana, non indossa la nostra carne come se fosse un vestito, diviene carne. Ogni fragilità, ogni debolezza e limite, anche l’essere mortale che è parte della nostra umanità è assunta dal Figlio di Dio ed in questo possiamo vedere la gloria di Dio, in questa debolezza possiamo scoprire l’onnipotenza dell’amore di Dio. Nel Natale celebriamo il mistero dell’incarnazione di Dio che si è fatto uno di noi, dell’Eterno che si fa mortale, dell’Invisibile che si mostra, dell’Onnipotente che si rende fragile e bisognoso del nostro amore, dell’Infinito che si fa piccolo, ma quanto è difficile comprendere come sia stata colmata questa distanza infinita.
È impossibile se non come scelta dettata dall’amore; solo l’infinito amore di Dio rende comprensibile e credibile un Dio che si fa uno di noi, che sceglie di essere servo obbediente fino alla morte in croce (Fil 2,7-8), donando tutta la sua vita per la nostra salvezza. Noi quel Dio lo conosciamo, lo abbiamo visto e possiamo vivere come ha vissuto Lui!
Commento 5 gennaio 2020
Probabilmente in questa domenica ci saremmo aspettati un vangelo diverso, un racconto semplice, di facile lettura che riguardasse l’infanzia o l’adolescenza di quel bambino ed invece no! Il vangelo proposto per questa domenica è il famoso Prologo del vangelo di Giovanni, scritto dall’evangelista al termine della sua opera. È un meraviglioso inno scritto per la liturgia, un riassunto di tutto il vangelo di Giovanni, una perla preziosa, ma piuttosto ostico e di non facile lettura; è necessario saper volare alto, guardare ad occhi aperti la stupenda luce di Dio come un’aquila(simbolo dell’evangelista Giovanni) per coglierne il significato.
Giovanni ci offre una sintesi teologica sul Natale, sul mistero incredibile e meraviglioso di un Dio che si incarna, che viene a condividere la vita delle sue creature; al centro dell’inno è inserito il grande annuncio che Dio è venuto nel mondo, letteralmente ha voluto porre la sua tenda in mezzo agli uomini.
Giovanni, l’unico a dire questo, afferma che quel bambino, nato a Betlemme, è la Parola (la dabar in ebraico, il logos in greco) di Dio: la parola è il mezzo con cui noi comunichiamo con gli altri, quando la rivolgiamo a qualcuno vuol dire che vogliamo entrare in comunicazione con lui.
Sentiamo tante parole nella nostra vita, parole che vogliono guidare la nostra esistenza, ma occorre prestare attenzione perché le parole possono essere luce o tenebra, verità o menzogna, possono costruire amore o generare odio, essere fonte di vita o causa di morte. Nel rumore assordante di questo nostro mondo tra le tante parole urlate c’è solo una Parola da sempre e per sempre sussurrata: “Io ti amo!”. Questa è la Parola di Dio su ciascuno di noi!
La Parola è quel bambino fragile, debole, che piange ed è bisognoso del nostro affetto: quello è il nostro Dio, un Dio che si fa piccolo. Non è difficile credere che esista un Dio all’origine di tutto, ma credere che questo Dio si faccia presente nel nostro mondo come uno di noi, può e deve sconvolgerci. Qui non si tratta di aderire ad una dottrina, ma di accogliere la Parola. In Gesù si ritrova non solo la Parola rivelatrice su Dio, ma anche una Parola nuova e definitiva sull’uomo, poiché, come professiamo nel Credo, Lui è “vero Dio e vero uomo”, non dimentichiamolo mai! In Gesù, io posso vedere la piena realizzazione della mia umanità, in Gesù sono chiamato a spendermi per l’unica cosa che conta in questo mondo, per amore fino alla fine, fino a donare tutto.
Nella mia vita e nella vita del mondo Gesù è la luce che illumina le tenebre dentro di me ed intorno a me; così nella grande battaglia quotidiana che ognuno di noi è chiamato a vivere nella lotta tra il bene e il male una cosa è ormai certa: la luce ha vinto! Le tenebre del male non riusciranno più a sconfiggere la luce del bene. Dio non entra nella storia con potenza, Dio viene come un lumino che si accende nella notte, è piccolo, forse appare debole, ma quel lumino comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé. L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne.
“A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”: io ho il potere, noi abbiamo il potere di diventare figli di Dio! Ecco la buona notizia: io, tu, ciascuno di noi siamo già ora figli di Dio!
La tentazione diabolica ad Adamo ed Eva (Gen 3,5) diventa quasi uno scherzo del destino perché il nostro essere come Dio era già prevista nell’originario suo piano d’amore: Adamo ed Eva hanno peccato per diventare quello che già erano. A questo punto non ci rimane altro che vivere quanto già Ireneo di Lione suggeriva alla sua comunità “cristiano diventa ciò che sei!”
Dio nessuno lo ha mai visto, ma noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, Lui ce lo ha rivelato: il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed inaccessibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, un Dio che grazie a Gesù io posso invocare con il dolce nome di Abbà (papà).
Giovanni ci offre una sintesi teologica sul Natale, sul mistero incredibile e meraviglioso di un Dio che si incarna, che viene a condividere la vita delle sue creature; al centro dell’inno è inserito il grande annuncio che Dio è venuto nel mondo, letteralmente ha voluto porre la sua tenda in mezzo agli uomini.
Giovanni, l’unico a dire questo, afferma che quel bambino, nato a Betlemme, è la Parola (la dabar in ebraico, il logos in greco) di Dio: la parola è il mezzo con cui noi comunichiamo con gli altri, quando la rivolgiamo a qualcuno vuol dire che vogliamo entrare in comunicazione con lui.
Sentiamo tante parole nella nostra vita, parole che vogliono guidare la nostra esistenza, ma occorre prestare attenzione perché le parole possono essere luce o tenebra, verità o menzogna, possono costruire amore o generare odio, essere fonte di vita o causa di morte. Nel rumore assordante di questo nostro mondo tra le tante parole urlate c’è solo una Parola da sempre e per sempre sussurrata: “Io ti amo!”. Questa è la Parola di Dio su ciascuno di noi!
La Parola è quel bambino fragile, debole, che piange ed è bisognoso del nostro affetto: quello è il nostro Dio, un Dio che si fa piccolo. Non è difficile credere che esista un Dio all’origine di tutto, ma credere che questo Dio si faccia presente nel nostro mondo come uno di noi, può e deve sconvolgerci. Qui non si tratta di aderire ad una dottrina, ma di accogliere la Parola. In Gesù si ritrova non solo la Parola rivelatrice su Dio, ma anche una Parola nuova e definitiva sull’uomo, poiché, come professiamo nel Credo, Lui è “vero Dio e vero uomo”, non dimentichiamolo mai! In Gesù, io posso vedere la piena realizzazione della mia umanità, in Gesù sono chiamato a spendermi per l’unica cosa che conta in questo mondo, per amore fino alla fine, fino a donare tutto.
Nella mia vita e nella vita del mondo Gesù è la luce che illumina le tenebre dentro di me ed intorno a me; così nella grande battaglia quotidiana che ognuno di noi è chiamato a vivere nella lotta tra il bene e il male una cosa è ormai certa: la luce ha vinto! Le tenebre del male non riusciranno più a sconfiggere la luce del bene. Dio non entra nella storia con potenza, Dio viene come un lumino che si accende nella notte, è piccolo, forse appare debole, ma quel lumino comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé. L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne.
“A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”: io ho il potere, noi abbiamo il potere di diventare figli di Dio! Ecco la buona notizia: io, tu, ciascuno di noi siamo già ora figli di Dio!
La tentazione diabolica ad Adamo ed Eva (Gen 3,5) diventa quasi uno scherzo del destino perché il nostro essere come Dio era già prevista nell’originario suo piano d’amore: Adamo ed Eva hanno peccato per diventare quello che già erano. A questo punto non ci rimane altro che vivere quanto già Ireneo di Lione suggeriva alla sua comunità “cristiano diventa ciò che sei!”
Dio nessuno lo ha mai visto, ma noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, Lui ce lo ha rivelato: il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed inaccessibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, un Dio che grazie a Gesù io posso invocare con il dolce nome di Abbà (papà).
Commento 3 gennaio 2016
La liturgia della 2^ domenica di Natale ci propone il famoso Prologo del vangelo di Giovanni, peraltro già utilizzato dalla Chiesa nella liturgia del giorno di Natale; il brano, che ad una prima lettura può apparire piuttosto ostico, è un riassunto di tutto il vangelo di Giovanni. Alla base ci sta il grande annuncio di Dio che ha voluto porre la sua tenda in mezzo agli uomini; è lui la luce che ha illuminato la tenebra; così nella grande battaglia quotidiana che ognuno di noi è chiamato a vivere nella lotta tra il bene e il male una cosa è ormai certa: ora il male, la tenebra, non riuscirà più a sconfiggere la luce ovvero il bene. Dio non entra nella storia con forme di potenza e di violenza, Dio viene come un lumino che si accende nella notte, è piccolo, forse appare debole, ma quel lumino comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé. L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta d’amore da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne.
Dio nel suo Figlio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; è un durissimo atto di accusa nei confronti dei Giudei, ma occorre rivolgerlo anche verso noi stessi: sappiamo ad esempio riconoscere il Cristo nei nostri fratelli più piccoli, nel comune incontro per lo spezzare del pane nell’eucaristia o nell’ascolto della sua parola?
Eppure una chiara affermazione vi è in questo testo: a tutti coloro che lo hanno accolto, che lo hanno riconosciuto ha dato il potere di diventare figli di Dio; infatti se è vero che tutti, in quanto creature, ci possiamo considerare figli di Dio e come tali siamo da lui amati, a maggior ragione coloro che hanno creduto nel nome di Dio sono da lui generati o meglio rigenerati nello Spirito e sono chiamati a vivere come testimoni credibili della sua luce.
Infine un’ultima idea: Dio nessuno lo ha mai visto, noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, colui che ce lo ha rivelato; allora il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed invisibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, quel Dio che Gesù ci ha fatto conoscere e ci ha indicato con il dolce nome di Abbà (papà)
Dio nel suo Figlio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; è un durissimo atto di accusa nei confronti dei Giudei, ma occorre rivolgerlo anche verso noi stessi: sappiamo ad esempio riconoscere il Cristo nei nostri fratelli più piccoli, nel comune incontro per lo spezzare del pane nell’eucaristia o nell’ascolto della sua parola?
Eppure una chiara affermazione vi è in questo testo: a tutti coloro che lo hanno accolto, che lo hanno riconosciuto ha dato il potere di diventare figli di Dio; infatti se è vero che tutti, in quanto creature, ci possiamo considerare figli di Dio e come tali siamo da lui amati, a maggior ragione coloro che hanno creduto nel nome di Dio sono da lui generati o meglio rigenerati nello Spirito e sono chiamati a vivere come testimoni credibili della sua luce.
Infine un’ultima idea: Dio nessuno lo ha mai visto, noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, colui che ce lo ha rivelato; allora il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed invisibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, quel Dio che Gesù ci ha fatto conoscere e ci ha indicato con il dolce nome di Abbà (papà)
Commento 4 gennaio 2015
La liturgia della 2^ domenica di Natale ci propone il famoso Prologo del vangelo di Giovanni, peraltro già utilizzato dalla Chiesa nella liturgia del giorno di Natale; il brano, che ad una prima lettura può apparire piuttosto ostico, è un riassunto di tutto il vangelo di Giovanni. Alla base ci sta il grande annuncio di Dio che ha voluto porre la sua tenda in mezzo agli uomini; è lui la luce che ha illuminato la tenebra; così nella grande battaglia quotidiana che ognuno di noi è chiamato a vivere nella lotta tra il bene e il male una cosa è ormai certa: ora il male, la tenebra, non riuscirà più a sconfiggere la luce ovvero il bene. Dio non entra nella storia con forme di potenza e di violenza, Dio viene come un lumino che si accende nella notte, è piccolo, forse appare debole, ma quel lumino comincia ad illuminare ogni cosa intorno a sé. L’amore di Dio non è mai una imposizione dall’alto, ma una proposta d’amore da accogliere o rifiutare nella nostra libertà di uomini e donne.
Dio nel suo Figlio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; è un durissimo atto di accusa nei confronti dei Giudei, ma occorre rivolgerlo anche verso noi stessi: sappiamo ad esempio riconoscere il Cristo nei nostri fratelli più piccoli, nel comune incontro per lo spezzare del pane nell’eucaristia o nell’ascolto della sua parola?
Eppure una chiara affermazione vi è in questo testo: a tutti coloro che lo hanno accolto, che lo hanno riconosciuto ha dato il potere di diventare figli di Dio; infatti se è vero che tutti, in quanto creature, ci possiamo considerare figli di Dio e come tali siamo da lui amati, a maggior ragione coloro che hanno creduto nel nome di Dio sono da lui generati o meglio rigenerati nello Spirito e sono chiamati a vivere come testimoni credibili della sua luce.
Infine un’ultima idea: Dio nessuno lo ha mai visto, noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, colui che ce lo ha rivelato; allora il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed invisibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, quel Dio che Gesù ci ha fatto conoscere e ci ha indicato con il dolce nome di Abbà (papà)
Dio nel suo Figlio è venuto nel mondo, ma il mondo non lo ha riconosciuto, non l’ha accolto; è un durissimo atto di accusa nei confronti dei Giudei, ma occorre rivolgerlo anche verso noi stessi: sappiamo ad esempio riconoscere il Cristo nei nostri fratelli più piccoli, nel comune incontro per lo spezzare del pane nell’eucaristia o nell’ascolto della sua parola?
Eppure una chiara affermazione vi è in questo testo: a tutti coloro che lo hanno accolto, che lo hanno riconosciuto ha dato il potere di diventare figli di Dio; infatti se è vero che tutti, in quanto creature, ci possiamo considerare figli di Dio e come tali siamo da lui amati, a maggior ragione coloro che hanno creduto nel nome di Dio sono da lui generati o meglio rigenerati nello Spirito e sono chiamati a vivere come testimoni credibili della sua luce.
Infine un’ultima idea: Dio nessuno lo ha mai visto, noi oggi lo possiamo conoscere grazie al Figlio unigenito, colui che ce lo ha rivelato; allora il nostro Dio non è l’Assoluto trascendente dei filosofi, non è la divinità dal volto e dai vizi umani del mondo greco e romano, non è neanche il Dio lontano ed invisibile degli Ebrei; è il Dio che si offre a noi in un infinito atto di libertà e di amore, quel Dio che Gesù ci ha fatto conoscere e ci ha indicato con il dolce nome di Abbà (papà)